Lavoce.info

Covid-19: numeri senza spiegazione

Perché mortalità e letalità da Covid sono così alte in Italia? L’elevata età media non spiega da sola il primato. E perché in altri paesi europei prima e seconda ondata hanno dato esiti tanto diversi? I cittadini hanno diritto a capirne le ragioni.

Il primato italiano sulla mortalità

Siamo secondi in Europa per numero totali di morti attribuite al Covid-19: 76.877 al 6 gennaio 2021, dopo la Gran Bretagna, che nelle ultime settimane ha visto aumentare le morti, arrivate a 77.346. Siamo anche quinti al mondo per mortalità, cioè morti diviso popolazione totale, espresse per 1 milione di popolazione: erano 1.272 al 6 gennaio 2021, dopo San Marino (1.825), Belgio (1.707), Slovenia (1.394), Bosnia (1.288); e siamo terzi al mondo per letalità, cioè morti/contagiati, con il 3,5 per cento, che ci vede primi in Europa. Tuttavia, la letalità risente del numero di tamponi eseguiti. Come si vede nella tabella 1, questo numero varia da paese a paese e riflette decisioni governative che sono mutate nel tempo. Pertanto, nelle riflessioni che seguono mi soffermo soprattutto sulla mortalità. Sui giornali se ne è brevemente parlato facendo riferimento a una “ricerca” della John Hopkins University, che in realtà è un semplice monitoraggio. Basta prendersi i dati ufficiali internazionali ampiamente disponibili e farsi i propri calcoli.

Confronto fra paesi

Sui social media, soprattutto Twitter, molti concittadini si chiedono perché la mortalità sia così alta in Italia. Aggiungo: perché è più alta di paesi a noi simili per dimensioni, livello di sviluppo economico e traiettoria sia della pandemia sia delle misure di distanziamento? E cosa spiega i casi particolari di Germania e Svezia?

Per sviluppare alcune considerazioni semplici e intuitive utilizzo: a) le statistiche ufficiali sull’andamento della pandemia (vedi tabelle); b) i dati e un volume di Eurostat pubblicato nel 2019 per caratterizzare la popolazione anziana in Italia e altri grandi Paesi europei; c) due studi pubblicati su Nature e The Lancet.

Quando un fenomeno è in corso, e non si può più fare un esperimento e neppure identificare una variazione esogena facilmente misurabile e controllabile, l’unico modo per cercare di capire è la comparazione tra unità di analisi diverse, possibilmente in forma longitudinale. I confronti delle due tabelle che seguono sono in sostanza statici e non scompongono i paesi a livello regionale, provinciale e comunale. Quindi le mie considerazioni sono svolte a “occhio nudo”, facendo solo confronti descrittivi senza uso di tecniche econometriche o di modellizzazioni sofisticate. Non mi propongo di dare risposte, ma di sollevare domande e di sfatare il luogo comune che la nostra alta mortalità sia dovuta solo all’età media della popolazione. Confronto Italia, Spagna e Regno Unito da una parte (lockdown più restrittivi, meno terapie intensive, medicina territoriale meno capillare) e Germania (lockdown “soft” almeno fino al novembre 2020, 28mila posti in terapia intensiva, rete medicina territoriale capillare) e Svezia (nessun lockdown e rete medicina territoriale capillare).

Fonti: European Centre for Disease Prevention and Control e Worldmeters.
Nota: I dati dalla agenzia europea European Centre for Prevention and Control (ECDC) sono disponibili solo fino al 14 dicembre 2020 (casi e decessi) e al 31 dicembre (numero di tamponi). Sono stati integrati quindi con quelli riportati da Worldometers per arrivare fino al 6 gennaio 2021. Le fonti nazionali utilizzate da Ecdc e Worldometers coincidono in larga misura. Confronti sui dati riportati dalle due fonti per periodi in cui sono entrambe disponibili.

La prima tabella dà il quadro complessivo e non richiede molti commenti. Abbiamo la più alta mortalità tra i sei paesi considerati, ma non siamo primi per numero di contagi per milione di popolazione, sebbene l’indicatore rifletta anche il più basso numero di tamponi realizzati. Tuttavia, Spagna e Francia presentano un tasso simile di tamponi per 1 milione di abitanti, ma la mortalità è sensibilmente più alta in Spagna. Allo stesso modo, l’Italia ha fatto 452 tamponi per 1 milione e la Svezia 445 (con il più alto numero di casi per 1 milione) e la mortalità è rispettivamente 1.273 e 861, sempre per 1 milione. Quindi non sembrerebbe che ci sia una relazione univoca tra numero di contagi e numero di morti. Ovviamente bisogna andare cauti, ma se questa prima osservazione impressionistica fosse confermata da analisi più sofisticate, allora cadrebbe l’ipotesi più volte letta sui media secondo cui la nostra mortalità possa essere dovuta al maggior contatto tra nonni e nipoti.

