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Far pagare i condannati è una questione di giustizia

L’emergenza sanitaria ha accentuato la crisi del sistema penale, ma le prospettive di riforma non possono ignorare un problema di fondo: i condannati “non paganti” sono troppi. Come ridurre il contenzioso, coniugando giustizia sociale e utilità economica.

La prevalenza della pena detentiva

La pandemia da Covid-19 amplifica i problemi strutturali del sistema penale italiano. Rinvii e sospensioni processuali produrranno aumenti delle pendenze penali, con una ulteriore frustrazione delle aspettative di giustizia di indagati, imputati e persone offese, che va ad aggiungersi a quella già attestata dalla durata media del procedimento penale italiano, che spicca (in negativo) fra i paesi del Consiglio d’Europa.

Sul versante sostanziale, “vengono al pettine” i nodi di un sistema sanzionatorio ancora monopolizzato dalla pena detentiva, ma percepito come largamente ineffettivo, che costringe a continui interventi legislativi per alleggerire la “pressione carceraria” (da ultimo, il decreto legge 137/2020). Oltre al mancato investimento nell’edilizia penitenziaria, si paga la scelta di non diversificare le tipologie di pena: quella pecuniaria, in particolare, continua a rimanere inesplorata. È possibile che pesi qui l’incapacità di risolvere un problema propedeutico a ogni discorso di riforma: è un problema di free riding.

I condannati “non paganti”

Il tema della mancata o infruttuosa riscossione delle pene pecuniarie inflitte ai condannati è già stato meritoriamente portato all’attenzione dell’opinione pubblica. Si tratta della situazione per cui una larga parte dei “fruitori” del servizio della giustizia penale (nei confronti dei quali si è approntato un sistema di costose garanzie processuali) non paga per i reati commessi e accertati con sentenza definitiva. Questa parte si comporta, cioè, da free rider.

La cosa mina alla radice la legittimità dello stato di diritto come comunità solidale di individui, se si considera che, mentre il contribuente è soggetto a un’imposizione fiscale per attività economiche lecite (imposizione che peraltro finanzia il servizio della giustizia penale), l’imposizione di origine penale a carico di chi realizza condotte illecite, in spregio al “patto sociale”, viene largamente disattesa. Se ci sono vittime di reato “in carne e ossa”, poi, l’iniquità è doppia: alla violazione dei propri diritti e alla successiva “vittimizzazione secondaria” da processo, segue l’impunità dell’autore del reato.

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C’è però una seconda variante del fenomeno, con implicazioni processuali. Un’altissima percentuale dei ricorsi per Cassazione sono dichiarati inammissibili: in parole povere, non dovrebbero essere proposti. Nei fatti, la mole di questi ricorsi (sconosciuta a sistemi giuridici di altri paesi avanzati, come la Spagna o la Francia) comporta una sottrazione di tempo e risorse alla trattazione dei ricorsi ammissibili, cioè contribuisce indirettamente alla lesione delle aspettative di giustizia di imputati e altre parti private che ricorrono in Cassazione legittimamente. Anche in questo caso, la poca evidenza disponibile è nel senso che le “spese di giustizia”, tra cui le sanzioni pecuniarie alle parti private per l’inammissibilità del ricorso, raramente vengono riscosse. Di nuovo: una parte dei “fruitori” della giustizia penale (essenzialmente imputati che, per l’inammissibilità del ricorso, diventano condannati in via definitiva) si comporta da free rider, accollando il costo delle proprie azioni ad altri individui e, più in generale, alla comunità (dei contribuenti).

La proposta

La risoluzione del problema può presentare due risvolti: di giustizia sociale, poiché si eliminerebbe l’intollerabile disparità di trattamento tra free rider e individui rispettosi del “patto sociale”; di utilità economica, poiché l’introito derivante da pene e sanzioni (o da una parte di esse) sarebbe destinabile ad aumenti di risorse e organici. Se, poi, fosse destinato a un innovativo sistema di rifusione delle spese processuali degli assolti in via definitiva, giustizia sociale e utilità economica andrebbero a braccetto.

Quanto all’effettiva riscossione delle pene pecuniarie in caso di insolvibilità, vera o artefatta, si dovrebbe disporre l’automatica conversione in attività che mantengano una portata dissuasiva, oltreché rieducativa: l’attuale libertà controllata (articolo 102, legge n. 689/1981) non costituisce un adeguato disincentivo all’inadempimento. È opportuno superare gli esiti della sentenza della Corte costituzionale (n. 131/1979) che dichiarò l’illegittimità del sistema di conversione in pena detentiva. D’altronde è la stessa Corte a invitare il legislatore a “restituire effettività alla pena pecuniaria”, rimediando al “farraginoso” meccanismo di enforcement. Fatto questo, la strada per un minor ricorso alla pena detentiva, a vantaggio di quella pecuniaria (come già accade in diversi paesi europei), sarebbe aperta.

