Lavoce.info

Vaccinare gli adulti per proteggere gli anziani

I vaccini contro il Covid-19 sono in dirittura d’arrivo. Ora si tratta di convincere le persone a vaccinarsi e garantire la cooperazione tra paesi a livello globale. Ma si deve anche affrontare un’altra questione cruciale: a chi destinare le dosi.

La riluttanza a vaccinarsi

Stanno arrivando i vaccini anti-coronavirus. Per fortuna, perché con il vaccino sarà possibile fare grandi progressi contro la pandemia. Purtroppo, il percorso “dal vaccino alla vaccinazione” è sempre impegnativo e lo è in particolare nel caso del Covid-19 per il carattere globale del problema.

La realizzazione di un programma di vaccinazione consiste di quattro parti: generare domanda; assegnare le dosi; distribuirle; verificare la copertura nella popolazione.

La distribuzione e la verifica della copertura sono essenzialmente problemi di management. Prima di parlare di assegnazione delle dosi, non si può tacere che creare la domanda – senza la quale nessun programma può decollare – è molto più difficile di quanto possa sembrare a prima vista. Generare la domanda per il vaccino vuol dire, in parole povere, convincere la gente a vaccinarsi (dato che non è realisticamente possibile obbligarla). È chiaro che il problema esiste: chiunque preferirebbe non vaccinarsi, ma se nessuno lo fa, il virus resta. Ciò che stupisce è l’entità del problema: nel 2019, prima del Covid, l’Organizzazione mondiale della sanità inseriva la cosiddetta “vaccine hesitancy” (esitazione vaccinale) fra le dieci principali minacce alla salute globale, mettendola sullo stesso piano, per esempio, della mancanza di assistenza primaria.

In questo momento, una certa riluttanza al vaccino anti-Covid è legittima perché se ne sa molto poco, tanto che Lancet ha compilato una lista degli elementi fondamentali che non si conoscono ancora. Ma i dati sulla perplessità a vaccinarsi restano comunque preoccupanti: il sondaggio pubblicato il 20 ottobre su Nature Medicine chiedeva agli intervistati (13 mila, in 19 paesi): “Ti vaccineresti contro il Covid-19 se fosse dimostrato che il vaccino è sicuro ed efficace?”. Il 30 per cento degli intervistati ha risposto no (per inciso, in Cina le risposte affermative sono il 90 per cento, in Italia siamo nella media).

Se poi alla domanda si toglie la condizione sulla sicurezza ed efficacia, si indovina facilmente che i numeri veri dell’hesitancy ne fanno l’ostacolo più difficile da superare nella strada verso la vaccinazione. Certo bisogna tenere a mente che “il meglio è nemico del bene”, però per il momento siamo davvero lontani dall’avere informazioni sufficienti sulla qualità dei vaccini per generare una domanda efficace. Per migliorare la situazione, sicuramente deve essere garantita la massima trasparenza sui risultati che via via emergeranno, perché la sfiducia in chi gestisce l’informazione è una delle determinanti principali della esitazione vaccinale.

Cooperazione necessaria

L’altra questione è a chi destinare le dosi. Di fatto, si tratta di scegliere se massimizzare il numero di vite da salvare oppure il numero di anni-vita. Più crudamente, se privilegiare gli anziani o i giovani. Se ne può dibattere all’infinito, ma sotto il profilo morale un gruppo non è “più meritevole” dell’altro. E la scelta su chi debbano essere i “vincitori” e chi i “perdenti” è ovviamente molto difficile. Sia come sia, la comunità internazionale ha unanimemente scelto di privilegiare il numero di vite da salvare, cioè di proteggere gli anziani. A indurre a questa scelta contribuiscono il problema logistico del sovraccarico delle strutture sanitarie e il fatto che la morte è irreversibile, ma non solo. Altre motivazioni si possono leggere nel capitolo 3 delle linee guida rilasciate dalla statunitense National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine.

Leggi anche:  Assistenza agli anziani: fatto il decreto, manca ancora la riforma

Data quindi per assodata la scelta di proteggere gli anziani, il problema principale, a livello globale, è in realtà un altro: il grado di cooperazione fra i paesi. È significativo che un’autorevole denuncia del pericolo del “vaccine nationalism” (nazionalismo vaccinale) venga da un articolo pubblicato sulla Harvard Business Review. Mentre un gruppo di ricercatori della Northeastern University ha stimato che una strategia cooperativa nella distribuzione di 3 miliardi di ipotetiche dosi (assegnate a ogni paese in proporzione alla popolazione) da marzo a settembre 2020 avrebbe evitato il 61 per cento dei decessi avvenuti, mentre una strategia non-cooperativa (2 miliardi a un gruppo di paesi ricchi e il resto agli altri) ne avrebbe evitato solo il 33 per cento. Non mancano sforzi per promuovere scelte globali allo stesso tempo eque ed efficaci, ed è anche stato creato un programma di collaborazione – il Covax – a cui partecipano 181 paesi, ma per esempio gli Stati Uniti non vi hanno (finora) aderito, e neanche l’India.