Fonti: European Centre for Disease Prevention and Control e Worldmeters.
(*) Per la seconda ondata ho computato le morti registrate nei vari paesi dal 1° settembre al 29 dicembre 2020.

La seconda tabella contiene informazioni interessanti, che meritano un’analisi più approfondita delle considerazioni intuitive svolte di seguito. Nella seconda ondata l’Italia ha avuto un numero di morti più alto di Spagna, Francia e Gran Bretagna e già superiore a quello registrato nella prima.

Leggi anche:  Risorse per la sanità: dove colpirà l'inverno demografico*

Dunque, la prima domanda è: perché la mortalità si mantiene così elevata sebbene, a detta di molti, le terapie siano migliorate? Tra Italia, Spagna, Gran Bretagna e Francia, credo di poter affermare con sufficiente certezza che il nostro paese è quello che ha adottato, a eccezione dell’estate (ma lo stesso è successo per gli altri), le misure di distanziamento e di lockdown più rigide.

Poi c’è il caso della Svezia, l’unico in cui le morti sono fortemente concentrate durante la prima ondata (75,3 per cento contro 24,7). Nella prima ondata nel paese scandinavo le morti per un milione di abitanti sono state 668 e nella seconda 219. Sebbene la Svezia sia il paese con la più alta incidenza di casi, la mortalità della seconda ondata è bassissima. Il caso svedese andrebbe approfondito, oltre le analisi partigiane che periodicamente lo presentano come un disastro o come un grande successo. Infine, c’è l’anomalia della Germania, praticamente appena sfiorata dalla prima ondata e colpita più duramente dalla seconda: da gennaio a novembre 2020 sono state registrate 16.123 morti, mentre sono 22.076 quelle da dicembre 2020 al 6 gennaio. La mortalità tra la prima e la seconda ondata si è più che raddoppiata. Sui nostri giornali si legge che il lockdown “soft” tedesco non ha funzionato. Eppure, sembrerebbe aver funzionato per undici mesi: quale variazione è intervenuta per determinare un cambiamento così radicale? Potrebbe essersi verificato un mutamento tale da creare le condizioni di un esperimento naturale che, se studiato, aiuterebbe a progredire nella comprensione di come si diffonde il virus. E dunque aiuterebbe tutti noi a comprendere meglio la situazione e i governi a migliorare le misure di contenimento in attesa che la popolazione sia vaccinata.

Cosa succede in Italia

Prima di passare alle possibili spiegazioni del caso italiano, è utile una premessa che in qualche modo si ricollega alle considerazioni sul caso tedesco. Sto prendendo i dati ufficiali a valore nominale. Ma è noto che il dato per sé non è ancora un “fatto” se non sappiamo come è costruito. Forse non si possono trovare spiegazioni comparative perché i dati non sono confrontabili.

Mi sembra evidente che a livello europeo non esistessero linee guida per la registrazione dei dati in caso di pandemia prima dell’arrivo del Covid-19 e che neanche ora siano state introdotte. Le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità sono cambiate nel tempo e lasciano spazio a diverse applicazioni nei diversi paesi. Non ho sufficienti elementi per esprimere un parere, ma se così fosse, sarebbe di enorme importanza scoprirlo.

L’età della popolazione non può spiegare da sola la maggiore mortalità e letalità nel nostro paese. Solo la Gran Bretagna è più giovane di noi in modo rilevante. Ad esempio, l’età mediana della popolazione maschile (la più colpita) è 44,4 anni in Italia e 43,9 anni in Spagna (ed è di 46 anni in Germania). La percentuale di popolazione di età superiore a 85 anni è del 3,5 per cento in Italia, del 3,2 per cento in Spagna e del 3,4 per cento in Francia. In Gran Bretagna è del 2,4 per cento.

