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Rifiuti: perché servono i certificati del riciclo

L’introduzione di certificati del riciclo sui materiali dei rifiuti di imballaggio estenderebbe al settore rifiuti una strumentazione economica e di mercato già consolidata. Permetterebbe di realizzare nuovi impianti e di avvicinare gli obiettivi Ue.

Mancano incentivi al riciclo

La carenza di impianti e infrastrutture per la gestione dei rifiuti è un grave ostacolo alla realizzazione di un’economia che sia davvero “circolare” e che risponda agli obiettivi indicati dall’Unione europea: riciclare almeno il 65 per cento dei rifiuti urbani entro il 2035 e ridurre sotto al 10 per cento la quota di quelli smaltiti in discarica.

La realizzazione di questi obiettivi non è tuttavia né semplice né immediata e, dunque, è importante trovare soluzioni. Una di queste è adottare incentivi e strumenti economici in grado di rendere la gestione dei rifiuti coerente con quella che viene definita “gerarchia dei rifiuti”, ovvero una scala di “priorità” delle migliori pratiche – dalla più alla meno sostenibile – e che vede in ultima posizione, appunto, lo smaltimento in discarica.

Evitando il solito meccanismo fatto da imposizione di standard, divieti e sanzioni in caso di mancato rispetto, gli incentivi sono in grado di guidare meglio gli operatori verso i comportamenti che aumentano il benessere sociale, disincentivando quelli che causano impatti negativi per l’ambiente.

Per esempio, la tassa sui rifiuti urbani Tari, gli schemi di responsabilità estesa del produttore (o Epr), la tassazione ambientale e gli incentivi al recupero energetico sono alcuni fra gli strumenti economici oggi attivi. A questi se ne può aggiungere uno dedicato al sostegno al riciclaggio che – nella gerarchia – è modalità di gestione preferibile sia al recupero energetico sia allo smaltimento. Oggi, non esiste uno strumento di questo tipo, visto che alla voce “riciclaggio” non corrisponde alcun tipo di incentivo (figura 1).

Figura 1

Fonte: Laboratorio REF Ricerche

È un vuoto da colmare, in considerazione di almeno tre fattori. Primo, la stessa direttiva 2018/851 indica la via degli strumenti economici per sostenere la piena attuazione della gerarchia dei rifiuti. Secondo, i risultati italiani nel riciclaggio sia per i rifiuti urbani (47 per cento) sia per gli speciali (68 per cento) sono un buon punto di partenza. Terzo, spingono in questa direzione l’urgenza di superare l’attuale deficit impiantistico nel riciclo e di ridurre la dipendenza dall’export.

L’esempio dei mercati energetici

Una risposta può essere trovata nell’“incoraggiare l’applicazione più ampia di strumenti economici ben progettati”: nuovi strumenti di mercato che mutuino le esperienze di successo dei mercati energetici, come nel caso dei Cic (certificati di immissione in consumo di biocarburanti) o dei certificati bianchi (anche detti titoli di efficienza energetica-Tee). Ma facciamo un passo alla volta.

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Tabella 1

Il meccanismo di command and control (fatto di standard, divieti e sanzioni) andrebbe dunque evitato, per rivolgersi invece agli incentivi e agli strumenti di mercato, come le tasse e i sussidi. Esse fanno leva su logiche di convenienza orientate ad assicurare che un certo obiettivo ambientale sia conseguito con il minore costo, ovvero distribuendo gli sforzi in misura maggiore sugli operatori, i settori economici e le iniziative in grado di assicurare l’obiettivo al costo più basso.

Tra gli strumenti vi sono anche i permessi negoziabili, secondo i quali il regolatore pubblico è chiamato a definire l’obiettivo ambientale, i soggetti obbligati e a organizzare un mercato regolamentato nel quale i permessi possono essere scambiati, come già accade per i permessi di emissione di CO2 all’interno dell’European Union Emissions Trading System, il primo grande mercato al mondo di questo genere. Al suo interno, ogni permesso negoziabile autorizza il possessore a emettere una tonnellata di anidride carbonica equivalente e di scambiarla.

I vantaggi? La trasferibilità dei permessi negoziabili fa sì che le imprese in grado di diminuire le emissioni a costi contenuti possano valorizzare questa loro peculiarità, conseguendo titoli che attestano il contenimento delle emissioni. Questi titoli, infatti, possono essere ceduti sul mercato dedicato a imprese per le quali lo sforzo di contenimento delle emissioni avrebbe costi superiori al valore di mercato del permesso negoziabile.

