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Abbattere le polveri sottili, una sfida da affrontare

I danni delle polveri sottili alla salute sono documentati da tempo. Ora sembra esserci anche una relazione con la diffusione del Covid-19. È tempo di agire, perché pure non prendere alcun provvedimento è una scelta. E mette in pericolo i cittadini.

I danni delle polveri sottili

Quando si parla di sostenibilità ambientale, si tende a concentrare l’attenzione sulla questione del cambiamento climatico. In realtà, come sottolinea l’Unione europea con il criterio di “miglioramento ambientale paretiano” del Do Not Substantially Harm, la questione della transizione ecologica ha almeno sei facce: adattamento climatico, mitigazione climatica, tutela della biodiversità, economia circolare, inquinamento, tutela delle acque. Tutti i progetti del Next Generation EU dovranno rispettare tale criterio, ovvero generare un miglioramento sostanziale su una delle sei dimensioni senza peggiorare su nessuna delle altre.

L’Italia dovrebbe attribuire particolare importanza alla questione dell’inquinamento e, soprattutto, a quella delle polveri sottili. Il 10 novembre, infatti, La Corte di giustizia europea ha condannato il nostro paese per violazione – dal 2008 – della direttiva in materia e ci ha invitato a provvedere rapidamente per evitare sanzioni pesanti.

La soglia media giornaliera di polveri sottili consigliata dall’Organizzazione mondiale della sanità è di 10 microgrammi per metro cubo. I dati comunali satellitari mostrano che la media paese degli ultimi tre anni è attorno ai 14 milligrammi e quella della Lombardia di 19 microgrammi. L’Agenzia europea dell’energia identifica l’area della Pianura Padana come quella a maggior rischio in tutta l’Europa occidentale per giorni di sforamento di limiti massimi di polveri superiori al livello ben più alto di 50 microgrammi per metro cubo. I dati di Legambiente del 2019 vedono Torino in testa alla classifica degli sforamenti, con 147 giorni sopra i 50 microgrammi per metro cubo, seguita da provincie lombarde, piemontesi e venete (Lodi 135, Milano 109). Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, in Italia le polveri sottili sono responsabili ogni giorno di circa 218 morti (qui).

L’effetto sulla salute è prodotto soprattutto dalle polveri di dimensione inferiore (PM2.5 più che PM10) che sono prevalentemente di natura antropogenica: il 50 per cento circa è dovuto a tecnologie tradizionali di riscaldamento delle abitazioni, il resto è ripartito tra industria, agricoltura, produzione di energia e trasporti.

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Una rassegna di circa 200 studi medici di carattere empirico (qui) spiega come le polveri sottili si depositino nella parte bassa dei polmoni indebolendo la loro risposta a malattie respiratorie, polmonari e cardiovascolari.

Proprio per via di questa caratteristica, alcuni recenti lavori empirici effettuati in diverse aree del mondo (Stati Uniti, Olanda, Germania, Italia e su un campione delle regioni Ue) hanno identificato una correlazione significativa tra livelli delle polveri e morti da Covid-19 al netto dell’effetto concomitante di altri fattori chiave, quali la densità abitativa, i flussi di pendolarismo e di trasporto, effetti fissi di natura comunale e regionale, utilizzando variabili strumentali che sembrano possedere le caratteristiche di validità e rilevanza come ad esempio la direzione del vento (quiqui, quiqui, qui, qui e qui).

Sebbene l’approccio con variabili strumentali possa essere sempre soggetto a dubbi e interpretazioni, le scelte di policy non dovrebbero mai aspettare la certezza al 100 per cento della causalità di un fenomeno. Nessuno mangerebbe una pietanza sapendo che al 90 per cento può essere dannosa per la salute. Non fare nulla è anch’essa una scelta, mentre il principio di precauzione nelle questioni che riguardano la salute dovrebbe spingerci ad agire anche quando non abbiamo la totale e assoluta sicurezza della dannosità di un fenomeno.

Necessarie politiche di contenimento

Indipendentemente dall’esito del dibattito sul rapporto tra inquinamento da polveri sottili e Covid-19, i risultati consolidati evidenziati dall’Organizzazione mondiale della sanità sul loro effetto sulle malattie respiratorie e cardiovascolari dovrebbero comunque convincere le autorità a prendere provvedimenti.