Il volume e le statistiche di Eurostat non indicano che i nostri anziani siano in condizioni di salute peggiori rispetto a quelle degli altri paesi considerati. Anzi, la percentuale di individui di età superiore a 85 anni con una condizione cronica nel nostro paese è inferiore a quella di Francia, Spagna e Germania (i dati sulla Gran Bretagna non erano disponibili). Pur in confronti descrittivi preliminari, non sembrerebbe dunque che andamento dei contagi, misure di distanziamento, età media della popolazione e condizioni di salute degli anziani possano spiegare completamente la più alta mortalità italiana.

Per fare un ulteriore passo, ci vengono in aiuto i due studi internazionali. Quello pubblicato su Nature, che ha analizzato una grande quantità di variabili in venti paesi, suggerisce che la letalità (case fatality rate) sia positivamente associata (aumenta) con incidenza di malattie cardiovascolari, tumori e malattie respiratorie; alla mortalità dovuta al fumo sopra i 70 anni; livello di Pil pro capite. D’altra parte, la letalità sembra essere associata negativamente (diminuisce) con il numero di posti letto negli ospedali per 100mila abitanti. Tuttavia, lo studio conclude che le associazioni statistiche più forti sarebbero con le condizioni socioeconomiche e con la prevalenza di altre malattie croniche preesistenti.

Leggi anche:  Ma i fondi per la sanità sono pochi o tanti?

Il secondo studio si è focalizzato sul numero di contagi e sulla mortalità (che è diversa dalla letalità). Gli autori hanno considerato 50 paesi per i quali hanno raccolto variabili socioeconomiche e demografiche, sul sistema sanitario e sullo stato di salute della popolazione e sul grado di restrizioni imposte durante la pandemia. I risultati sono i seguenti:

– il numero dei contagi è positivamente associato con il tasso di obesità, con l’età mediana della popolazione;
– la mortalità è positivamente associata con tasso di obesità e il Pil pro capite. Mentre un minore livello di diseguaglianza sembra essere associato con un minore livello di mortalità;
– la rapida chiusura dei confini, il lockdown completo e campagne di tamponi a tappeto non sono associati, né negativamente né positivamente, con il tasso di mortalità.

Entrambi sono studi preliminari che si limitano a verificare la presenza di associazione statistica senza avventurarsi in azzardate attribuzioni causali. Nondimeno, ci danno almeno due suggerimenti. Contano soprattutto variabili socioeconomiche e stato di salute pregressa. Interessante la correlazione tra diseguaglianza economica e mortalità. Questi studi confortano quanto scritto da Richard Horton (editor di The Lancet) nel settembre 2020, ovvero che non siamo di fronte a una pandemia, ma a una “sindemia”, in quanto la mortalità per Covid-19 interagisce chiaramente con malattie croniche non trasmissibili preesistenti e con le diseguaglianze socioeconomiche. Horton aggiunge che ci siamo limitati a contenere il contagio senza cercare di intervenire sulle cause strutturali che mietono vittime.

Ora, nei dati Eurostat ne spicca uno rispetto al quale il nostro paese presenta una situazione peggiore: la deprivazione materiale e sociale nella popolazione anziana. Se prendiamo il gruppo di età 65-74 la percentuale di coloro che vivono in condizioni di deprivazione materiale e sociale è del 10,3 per cento in Italia, contro il 7.6 per cento in Spagna, 5,2 per cento in Francia e 3,7 per cento in Germania (i dati per la Gran Bretagna non sono disponibili). Se poi si considera il gruppo dai 75 anni in avanti la percentuale sale al 29,1 per cento. In altre parole, quasi un terzo dei nostri anziani vivono in condizioni disagiate. L’ipotesi che la deprivazione materiale e sociale possa contribuire a spiegare l’alta mortalità in Italia meriterebbe di essere approfondita. Se confermata, potrebbe consigliare politiche di protezione e assistenza più mirate.