Con tali strumenti economici e di mercato si incentiva il cambiamento dei comportamenti, senza divieti; si innesca un aggiustamento graduale ma progressivo verso gli obiettivi ambientali, si promuove l’innovazione e si minimizzano i costi della “transizione”.

Il caso del biometano in Italia può aiutare a capire meglio. Con la legge n. 81/2006 è stato recepito l’obbligo per i fornitori di benzina e gasolio (i “soggetti obbligati”) di distribuire anche una quota di biocarburanti. L’intento dichiarato è quello di contribuire allo sviluppo di questa filiera di produzione, accrescerne l’impiego e limitare l’immissione in atmosfera di anidride carbonica del settore dei trasporti. Nel 2020 la quota d’obbligo è stata del 9 per cento.

Per monitorare l’assolvimento dell’obbligo, il Gse (Gestore servizi energetici) rilascia dei certificati di immissione al consumo (Cic) ai soggetti obbligati che distribuiscono biocarburanti sostenibili.

Il meccanismo dei Cic è uno strumento economico appartenente alla categoria dei permessi negoziabili in quanto distingue l’assolvimento dell’obbligo di immissione in consumo del materiale dalla miscelazione del biocarburante: all’obbligo di produzione e distribuzione di biocarburante si sostituisce quello di detenere una quantità corrispondente di certificati. Lo si può fare direttamente oppure in modo indiretto, acquistando una corrispondente quantità di Cic sul mercato regolamentato.

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Il funzionamento dei certificati del riciclo

Il meccanismo di incentivazione alla produzione di biometano avanzato potrebbe essere esteso alle filiere del riciclo dei rifiuti di imballaggio, anch’esse sottoposte a obblighi specifici di derivazione comunitaria, introducendo i “certificati del riciclo” (Cdr), titoli che attestano il riciclo di una tonnellata di rifiuto di imballaggio di una certa qualità e materiale. Questi ultimi, liberamente negoziabili in un mercato regolamentato, avrebbero prezzi che si muoverebbero in controtendenza rispetto a quelli delle materie prime seconde (Mps), offrendo all’industria italiana del riciclo quella stabilità di prospettive di ricavo necessaria all’avvio degli impianti.

Lo schema di riferimento dei certificati del riciclo presenta chiare analogie rispetto ai Cic: vi sono obblighi specifici di riciclaggio, di derivazione comunitaria, quindi recepiti nell’ordinamento nazionale, declinati per flusso di imballaggio (carta, plastica, vetro o altro) e scadenzati nel tempo (2025, 2030, 2035). I presupposti ci sono tutti:

– obiettivi di riciclaggio per singolo materiale di imballaggio;
– obblighi in base all’immesso al consumo (Registro nazionale dei produttori);
– possibilità di assolvere agli obblighi in forma individuale o collettiva
– compresenza di un mercato e diversi schemi in concorrenza.

Lo strumento dei Cdr potrebbe essere disciplinato da un attore istituzionale, quale ad esempio il Gse, dando la possibilità di optare per la modalità di assolvimento ritenuta più efficiente: in modo diretto da parte del soggetto obbligato, attraverso la possibilità di consorziarsi in uno schema di compliance, oppure con l’acquisto sul mercato regolamentato dei Cdr, per comprovare l’assolvimento dell’obbligo di riciclo.

In analogia con i Cic sul biometano, il ricavato dalla vendita dei Cdr permetterebbe ai riciclatori di sostenere l’equilibrio economico, anche quando i prezzi delle materie prime seconde sono non remunerativi.

Tabella 2

In sintesi, per chiudere il cerchio degli strumenti economici necessari al corretto funzionamento della gerarchia dei rifiuti, occorrono chiari incentivi al riciclo. Oggi, infatti, il riciclaggio rimane l’unico “livello” della gerarchia dei rifiuti privo di adeguato sostegno, nonostante l’avvicinarsi delle scadenze temporali entro cui gli obiettivi fissati dovranno essere conseguiti.

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  1. Antonio Massarutto

    Sono da tempo un fautore dell’introduzione di strumenti di “cap and trade” nel settore dei rifiuti, finora in beata solitudine: non posso quindi che essere d’accordo con le vostre proposte. Da oggi mi sento meno “particella di sodio”. Aggiungo e rilancio: simili strumenti andrebbero utilizzati anche per rafforzare il target di riduzione dei conferimenti in discarica (dovranno scendere al 10%, oggi sono ancora più del doppio), per l’impiego di combustibili da rifiuti, per disciplinare il traffico interregionale e internazionale di rifiuti.

  2. Federico Valentini

    Complimenti. Ottima proposta.

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