Le politiche di credito fiscale fino al 110 per cento per l’efficientamento energetico degli edifici (si può discutere se l’incentivo, rafforzato rispetto alle edizioni precedenti, sia troppo generoso) sono un fattore importante, anche perché riescono a cogliere più obiettivi contemporaneamente: contrasto alle transazioni in nero nei lavori edilizi, ripartenza dell’edilizia – un settore chiave per l’economia, ad alto moltiplicatore e ad alta intensità di lavoro – non attraverso il consumo di nuovo suolo, ma attraverso l’ammodernamento degli edifici con effetti positivi sia sull’emissione di CO2 sia sulla riduzione di polveri sottili. Altrettanto importanti per il contrasto alle polveri sottili sono anche gli interventi per la mobilità sostenibile e il sostegno agli investimenti in industria e agricoltura che consentano l’adozione di tecniche produttive all’avanguardia in grado di ridurre l’impatto sulle polveri.

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Riforestazione e potenziamento del verde pubblico svolgono un ruolo rilevante. In Italia circa il 6,4 per cento dei comuni ha al proprio interno aree di parco nazionale e circa il 23 per cento aree di pregio ambientale (inclusi parchi regionali e aree protette). I dati a nostra disposizione sottolineano, come è ovvio, che la qualità dell’aria nel primo gruppo di comuni è significativamente migliore (polveri sottili e biossido di azoto) riducendo di circa il 10 per cento il tasso di mortalità in quelle aree. I parchi estendono la loro funzione di “polmoni verdi” anche alle zone limitrofe: la qualità dell’aria, al netto del controllo di altri fattori rilevanti, peggiora progressivamente al crescere della distanza geografica da essi.

Da economisti dobbiamo imparare sempre di più a tenere in considerazione lo scambio che esiste tra sistema sociale, sistema produttivo ed ecosistema. L’ecosistema non è un ornamento, ma “l’oceano” in cui viviamo. Produce servizi non di mercato (qualità dell’aria, qualità dell’acqua, fertilità dei suoli e loro resistenza a calamità ed erosioni) essenziali per la nostra salute e per la produttività delle nostre imprese. Le scelte politiche devono tenerne conto.

Figura 1 – Livelli medi giornalieri di PM2.5 e Pm10 in Italia nel periodo 2017-2020. Distribuzione geografica dei comuni contenenti aree parco nazionale, parco regionale o aree naturali protette in Italia.

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  1. Amegighi

    L’articolo è chiaro e evidenzia dati e fatti noti da tempo a livello medico. Le statistiche e le misure ci sono pure. Le chiusure per sforamento dei limiti legali anche. Tutto è pubblico e accessibile da tutti.
    E’ altrettanto vero che i Presidenti delle Regioni sono i responsabili della sanità dei loro cittadini. E allora, finiamola con analisi, valutazioni di cose ovvie. La legge esiste ed occorre, secondo me iniziare ad agire aprendo delle denunce e mettendo i reponsabili politici della sanità di fronte alle loro responsabilità. E attraverso questo indurli finalmente ad agire

  2. Simone

    ottimo articolo, ricco di spunti, che risalta, come esplicita l’autore, la relazione deteminante tra sistema sociale, sistema produttivo ed ecosistema.L’emergenza del COVID-19 sta mostrando, in tutta evidenza, quanto la pressione sull’utilizzo delle
    risorse naturali e l’obiettivo di una crescita ecosostenibile, stiano diventando questioni prioritarie per la società civile nel suo complesso (famiglie, imprese, istituzioni politiche). E’ semplicistico sostenere l’esistenza di una inevitabile dicotomia, trade-off, tra economia e salute che in realtà vivono l’una dell’altra se persino la finanza internazionale – i Masters of World, come vengono definiti i gestori dei grandi fondi di investimento – hanno riconosciuto come il rischio climatico sia “un rischio di investimento”, una minaccia ai loro ritorni sul lungo termine (non esiste un pianeta B in cui investire!)

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