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Bicameralismo in cerca di riforme semplici

Il taglio dei parlamentari potrebbe essere l’occasione per una rilettura del bicameralismo, senza alterare la Costituzione. Con un Senato espressione delle autonomie e una legge elettorale ispirata al Mattarellum si rafforzerebbe la rappresentatività.

Come dovrebbe essere la legge elettorale

La vittoria del “sì” al referendum conferma il drastico taglio della rappresentanza e impone ora nuovi interventi per differenziare il bicameralismo e per introdurre una legge elettorale che favorisca il più possibile il rafforzamento del filo che lega i rappresentanti ai rappresentati, reso oggi ancora più sottile.

Partiamo dalla legge elettorale, la questione più semplice perché la si può affrontare con una legge ordinaria. La soluzione dovrà essere diversa dalle proposte che sono state fin qui ipotizzate. Oggi in Parlamento giacciono infatti progetti di legge strutturati su liste bloccate (condizione già bocciata nel 2014 dalla Corte costituzionale, un aspetto che sembra non turbare i nostri legislatori) e sull’allargamento delle circoscrizioni elettorali: provocherebbero un ulteriore annacquarsi della rappresentanza, che invece è proprio quanto andrebbe evitato, soprattutto se consideriamo che da molto tempo non esistono più solidi partiti strutturati, in grado di offrire uno strumento di partecipazione e inclusione democratica.

Molto più semplice, invece, una diversa soluzione: per la Camera dei deputati andrebbero mantenuti gli attuali 230 collegi uninominali – che garantiscono un collegamento tra eletti e territorio – mentre i restanti 170 (al netto della quota riservata agli italiani all’estero) andrebbero ripartiti a livello circoscrizionale con sistema proporzionale su lista e soglia di sbarramento credibile, previo scorporo totale dei voti ottenuti nella parte maggioritaria. Si tratterebbe di una versione “leggera” del Mattarellum, con una parte maggioritaria del 57,5 per cento dei seggi, sufficiente per favorire processi di aggregazione, ma non così ampia da produrre esiti eccessivamente manipolativi e disproporzionali, non adatti a rappresentare un quadro politico complesso e variegato come quello italiano. Con l’ulteriore vantaggio che i collegi e le circoscrizioni sono già disegnati e questo semplificherebbe le cose.

Verso il Senato delle autonomie

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Diverso è il problema del Senato. La legge elettorale non potrà prescindere da un collegamento con una limitata riforma del bicameralismo paritario. Il diritto comparato ci mostra che nei sistemi decentrati la vocazione naturale della seconda camera non è tanto quella di rappresentare l’elettorato nel suo complesso, quanto il sistema delle autonomie territoriali. E la drammatica esperienza della pandemia degli ultimi mesi – caratterizzata da una costante difformità di scelte tra governo centrale e governi regionali – ha dimostrato che esiste il problema di una razionalizzazione e di una migliore condivisione delle responsabilità tra centro e periferia. Per questo può essere utile completare la riforma già approvata con alcune limitate correzioni al bicameralismo, per evitare che i normali conflitti politici sfocino in una paralisi decisionale dell’intero sistema.

La prima questione è naturalmente l’elezione e la composizione del Senato. La soluzione, anche in questo caso, potrebbe passare per il mantenimento dei 115 collegi uninominali già esistenti – il che consentirebbe una rappresentanza equilibrata del territorio. I rimanenti 85 seggi dovrebbero essere ricoperti dai 21 presidenti di regione/provincia autonoma e dai 4 senatori eletti dalla circoscrizione estero, a cui si aggiungono 60 senatori indicati dai consigli regionali in proporzione alla popolazione di ogni singola regione. Le elezioni nei collegi andrebbero tenute in corrispondenza alle elezioni regionali, così da allineare il più possibile la rappresentanza del Senato con l’orientamento politico maggioritario nella singola regione.

La seconda riforma potrebbe prevedere la titolarità in capo al Senato dell’iniziativa legislativa relativa alle materie “concorrenti” tra stato e regioni, di cui al comma 3 dell’articolo 117 della Costituzione, in particolare sulla determinazione dei relativi principi generali, per i quali una camera con funzione di raccordo con il sistema delle autonomie è necessaria. Si manterrebbe la doppia lettura delle leggi, ma dovrebbe essere prevista una modalità di prevalenza della Camera dei deputati per le materie di legislazione non concorrente.

Il Senato dovrebbe essere escluso dal circuito fiduciario ma, al fine di mantenere un equilibrio tra le Camere, potrebbe essere prevista una forma subordinata di sostegno al governo, in modo simile a quanto disposto dall’articolo 81 della Legge fondamentale tedesca, che consente a un esecutivo privo della maggioranza nel Bundestag di legiferare poggiandosi sul Bundesrat (la Camera “territoriale”), esclusivamente per un lasso di tempo strettamente definito e su materie limitate.

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Le riforme accennate presentano alcuni vantaggi rispetto ai tentativi riformatori del passato. Innanzitutto, non sarebbero troppo invasive, prevedendo una modifica limitata a un numero ristretto di articoli: le esperienze del riformismo costituzionale dei governi Berlusconi e Renzi con le successive bocciature referendarie dimostrano che la riscrittura di intere parti della Costituzione finisce per essere altamente conflittuale e polarizzante e questo rende difficile un esito positivo del referendum confermativo. Il secondo vantaggio è che queste riforme rimetterebbero al centro l’efficacia della rappresentanza parlamentare, diversamente dalle fallite riscritture del passato che si caratterizzavano per la volontà di rafforzare in chiave “neogollista” il potere esecutivo, incontrando per questo una diffusa contrarietà e resistenza, spesso anche all’interno delle forze politiche che le avevano promosse.

In definitiva, la riduzione dei parlamentari potrebbe essere l’occasione per una rilettura del bicameralismo che, senza l’ambizione di stravolgere la Costituzione, rafforzi le basi della democrazia rappresentativa sulla quale è fondata la nostra Repubblica, completando il disegno dei padri costituenti con un Senato realmente espressione delle autonomie regionali.

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Il Punto

  1. bob

    ma come si può pensare di fare un Senato delle Autonomie dando potere autonomo a 21 “signorie”. Può cortesemente spiegarlo a me e a tanti come me?

    • Henri Schmit

      Sono d’accordo. Qualsiasi tipo di Senato delle regioni o delle autonomie rischia di distruggere ancora di più lo stato unitario attraverso la confusione e la litigiosità. Dovremmo combattere quest’idea deleteria purtroppo ancora molto diffusa fra politici e esperti. Bisogna trovare un’altra soluzione per il futuro Senato o abolirlo completamente.

      • Savino

        Il Senato può essere di “esperti” nel senso di personalità dotate di autorevolezza e cultura che fanno lustro al Paese. Se ne può ipotizzare una carica a vita a titolo gratuito per 50-60 personalità di questa fattezza (scelti da tutti i poteri dello Stato) da far intervenire, in specifiche materie riguardanti il bene comune, nell’iter legislativo, con un notevole rafforzamento dei poteri e della casistica del Parlamento in seduta comune.

        • Henri Schmit

          Io vedrei piuttosto un Senato consultivo, poco numeroso, eletto dai deputati fra candidati che rispondono a criteri molto esigenti ma generici, con mandato lungo, rinnovabile per quote per dare continuità. Dovrebbe avere potere d’iniziativa in tutte le materie, pronunciare pareri solo consultivi, ma con effetto eventualmente sospensivo (modulabile). Esistono modelli esteri da cui ispirarsi. Il ruolo del Senato-consulto sarebbe di assicurare coerenza intrinseca, sistemica ed europea.

      • bob

        bisogna riformare quella vergogna assurda del titolo V. Il Paese ha una sola strada per uscire da questa situazione ” pensare da sistema-Paese” lo certifica la Storia e il buonsenso. Qui non si tratta di ideologia si tratta di un minimo di lungimiranza che qualsiasi Politico dovrebbe avere. Ma temo che il substrato culturale attuale non lo consenta. I risultati “bulgari” di certe Regioni dove personaggi mediocri hanno fatto una vera e propria campagna elettorale quotidiana da farsa teatrale la dice lunga

        • Henri Schmit

          Concordo. Numerosi politici ed esperti si vantano di copiare il modello tedesco. Ma contrariamente ai poteri ducali dei presidenti di regione i Länder sono autentiche democrazie con assemblee elette correttamente e governi di coalizione. Il Bundesrat non è una seconda camera che delibera, ma solo luogo che esprime la posizione dei governi dei Länder. Il federalismo molto spinto nelle competenze dei Länder è di tipo unificante: lo stato federale può sempre invocare l’interesse nazionale e da mezzo secolo la Corte costituzionale federale risolve i casi incerti in un’ottica unificatrice. Il Senato delle Regioni proposto dal PD/Zingaretti purtroppo peggiorerà una situazione già gravemente compromessa (come la gestione della pandemia ha illustrato).

  2. Fabrizio

    Il prof. Cucchini è ben intenzionato, ma le sue proposte sembrano piuttosto portare acqua al mulino dei partiti, anziché togliergliene, che è la cosa fondamentale da fare. Oltretutto, si proseguirebbe su quella via della “legislazione concorrente” stato-regioni, la più sbagliata delle riforme costituzionali approvate dopo il 1948. Io seguito a preferire l’uninominale a turno unico, che valorizza le persone. Se non si vogliono ridisegnare i collegi, con 400 e 200 parlamentari, la cosa meno peggio mi sembra mantenere i collegi attuali con l’uninominale e attribuire i seggi residui su base prorzionale; similmente alla legge che si è applicata per il Senato fra il 1994 e il 2001. Solo dopo di ciò si potrebbe tornare alla revisone del bicameralsimo, un problema decisamente secondario.

  3. Franco Tegoni

    Un’ipotesi di riforma come da Lei formulata si scontra con la realtà dei tempi parlamentari disponibili e, ancor di più, con l’indisponibilità del M5S a rafforzare l’efficienza e l’efficacia del Parlamento che rimane, per loro, l’ostacolo principe a realizzare la “democrazia diretta”. Non è un caso che oggi il M5S sia favorevole ad una legge proporzionale perchè, secondo loro, eviterebbe il totale sfaldamento del movimento perchè nei collegi uninominali a turno unico avrebbero scarse possibilità di successo.

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