Nell’era dei big data le possibilità di mettere insieme fonti diverse e di trattarle sono aumentate enormemente. Gli studi che cercano di verificare l’efficacia delle misure non farmaceutiche (distanziamento sociale e lockdown) creano variabili ordinali per differenziare questi interventi (cioè, restrizioni basse, medie, alte) che devono essere aggiornate “manualmente” per tener conto dei cambiamenti (e sono stati molti) nelle misure organizzative. Perché le autorità nazionali ed europee non accedono ai dati sulla mobilità di Google e Apple e li usano come misura effettiva del distanziamento per metterla in relazione con diffusione del virus e mortalità e con tutte le altre variabili sociodemografiche e socioeconomiche? Non sarebbe forse ora che le nostre autorità governative e scientifiche ci dessero le loro spiegazioni o quanto meno le loro ipotesi su quali fattori possano spiegare l’alta mortalità del nostro paese? Ma anche a livello europeo sarebbe auspicabile che venissero finanziati studi comparativi. Dopo i sacrifici fatti, dopo #iorestoacasa e i canti sui balconi, dopo gli autoelogi dell’estate e dopo le nuove restrizioni dell’autunno, quelle del periodo natalizio e quelle che ci aspettano ancora nei primi mesi del 2021, non abbiamo diritto di sapere perché in Italia i morti continuano a essere tanti e anche il perché delle differenze tra i paesi europei?

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Ma la "tessera a punti" può far bene alla salute

Precedente

Il requiem della democrazia americana?

Successivo

Anche nelle università italiane la Dad è qui per restare

22 commenti

  1. Savino

    I problemi sono tutti sanitari, ma medici e infermieri hanno fatto le ferie natalizie in Lombardia e magari anche altrove. Non è più tempo di chiudere bar e pasticcerie, ma è tempo di far pagare le responsabilità a governance e management sanitario, che prende centinaia di migliaia di euro l’anno per questo fallimento di tutti gli obiettivi. Le corporazioni universitarie e dell’ordine dei medici hanno messo i bastoni tra le ruote ai nostri giovani per le professioni sanitarie. Speranza non può continuare a fare una stretta con sperimentazione sociale, ma deve uscire dai Parioli e tornare alla realtà che vuol dire anzitutto garantire salute psico fisica.

  2. carlo des dorides

    Approfondimento molto documentato ed interessante. Giustissima l’ultima domanda di richiesta di diagnosi da parte delle Autorità Pubbliche. Due domande: in Italia la Lombardia ha il più alto tasso di mortalità ed è la regione più ricca. Sembrerebbe un dato in controtendenza rispetto alla relazione negativa mortalità condizione socio economica. Che cosa si intende precisamente con deprivazione socio economica (povertà, abbandono dal nucleo familiare)?

  3. Eleonora Mazzoni

    https://www.i-com.it/2020/12/23/i-paesi-europei-alle-prese-con-la-corsa-del-virus-italia-e-germania-a-confronto/

    Un mio articolo sullo stesso tema. Sarebbe interessante mettere insieme le condizioni di deprivazione socio-economica e la capacità di presa in carico dell’assistenza territoriale soprattutto per i pazienti cronici.

  4. Gerardo Coppola

    Interessante perchè fa riflettere ed è ispirato a un principio molto civile: il diritto di sapere dei cittadini. Come altri commentatori, anche io noto che le aree più ricche del paese sono state le più colpite e quindi forse oltre al PIL rileva anche come la sanità è organizzata sul territorio. Complimenti. Ps. Mi sono occupato di banche per una vita e quando falliscono non capiamo mai perchè è soprattutto nessuno è responsabile. Il nostro paese è così, purtroppo.

  5. bob

    in Italia la Lombardia ha il più alto tasso di mortalità ed è la regione più ricca” Ma ricca di che? Forse il punto sta proprio qui nel confondere tabelle e statistiche a iosa con la realtà forse ben diversa. Il Paese delle statistiche, delle “etichette”, dei luoghi comuni, dell’approssimazione elevata all’ ennesima potenza. Non sarebbe il caso di analizzare la realtà per elaborare dati e statistiche e non viceversa?

  6. giuseppe nicoletti

    Molto interessante. Segnalo questo articolo che è un esempio di come i dati di Google possano essere usati per analizzare aspetti della crisi del COVID. Lo scopo qui è di verificare l’efficacia delle politiche di lockdown per limitare la mobilità e il tasso di contagio. https://www.oecd-ilibrary.org/docserver/9cc22d8c-en.pdf?expires=1610460335&id=id&accname=ocid84004878&checksum=4C5BE3876841B731FB343B1F2CF43133

  7. Carlo Des Dorides

    Non comprendo la sua osservazione: l’elaborazione di dati e statistiche parte proprio dall’analisi della realtà e non da luoghi comuni ed approssimazione. La Lombardia ricca di che? Di PIL, di occupazione, di innovazione, di esportazioni, di numero di laureati, di università primarie… Per affermare questo basta guardare la realtà ed i dati che ne sono la rappresentazione. Annoiano, ma sono gli unici elementi su cui si può comprendere la realtà e su cui si possono basare scelte razionali di politica economica.