Chi vaccinare prima

I singoli paesi avranno poi autonomia nel definire i programmi concreti di distribuzione delle dosi al loro interno. Si può presumere che i piani rifletteranno quanto contenuto nel testo della National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine, che è dettagliato e ispirato al buon senso. Su questa base, si vaccinerebbero subito medici e infermieri, le persone ricoverate negli ospedali e gli anziani che vivono in comunità; toccherebbe poi ai lavoratori in settori critici e alle persone che vivono in situazioni di particolare pericolo, come le carceri. Dopo si procederebbe con tutti gli altri anziani e, infine, con adulti e ragazzi. In pratica, dopo la prima fase dedicata a medici e ad altre situazioni di emergenza, l’idea è quella di procedere per gradi di pericolosità della malattia, cominciando da tutti gli anziani che non sono inclusi nella prima fase. E qui sorge la mia perplessità, perché non si tiene conto di come vengono contagiati questi anziani.

Dall’andamento crescente dell’età media dei contagiati dopo l’estate sembra potersi dedurre che il veicolo più rilevante, in questa fase, siano le persone più giovani con cui gli anziani vengono a contatto. La dinamica, per grandi linee, è intuibile: i ragazzi fanno vita sociale, il virus fra loro gira e quando sono a casa o a scuola contagiano familiari e insegnanti; queste persone (che essendo in età lavorativa hanno anche altri contatti), a loro volta, sono in relazione coi nonni e il virus raggiunge la fascia a rischio. Ma se è così, siamo sicuri che vaccinare gli anziani sia la strada corretta per proteggerli?

Leggi anche:  Sanità pubblica tra problemi e narrazioni

Assumiamo per semplicità che ci siano solo “giovani” e “anziani” e che i giovani facendo vita sociale prendano il virus e contagino gli anziani. Ci sono due modi per bloccare la trasmissione e proteggere gli anziani: vaccinare loro o vaccinare i giovani. Vaccinando gli anziani, si lascia il virus libero di infettare i giovani; vaccinando i giovani, non si infetta nessuno. Dunque, in prima approssimazione, la strada corretta non è quella di vaccinare i gli anziani, ma l’esatto contrario. Per inciso, se il vaccino ha effetti collaterali, con tutta probabilità ne ha di più sui più anziani.

Cosa accadrà in Italia? A quanto pare, da noi arriveranno nel corso del 2021 circa 30 milioni di dosi, il 13,5 per cento dei 225 milioni di vaccini prenotati dall’Unione europea. Se togliamo quelli destinati a medici, infermieri e persone in emergenza, ne potrebbero restare all’incirca 25 milioni. Nel nostro paese ci sono 19 milioni di persone fra i 10 e i 39 anni, 26 milioni fra 40 e 69 e 10 milioni sono over 70. Vaccinare le persone di più di 70 anni e poi scendere fin dove si arriva significa coprire gli adulti dai 50 anni in su, lasciando scoperti i 30 milioni di persone della fascia 10-49 anni. Vaccinando invece gli adulti fra i 40 e i 70 anni (possibile con 25 milioni di dosi) si coprirebbe la fascia più produttiva della società – che è anche quella con più contatti sociali – e si lascerebbero scoperti “solo” i 19 milioni nella fascia 10-39 anni. Gli anziani sarebbero protetti, perché le persone con cui entrano in contatto sono gli adulti – colf, badanti, figli, impiegati di uffici e supermercati – che sarebbero immunizzati. Sì, forse i nonni dovrebbero rinunciare per un po’ ad abbracciare i nipotini e dovrebbero accettare qualche vincolo alla loro libertà per evitare contatti con altri over 70. Ma sembrano sacrifici limitati, senza contare che proprio i più anziani – e dunque più fragili – eviterebbero le incognite di una vaccinazione percepita come niente affatto innocua.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Tutti i rischi della cittadinanza a punti

Precedente

Banche e virus: la resa dei conti è solo rinviata

Successivo

Dopo il Covid-19 la Cina riprende a correre

  1. “Vaccinando gli anziani, si lascia il virus libero di infettare i giovani; vaccinando i giovani, non si infetta nessuno”. E’ vero che la modellistica richiede astrazioni e generalizzazioni, ma questo schema di modellizzazione mi sembra alquanto lontano dai dati di realtà. Due aspetti critici tra i molti (anche di tipo clinico, che tralascio): i “giovani” hanno probabilisticamente una minore propensione a vaccinarsi; gli “anziani” non sono reclusi in casa, e non si limitano a “abbracciare i nipotini”. Le soluzioni controintuitive sono affascinanti, ma richiedono una base empirica

  2. la proposta è di vaccinare le persone nella fascia 40-70 invece che quelli nella fascia 70+ (che non vivono in comunità)

  3. Lorenzo Luisi

    Sembra un discorso contraddittorio in termini: Poche persone vogliono vaccinarsi e si tenta di capire chi vaccinare prima! A monte ci sono altri problemi: 1) Il vaccino antiinfluenzale è sparito a fronte di tanti che vogliono vaccinarsi; 2) Per quest’anno la domanda (salvo obblighi) di antiCovid è praticamente nulla; 3) Se viene interrotta la catena del freddo si rischia di inoculare un placebo …

  4. Simone Maioli

    La proposta è interessante, ma le conclusioni non appaiono del tutto coerenti. Applicando questo approccio, per massimizzare l’effetto vaccinale sulla popolazione, non si dovrebbero selezionare i candidati in relazione solamente all’età, ma in base al numero e alla intensità dei contatti giornalieri potenzialmente diffusivi della malattia. Dovrebbero quindi essere evidenziati dei fattori di rischio quali ad esempio professione, densità abitativa della residenza, e anche età e stile di vita, e costruire un modello con il quale stilare una scala di precedenze. In realtà l’autore ha già implicitamente adottato questo metodo attribuendo la precedenza assoluta al personale sanitario.

  5. Tuttavia, se vaccinarsi non esclude per il vaccinato la possibilità di diffondere il virus, come sembrerebbe possibile, viene meno il fondamento della sua proposta. Solo fra qualche mese sarà possibile capire se il vaccino lascia il paziente infettivo oppure no (vedi Capua versus Burioni)

  6. Aram Megighian

    Lascerei la discussione a chi è esperto in materia. C’è chi lo è sulla logistica che sottende una distribuzione rapida di un vaccino, e chi lo è sugli effetti diretti e collaterali del vaccino stesso. Mi pare che il peso dei non-esperti medici nel voler entrare a porre in discussione anche ciò che viene detto dai medici, sia stato troppo eccessivo in questa pandemia e abbia provocato più danni (intendo morti e lesioni gravi) che benefici. E credo che anche su questo bisognerebbe alla fine fare un’analisi seria.
    La medicina è una scienza sperimentale che si basa sull’analisi e la ripetibilità dei dati. Non è assoluta, ma basata sulla probabilità che quel dato possa ripetersi ripetendo l’esperimento.
    Ad oggi, non ci sono purtroppo informazioni pubbliche sui vaccini in via di approvazione. Questo è molto grave, dal momento che tutti i lavori pubblicati su riviste peer-reviewed ad alto impatto esigono la pubblicazione dei dati completi in repositories accessibili pubblicamente dalla rete. Però, al contrario, abbiamo annunci e reazioni nel mercato finanziario. Cosa ancora più grave.
    E’ da considerare che le prossime valutazioni dell’FDA (metà Dicembre) ed EMA (primi di Gennaio) siano utili a capire meglio cosa fanno questi vaccini, considerando anche a chi sono stati somministrati nella fase 3. Se sono stati somministrati a persone sotto i 65 anni, tutto il discorso fatto non ha alcun senso. Se non sappiamo il grado di anticorpi prodotti per gruppi di età, pure non ha alcun senso

  7. Giuseppe Pistilli

    I giovani faranno molto resistenza a farsi vaccinare, perché non serve affatto a loro bensì a raggiungere l’immunità di gregge. Peccato che se questo era l’obiettivo, li si poteva lasciar liberi di infettarsi mentre si proteggevano i soggetti a rischio, e invece sono stati reclusi e limitati per mesi, con le restrizioni cbe pesano di più proprio a loro.
    Risponderanno picche, quelli educati, molti altri vi apostroferanno con rabbia, a avranno pure ragione.

  8. Giulia Giachin

    Assurdo vaccinare prima i giovani: i vaccini proteggono chi si è vaccinato, non elimina il pericolo per i vaccinati di contagiare gli altri; una simile decisione è pretestuosa e contraria all’etica.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén