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Con il nido gratis per tutti cresce l’intero paese*

L’Italia è ancora uno dei paesi europei che destina meno risorse alla prima infanzia. Eppure, garantire gratuità e universalità degli asili nido darebbe enormi vantaggi. A beneficio dei bambini, ma anche del Pil, con l’aumento dell’occupazione femminile.

Poche risorse per la prima infanzia

Il Bilancio di genere 2019, appena presentato al Parlamento, conferma che sui servizi per l’infanzia l’Italia non ha ancora colmato il gap con gli altri paesi europei, nonostante l’aumento di risorse pubbliche dedicate negli ultimi anni. I dati più recenti, riferiti al 2015, testimoniano che la spesa pubblica per asili nido ammontava allo 0,08 per cento del Pil, una delle cifre più basse in Europa (grafico 1).

Oggi in Italia il 37 per cento dei bambini nella fascia di età 0-36 mesi usufruisce di servizi di asilo nido, sia esso privato o pubblico. Tuttavia, la percentuale è una media che rivela una realtà assai eterogenea per fascia di età (grafico 2). La quota di bambini che frequenta l’asilo nido nel terzo anno di vita è superiore al 40 per cento, mentre la percentuale si abbassa alla metà nell’anno precedente, fino a decimarsi nel primo anno di vita.

Grafico 2 – Modalità di cura dei bambini 0-36 mesi.

Fonte: Istat su dati Eu-Silc (2017)

Il costo per la famiglia non varia per fascia di età, quindi la differenza sottende una domanda assai diversa per questo servizio, non sempre considerato ideale nel primo anno di vita del bambino (si ricordi che non si tratta qui di “posti disponibili” nel sistema pubblico, ma di posti effettivi occupati, sia nel pubblico che nel privato).

Con la legge di bilancio era stato annunciato che, dal primo gennaio 2020, il rafforzamento del bonus per gli asili nido avrebbe consentito la sostanziale gratuità per la grande maggioranza delle famiglie italiane. È davvero così? Non proprio.

Il bonus, così come accade con il bonus bebè per i figli con meno di un anno di età, non può garantire la sostanziale gratuità, in quanto l’importo massimo è parametrizzato all’Isee, a copertura di una cifra variabile tra i 1.500 e i 3 mila euro l’anno, che è una somma più bassa della retta che molte famiglie pagano per l’accesso al nido. Soprattutto, però, il limite di spesa per il 2020 è di 520 milioni di euro, dunque il bonus garantisce una copertura potenzialmente molto inferiore rispetto al numero di bambini di età 0-36 mesi e alla quota delle famiglie che vorrebbero usufruire del servizio dell’asilo nido.

Nel frattempo, procede l’iter parlamentare del disegno di legge per istituire l’assegno unico e universale per i figli. In una fase di rinnovato interesse per il supporto pubblico alle famiglie, ci sembra dunque utile una quantificazione della possibile universalità e gratuità dell’asilo nido, valutandone gli effetti sul bilancio pubblico e sull’occupazione femminile.

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Quanto potrebbero costare asili gratuiti e universali?

Visto che molto spesso i genitori non ritengono l’asilo nido una struttura adatta ad accogliere un neonato, consideriamo uno scenario in cui la famiglia provvede direttamente alla cura dei figli nel primo anno di vita, sostenuta da congedi parentali per entrambi i genitori o dal ricorso al voucher nido/baby sitter (se sceglie di affidarsi a esterni per la cura del bambino) – che andrebbe esteso a carattere universale per tutte le famiglie in cui sia la madre sia il padre lavorino.

Il costo dell’estensione dell’attuale voucher (il massimo, oggi, è di 600 euro mensili) a tutti i bambini con entrambi i genitori che lavorano ammonterebbe a 960 milioni. Il calcolo presuppone una durata di 8 mesi (ossia 12 mesi meno i mesi del congedo di maternità obbligatoria dopo il parto, ipotizzando l’utilizzo del congedo un mese prima del parto) e circa 200 mila bambini nati da genitori entrambi lavoratori o in cerca di occupazione.

Quanto costerebbe, invece, l’universalità e la gratuità dell’asilo nido per i bambini nel secondo e terzo anno di vita? Partendo dalla cifra di 6.320 euro annui (Istat, 2019) come costo medio per bambino, e considerando la platea dei bambini dai 12 ai 36 mesi (circa 870 mila), il totale complessivo sarebbe di 5,5 miliardi, al lordo della spesa corrente già allocata pari a 1 miliardo e 400 milioni nel 2017.

La cifra è da considerarsi un limite massimo, in quanto, verosimilmente, non tutte le famiglie che ne hanno diritto accederebbero al servizio. L’universalità e gratuità del nido potrebbe essere un traguardo plausibile nel terzo anno di età, quando c’è maggiore interesse delle famiglie ad avvicinare i bambini al nido. Garantirebbe anche un precoce avvicinamento alla scuola dell’infanzia, che ha coperture ben più alte, peraltro in parte motivate dalla più bassa compartecipazione al costo chiesta alle famiglie.

Se consideriamo uno scenario più realistico, nel quale universalità e gratuità sono garantite per il terzo anno di età, mentre per il secondo anno di vita la gratuità è riservata soltanto ai figli di genitori entrambi occupati (o in cerca di occupazione), avremmo un costo lordo a carico dello stato di 4 miliardi.

E quale potrebbe essere l’effetto sull’occupazione femminile?

