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Non c’era una volta l’America

Gli Stati Uniti sono ancora il faro di libertà e democrazia per il mondo occidentale? O la presidenza Trump e i fatti del 6 gennaio dimostrano che il modello statunitense non ispira più le nuove generazioni? Lettera di un millennial tra Europa e Usa.

C’era una volta l’America, ha intitolato con malinconia uno dei più importanti quotidiani italiani dopo l’assalto al Campidoglio da parte dei supporter di Trump del 6 gennaio. Leggendo e riflettendo sulle reazioni ai drammatici fatti di Washington, emerge un netto divario tra l’idea di America predominante nelle società europee e quella delle nuove generazioni. Da un lato la reazione dell’attuale classe dirigente in Europa, delle cosiddette élite, perpetuata dai canali mediatici mainstream, nasconde un senso di amarezza e tristezza nel vedere il declino delle istituzioni democratiche statunitensi. Dall’altro, noi millennials europei vediamo nel 6 gennaio, e più in generale negli eventi degli ultimi quattro anni, un prevedibile disfacimento di una società che sì ci ha formato ma che riteniamo problematica, che non rappresenta i nostri valori e dalla quale sempre più ci vogliamo sentire distanti.

Molti quotidiani, istituzioni e figure politiche di potere, in Europa, hanno osservato con dispiacere la traiettoria presa dagli Stati Uniti di Trump negli ultimi anni. L’esplosione delle fake news e del populismo, la tensione politica frutto di una società sempre più polarizzata, l’incapacità di gestire una pandemia che fino ad oggi ha fatto quasi 380 mila morti (più di una persona su mille), una politica internazionale (o una mancanza di essa) che ha messo ancor più a repentaglio il delicato equilibrio geopolitico e del commercio internazionale sono alcune delle questioni che si scontrano con la visione idealizzata e istituzionalizzata dell’America presente in Europa. L’episodio Trump, succeduto a uno dei presidenti più carismatici del XXI secolo, è percepito dalla classe dirigente europea come una breve deviazione di rotta dal ruolo che gli Stati Uniti hanno sempre ricoperto: un paese libero, ricco di opportunità, pioniere del progresso scientifico, portatore di pace e promotore dei valori liberali-capitalistici “giusti”. Un episodio che è culminato con un significativo attacco al cuore della democrazia ma che – auspicano tutti – si dovrebbe concludere tra una decina di giorni, quando gli Stati Uniti torneranno a ricoprire il ruolo di leader mondiali di cui l’Unione Europea – e dunque anche i suoi “funzionari” – sono sempre stati ammiratori.

Noi millennials, invece, percepiamo Trump e il 6 gennaio come eventi che mettono alla luce le problematiche di un paese nel quale non crediamo più, o forse a cui non abbiamo mai creduto, ma il cui mito abbiamo inconsciamente internalizzato. Vi sono tante frizioni tra il mondo americano e i valori nei quali i giovani credono. Le seguenti sono quelle che ritengo più emblematiche.

Gli Stati Uniti sono, innanzitutto, un paese razzista, dove la discriminazione basata sul colore della pelle, ancor più che nelle nostre società, è istituzionalizzata, come hanno ulteriormente dimostrato gli eventi di quest’estate. L’America, inoltre, ha perpetuato un imperialismo culturale di stampo gramsciano che ha portato a definire il secolo scorso, di cui siamo figli, come “il secolo americano”, del quale ci sentiamo vittime e non fruitori. Un paese che prioritizza l’efficienza e la produttività a scapito di un’inarrestabile ineguaglianza economica e dei diritti dei lavoratori, come dimostrano i 40 milioni di disoccupati nei mesi seguenti allo scoppio della pandemia, viene inevitabilmente percepito come ostile. Bisogna ricordare che la globalizzazione ha esposto i giovani di oggi a una visione meno americanocentrica del mondo, rendendoli più consapevoli dei danni economici e sociali causati dalla politica estera statunitense. Decenni di interventismo militare hanno distrutto alcune società, come quella afghana o quella irachena, e non possiamo più credere nella narrativa della “lotta al terrorismo”. Allo stesso modo, decenni di interventismo economico nel Sud del mondo, tramite l’imposizione di “programmi di aggiustamento strutturale”, hanno forzato l’inserimento di molti paesi all’interno di un’economia globale che li ha indeboliti e impoveriti ulteriormente. Ciò ci porta a condannare istituzioni tanto rispettate dall’Unione Europea come il fondo monetario internazionale o la Banca Mondiale. Un paese che è tra i maggiori contribuenti all’inquinamento globale ed è spesso tra i più feroci negazionisti si scontra con i movimenti ambientalisti di giovani europei, come“Extinction Rebellion” e “Fridays for Future”. Un paese che ha mercificato il sistema educativo, normalizzando rette da 40-50 mila dollari, non può sposare gli ideali che vedono nell’istruzione un bene necessariamente pubblico. Per concludere, quell’America che oggi la nostra classe dirigente sembra rimpiangere non può e non deve ispirare le nuove generazioni.

Il 6 gennaio entrerà inevitabilmente nella storia; la nuova amministrazione Biden potrà riportare gli Stati Uniti ad essere il paese tanto apprezzato in Europa e criticato dai suoi millennials; oppure potrà rappresentare l’inizio di una serie di riforme strutturali per creare una nuova “buona” America. Il sottoscritto, in qualità di millennial nato in America e cresciuto in Europa, auspica la seconda opzione, come si è potuto evincere, ma prevede e teme che si avvererà la prima.

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  1. Condivido, pur essendo classe 1958. Aggiungerei; la questione della sanità che costa più di quella europea in genere com minori risultati in qualità della vita; i paradisi fiscali come il Delaware, il pensiero economico-liberista finanziato dai ricchi di destra, anche cristiani.

  2. Lorenzo Bella

    Leggo che l’autore è nato nel 1998, come mia sorella. Io sono nato nel 2000, e condivido pienamente la sua riflessione sull’illusione americana. L’unica cosa che devo però rimproverare è che io e lui NON siamo MILLENIALS (a differenza di quello che si pensa in Italia), siamo GEN Z, generazione z. A parte questo ottimo articolo

  3. Gabriele Cappadona

    Nel 2001 a Genova dicevamo le stesse cose. Abbiamo subito la repressione dei liberali, una repressione fatta di violenze, torture (acclarate, vedi Bolzaneto) e disprezzo dei diritti umani.
    E mi sento di dirvi un’altra cosa ragazzi: a naso, le cose da allora ad oggi non sono cambiate un granchè, quindi… in campana!

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