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Quanto, invece, al problema dei ricorsi, si dovrebbe introdurre un sistema di deposito cauzionale per la loro presentazione, da trattenersi definitivamente in caso di inammissibilità. La prevedibile riduzione del contenzioso e, a catena, dei tempi processuali, andrebbe a beneficio di chi nutre ragionevoli aspettative di giustizia, scoraggiando i tentativi di rinviare (a spese altrui) l’esecutività della sentenza di condanna.

All’obiezione sui temuti risvolti “classisti” di queste misure, si replica con l’individualizzazione della pena e della cauzione sulla base di stime reddituali, non certo tollerando i free rider, come avviene ora.

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Il Punto

  1. Lantan

    Concordo con l’analisi ma soprattutto con le proposte dell’autore. In particolare mi riferisco all’interessante proposta per disincentivare l’eccesso di ricorsi in Cassazione, e cioè quella del “deposito cauzionale da trattenersi definitivamente in caso di inammissibilità”. Per certi aspetti richiama la stessa “ratio” che ha ispirato il D.l. Spazzacorrotti e l’annessa riforma della prescrizione: il blocco del decorso della prescrizione al 1° grado di giudizio onde disincentivare ricorsi in Appello ed in Cassazione fatti con l’unico scopo di dilazionare i tempi del processo e far fulminare il procedimento giudiziario dalla prescrizione. Opportuna e necessaria anche una depenalizzazione in modo da sfoltire l’affollamento delle cause che intasano i tribunali; oppure rendere più conveniente riti alternativi (i.e. patteggiamento) con robusti sgravi di pena in modo da accelerare i tempi dei processi. Perché in Italia il problema – lo ripeto fino alla nausea – non sono i “processi lunghi”: il problema è che di processi se ne fanno troppi! Qualsiasi apparato giudiziario collasserebbe col numero di processi/anno che si fanno in Italia. Negli altri paesi Occidentali la baracca sta in piedi perché di processi se ne fanno UN DECIMO di quelli che fanno da noi.

  2. Pa

    Perfetto. Grazie

  3. Cordioli Alberto

    Sicuramente tutto vero e sacrosanto, ma come il solito in Italia vigono due leggi che inficiano qualsiasi “Buona volontà” : la prima è guardare il “dito” invece della Luna e la seconda è seguire l’onda dell’ipocrisia istituzionale invece di capire qual’è nella REALTA’, il VERO PROBLEMA.
    Che nel caso dell’Italia è che la Giustizia non è solo lenta e con il delinquente MOLTO più protetto degli “offesi”, ma anche permette ai giudici di emettere sentenze scandalose, assolutamente criptiche e spesso per nulla rispondenti ai temi del processo, o almeno NON a tutti.
    Il VERO PROBLEMA IN ITALIA E’ CHE PER TROPPO TEMPO I VERI DELINQUENTI ERANO GLI STESSI POLITICI O UNA GRAN PARTE DI ESSI FIANCHEGGIATORI COLLUSI O MALVITOSI LORO STESSI, e questo ha concesso a premier di ormai acclarata mafiosità di procedere al sistematico smantellamento del potere giudiziario e facendo in modo che avanzassero giudici e pubblici ministeri incompetenti e scaldasedie …
    IN ALTRI TERMINI LA RIFORMA DEVE RIPARTIRE DALLA MORALIZZAZIONE E SANIFICAZIONE PROFESSIONALE DI GIUDICI E PUBBLICI MINISTERI … tutto il resto è solo un pezzuola fresca su un malato covid … giusto per stare in tema …
    Se non ci sono seri professionisti come Davigo, Gratteri e gli uccisi Falcone e Borsellino, come vuole pretendere di “avere giustizia”???
    Glielo dice uno che nei tribunali per tanti e diversi motivi ci ha bazzicato molto ed ha ben visto la REALTA’ immonda che ci si trova, ben sviluppata dai giornalisti seri.

  4. Giuseppe GB Cattaneo

    Corretto, la pena pecuniaria dovrebbe essere introdotta per tutti i reati che non comportano violenza.

    PS la pena pecuniaria per essere equa dovrebbe essere proporzionale alla ricchezza posseduta oltre che alla tipologia di reato.

    PS naturalmente la pena pecuniaria per essere equa dovrebbe essere distribuita sull’intero ciclo vitale in una pecentuale annua della ricchezza e del reddito.

    PS quando si parla di giustizia sarebbe meglio pensare prima di parlare

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