La riduzione o addirittura l’azzeramento della retta dell’asilo nido determina un maggiore salario netto a disposizione delle famiglie in cui i genitori lavorano. Considerando inelastica l’offerta di lavoro dei padri, è riconosciuto che l’offerta di lavoro femminile è particolarmente reattiva al prezzo della cura nei confronti dei bambini e, in misura molto minore, anche degli anziani. Pertanto, una drastica riduzione del costo della cura porterebbe ad aumentare l’offerta di lavoro. Di quanto? Recenti lavori confermano che l’elasticità dell’offerta di lavoro delle donne con figli in età 0-3 anni è particolarmente elevata, con valori medi intorno allo 0,5: ad esempio, un aumento del salario del 10 per cento si tradurrebbe in un aumento dell’offerta di lavoro del 5 per cento. Considerando un salario lordo medio delle donne con figli in età 4-36 mesi di 1.400 euro al mese (fonte Eu-Silc 2018) e un costo per l’asilo nido pari al 45 per cento di quel salario (presupponendo l’intera cifra a carico della famiglia, come oggi avviene nei nidi privati), la gratuità del servizio dell’asilo nido determinerebbe, in termini medi, un aumento di 13 punti percentuali del tasso di partecipazione delle donne con figli in età inferiore ai 3 anni.

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Se la maggiore partecipazione si trasformasse in occupazione effettiva, quella femminile complessiva aumenterebbe di circa 100 mila unità, ossia dell’1 per cento. E tale stima è da considerarsi conservativa, perché se più bambini frequentassero l’asilo nido si renderebbe necessario un numero maggiore di insegnanti, oltre alla costruzione e messa a punto di nuovi locali adibiti al servizio di cura, innestando un circolo virtuoso di più alta occupazione.

La maggiore occupazione, che avverrebbe con gradualità nel tempo, non si limita a un positivo impatto sul Pil e quindi a contribuire alla crescita economica del paese. I benefici di una più alta occupazione femminile sono incommensurabili, soprattutto in un paese dove l’attitudine verso la parità di genere stenta ad affermarsi come norma. Non solo, una maggiore occupazione femminile avrebbe anche ripercussioni intergenerazionali: aver avuto una mamma che lavora è positivamente correlato a essere una donna lavoratrice.

In più, i benefici sul lato dell’occupazione e della crescita economica, contro un costo per la finanza pubblica relativamente contenuto benché decisamente superiore all’esiguo ammontare oggi dedicato ai servizi socio-educativi per la prima infanzia, si sommano a quelli che i bambini ottengono dalla frequenza di un asilo nido, come ampiamente dimostrato in letteratura e analizzato anche su lavoce.info. Ne deriverebbero maggiori capacità cognitive e di socializzazione dei bambini in futuro, in particolar modo negli strati sociali meno alti, che risulterebbero i maggiori beneficiari dell’universalità dell’offerta di asili nido.

* L’articolo è apparso anche su InGenere.

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  1. Savino

    Se continuiamo a pensare alla falsa fragilità degli anziani dal portafoglio pieno e continuiamo a dimenticarci dei veri fragili che sono giovani, donne e bambini….

  2. Henri Schmit

    Ottimo, analisi interessante, conclusioni scontate. Costo aggiuntivo dell’asilo nido universale gratuito = 4 miliardi. L’effetto sull’occupazione purtroppo non è automatico, ma dipende dall’offerta. Arrivato in Italia da altri paesi fra cui la Francia ho difeso questa soluzione 30 anni fa, senza il calcolo della spesa pubblica. Non ho cambiato idea, solo che ora non vale più per le mie figlie, ma semmai per i miei nipoti … Ho però un timore: che facciano il nido gratuito di cittadinanza!

  3. Maria Rosa Di Lallo

    Ricordiamoci, comunque, che, nella maggior parte dei casi, far uscire un bimbo o una bimba (almeno fino ai 3 anni di età) la mattina – spesso in orari antelucani – per portarlo/a in un asilo-nido non è una soluzione ottimale. Pertanto riterrei più opportuno affiancare agli interventi di potenziamento di queste strutture (e connessi aiuti finanziari) lo sviluppo di altre tipologie di azioni, quali: estensione dei periodi di congedo retribuito per uno dei genitori, copertura dei costi di baysitteraggio, ecc.

  4. Maria Cristina Migliore

    Sembra paradossale che per fare aumentare il PIL le attività di cura dei più piccoli e dei loro care givers si debbano spostare sul mercato, seppure pubblico. Non basterebbe conteggiare nel PIL il lavoro di cura delle famiglie? Sono d’accordo con Maria Rosa Di Lallo circa i tipi di interventi da diffondere a sostegno delle famiglie con figli così piccoli.

  5. Andrea

    Doveroso. Un altro punto dove l’Italia è indietro. Comunque nel breve periodo (dato che gli asili nido nuovi non li spuntano come funghi) sarebbe opportuno un aiuto per il babysitting, ridurrebbe pure il nero.

  6. Pippo Calogero

    A me sembra che tutto in questo articolo sia incommensurabile, a parte la spesa certa strutturale tra i 4 e i 5,5 miliardi di euro, che sono un sacco di soldi. Ad esempio il PIL di quanto aumenterebbe ed in quanto tempo? In pratica pagheremmo una cinquantina di migliaia di euro per ogni posto di lavoro creato, presumibilmente di pessima qualità, altrimenti il reddito generato dalla famiglia sarebbe già sufficiente a pagare la retta. In Italia c’è questo strano clima economico per cui i posti di lavoro sono generati da offerta di lavoro e spesa pubblica. E le questioni di genere sono la scusa perfetta per alimentare tali dinamiche.
    Al posto di regalare la retta degli asili a chi se lo può permettere, non avrebbe ad esempio più senso investire nell’istruzione superiore e produrre lavoratrici qualificate che non debbano per forza farsi mantenere i figli dallo stato?

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