  8. Mauro Alberti

    Il dato dell’Italia non rileva le grandi differenze tra Regioni italiane, differenze molto più marcate rispetto a quelle presenti in altri Paesi con numero elevato di morti per abitanti (Belgio, UK)
    https://twitter.com/maualberti/status/1348686359863590917

  9. Fabrizio Fabi

    Articolo interessante. Ma nella tabella 2 mi sembra riportato male il dato per la Germania dei “morti per milione di abitanti nella 2a ondata”. Dovrebbe essere 344 anziché 229. (A meno che non ci siano altri errori sul numeri assoluti di morti.). La enorme anomalia dei morti tedeschi a dicembre 2020 (che, secondo l’articolo, sarebbero ben 22.000, contro solo 16.000 in gennaio-novembre) fa pensare anzitutto che la Germania abbia operato un drastico cambio del metodo di conteggio. Io propenderei per credere a una forte sottostima del vecchio dato gennaio-novembre. Forse il sito dell’Istituto Robert Koch può chiarire. Purtroppo, sappiamo che la cassificazione dei decessi in base alla “causa” è piuttosto problematica. ovunque.

  10. zipperle

    Il sospetto che il sistema sanitario (pubblico) italiano sia stato e sia tuttora in difficoltà dovrebbe essere indagato in profondità senza fermarsi alla variabile “numero posti letto”. Bisogna trovare indicatori che misurano il modo con cui si viene testati e tracciati, si viene presi in carico, si viene curati, si viene dimessi e isolati (o alla peggio portati al camposanto), si viene infine considerati guariti

  11. Piero Pessa

    Con alcuni paesi il confronto potrebbe essere inattendibile: i ricercatori degli istituti di statistica di Spagna e Francia rilevano che i decessi nei loro paesi sono sottostimati. Del resto anche in Italia, dice l’ISS, sono sottostimati. Non parliamo di UK dove contano solo i decessi verificatesi entro 28 giorni dalla diagnosi di Covid. In realtà un confronto reale sui numeri si potrà fare solo confrontando il surplus di mortalità rispetto alla media degli ultimi 5 anni. Secondo gli ultimi dati Istat del 2020, questo surplus per l’Italia potrebbe superare i 100mila decessi. E’ molto probabile che il conto mondiale dei decessi sia molto superiore al dato ufficiale dei quasi 2 milioni oggi dichiarati.

  12. donata lenzi

    non è solo un problema economico
    se guarda questo lavoro dell’Istat
    https://www.istat.it/it/files/2020/04/statisticatoday_ANZIANI.pdf
    si vede che più della metà degli anziani over 75 vive a max 1 km dai figli e di questi 20% convive. In questo tipo di contagio l’isolamento è un vantaggio

  13. Andrea

    Sul tema della comorbidità come causa della più alta letalità in Italia, a metà testo l’autore scrive “ l volume e le statistiche di Eurostat non indicano che i nostri anziani siano in condizioni di salute peggiori rispetto a quelle degli altri paesi considerati.”.
    Ultimamente ho letto un articolo (di cui non riesco a recuperare l’URL) che confrontava aspettativa di vita delle donne italiane e svedesi. Pur essendo simili, si diceva che le donne italiane si ammalano mediamente già intorno ai 65 anni di malattie croniche/invalidanti. Molto più tardi in Svezia.
    ISTAT a questo link https://bit.ly/3iffSfN scrive: “ Le donne italiane si caratterizzano per avere una sopravvivenza complessiva tra le più alte in Europa (…) ; tuttavia, in forte analogia con quanto osservato negli uomini italiani, la percentuale degli anni vissuti senza limitazioni (73,5%) è inferiore a quella europea.”.
    Io interpreto questo dato come il fatto che siamo il paese i cui anziani sono i più affetti da malattie cronico-invalidanti, le famose comorbidità.
    Non può essere una spiegazione per la più alta letalità in Italia?

  14. umberto scaccabarozzi

    Ottimo lavoro.E’ ormai assodato che la condizione sociale(disponibilità economica) sia un determinante della salute.In Italia il 13% delle famiglie in cui è presente un anziano è al di sotto della soglia di povertà relativa che significa deprivazione,perdita di opportunità ed emarginazione.La solitudine è l’evento che segnala il lento decadimento psicofisico interessa il 30% degli anziani.3,5 milioni di cittadini italiani con più di 65 anni hanno dichiarato di rinunciare alle cure mediche,6 milioni di italiani non si curano più a causa dei costi delle prestazioni sanitarie o delle liste di attesa troppo lunghe.Purtroppo la “sindrome sociale” esula ancora dal bagaglio culturale del medico.Umberto Scaccabarozzi Geriatra

  15. Giuseppe GB Cattaneo

    Ottimo articolo che fa giustizia della massa di parole vuote e partigiane profuse attraverso i media dai cd scienziati

  16. Catullo

    Non è che banalmente si contino in maniera diversa i morti per covid nei vari paesi? Per quanto sento io in Italia si conteggia come morto a causa del coronavirus chiunque sia deceduto in ospedale positivo al Covid. Vedere Belgio e Slovenia così in alto mi da da pensare.

  17. Manca un dato che probabilmente spiega le differenze evidenziate: qual è la percentuale dei decessi tra le persone intubate e quelle che hanno usato solo la maschera d’ossigeno? Quale percentuale degli ospedalizzati viene intubata? (Presumendo che quelli con sintomi lievi se la cavano). Infatti qui in Germania ho letto (naturalmente da verificare) che i maggiori decessi tra gli ospedalizzati in vari paesi, tra cui l’Italia, sia dovuto ad un eccessivo uso dell’ossigenazione mediante tubo, molto pesante, e da un’eccessiva ossigenazione. Qui in Germania già agli inizi della pandemia si erano accorti negli ospedali che l’apporto di ossigeno provocava una proliferazione del virus, cosa che si poteva evitare diminuendo la quota di ossigeno puro.

  18. Carlo Barbieri

    Quanto mi manca il modo anglosassone con cui si stendono i rapporti, che iniziano sempre con l’Executive Summary che sintetizza tutto quanto seguirà in “Premesse e Conclusioni”. Chi vuole approfondire può poi leggere la trattazione completa. E’ un. peccato che in molte delle nostre università non lo si insegni.

  19. controllAlert

    Darei un’occhiata a https://www.nature.com/articles/s41586-020-2918-0 in cui il legame tra mortalità ed età è lampante, almeno nel periodo considerato

  20. VITTORIO MOLINARI

    Buongiorno. Innanzitutto complimenti, mi pare essere, ad oggi, uno dei pochi elaborati sul tema. Segnalo una delle periodiche pubblicazioni ISTAT sulla qualità della vita degli anziani che mi pare contraddica alcune affermazioni, ma mi rimetto al suo giudizio: http://www.istat.it/it/srchivio/203820 Aggiungo una domanda: che fine ha l’accordo Protezione civile- Accademia dei lincei proprio sull’esame dei dati Covid? Grazie

  21. tiberio damiani

    farei alcune annotazioni. la prima è che i dati non sono ancora omogenei tra i vari paesi, unico esempio quello dei tamponi molecolari o antigenici? già avere dati omogenei su questo argomento è difficile, per via dei limiti delle varie metodiche. secondo punto la diagnosi di morte secondo la modulistica istat distingue chiaramente la causa principale dalle complicazioni e da altre condizioni morbose (https://www.istat.it/ws/fascicoloSidi/924/Scheda%20di%20morte%20-%20Modello%20Istat%20D.4.pdf) ma non conosco i metodi di registrazione degli altri paesi. terzo punto, il distanziamento e le misure di prevenzione e protezione pur contestabili hanno un importanza basilare in un momento di rapida evoluzione della pandemia a causa delle varianti del virus, in attesa che la vaccinazione possa prendere quota, nonostante la difficoltà di fornitura del vaccino. quarto punto la deprivazione economica e sociale degli anziani incide in misura molto importante nel determinare la “fragilità storica” di persone che poi in corso di pandemia risentono in maniera esponenziale. infine non va trascurata la costante riduzione di personale e di presidi ospedalieri e territoriali dell’ultimo decennio. a ciò va anche sommato l’effetto del numero chiuso per la facoltà e delle scuole di specializzazione a giustificare la carenza di medici. un sistema sanitario ridotto all’osso fronteggia un virus con elevata variabilità, che al momento non consente previsioni ma solo osservazioni e studio

  22. Alessandro la Viola

    Forse perché ancora oggi in caso di tampone positivo i medici di base consigliano il protocollo del Ministero della Salute, “paracetamolo e vigile attesa….”

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén