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Centri per l’impiego, l’occasione dei fondi NextGen

Il dispiegamento senza precedenti di risorse europee è l’occasione giusta per provare a colmare l’atavica distanza tra domanda e offerta di lavoro in Italia. Una proposta per potenziare davvero i centri per l’impiego e non sprecare un’occasione storica.

Come investire le imponenti risorse dei Next Generation Eu Funds (NextGF) è una delle più importanti decisioni di politica economica che il governo dovrà assumere nelle prossime settimane, mesi e forse anni. Il paese non ha bisogno di investimenti poco significativi in ognuno dei suoi migliaia di comuni, ma di riforme per affrontare le sue grandi inefficienze. Uno dei nodi strutturali dell’Italia riguarda la distanza tra domanda e offerta di lavoro. Secondo le stime dell’Ocse, l’Italia è caratterizzata dal più alto indice di mismatch, un indicatore che tiene conto della differenza (in termini di skill e competenze) tra le caratteristiche della domanda di lavoro di cui le imprese hanno bisogno e le caratteristiche dei lavoratori in cerca di lavoro. Provare a migliorare l’efficienza allocativa del mercato del lavoro sarebbe un utilizzo saggio dei fondi europei. L’occasione dei NextGF è unica. Abbiamo a disposizione più di 200 miliardi tra prestiti europei e sussidi. Non possiamo sprecarli.

La tenuta dell’occupazione durante la pandemia

Per capire la posta in gioco, facciamo un passo indietro. Dallo scoppio della pandemia, l’intervento nel mercato del lavoro ha avuto due iniziative principali: il divieto di licenziamento e l’estensione della cassa integrazione a tutte le imprese, indipendentemente dal settore di appartenenza e dalla sua dimensione. A distanza di un quadrimestre, possiamo dire che i risultati sono stati tutto sommato positivi. Nonostante un crollo del Pil previsto su base annua di quasi il 10 per cento, l’occupazione ha per ora tenuto. Il tasso di occupazione è diminuito di poco più di un punto percentuale, dal 59 al 57,7 percento secondo le stime Istat di luglio 2020. I risultati negativi sono relativi all’occupazione a termine e all’occupazione giovanile. I primi sono crollati di 500 mila unità in sei mesi, mentre l’occupazione giovanile è diminuita rispetto a giugno 2019 di 250 mila unità, pari al 6 percento su base annua. Come ben sappiamo, la maggior parte dei giovani entra nel mercato con un contratto a termine.

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La grande sfida è quella di come dare un futuro ai giovani. Mario Draghi lo ha detto chiaramente al meeting di Rimini ad agosto. Ursula von der Leyen e l’Europa hanno intestato il primo debito europeo alla prossima generazione. In Italia la disoccupazione giovanile è ora vicina al 30 percento e il rapporto tra disoccupazione giovanile e disoccupazione totale è sopra 3, uno dei valori più alti in Europa. Inoltre, i tempi medi della transizione scuola lavoro sono tra i più lunghi del continente. Non deve quindi sorprendere che l’indice di mismatch italiano sia tra i peggiori dell’Ocse.

I centri per l’impiego oggi

I NextGF devono essere destinati a grandi riforme strutturali che, ove necessario, possono richiedere spesa pubblica nel breve periodo. Una priorità assoluta dovrebbe essere quella di dare un ruolo preciso ai centri per l’impiego. Oggi quasi nessuno sa cosa siano, dove siano e a cosa servano. A Torino e Milano ve ne sono solo soltanto due. Oltre a essere pochi, i centri oggi hanno anche poche risorse. Una recente analisi dell’Anpal documentata da lavoce.info, mostra che le risorse umane sono poco qualificate (solo il 20 percento degli addetti è laureato) e con scarse dotazioni infrastrutturali (un addetto su cinque sostiene di avere un hardware a software inadeguato). Fortunatamente il problema è ben conosciuto dalla politica economica. Nel piano strutturale di riforme del 2019 sono previste 11.600 assunzioni per 1,2 miliardi. L’esperienza controversa dei navigator non deve scoraggiare a far sì che lo stato faciliti l’incontro tra domanda e offerta. Nel caso dei navigator e del reddito da cittadinanza, il vero fallimento è stato confondere e mischiare l’assistenza alla povertà con la ricerca di un lavoro adeguato.

Centri per l’impiego in ogni quartiere: come l’ufficio postale

Se utilizziamo bene i NextGF, i centri per l’impiego possono diventare come gli uffici postali: un ufficio in ogni quartiere che tutti sanno dove sia e a cosa serva. L’ufficio postale non è un luogo divertente, ma un posto necessario per accedere a un grande network. I centri per l’impiego dovranno essere il luogo principe per l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Qualunque disoccupato frequenterà il centro non solo per essere profilato, formato quando necessario e disposto a testimoniare la sua disponibilità a lavorare. Entrerà nei centri soprattutto perché in quei luoghi e in quegli edifici troverà le informazioni sui posti vacanti adatti alle sue competenze. Al tempo stesso, ogni impresa dovrà contattare i futuri centri dell’impiego perché convinta di trovare il giusto lavoratore.

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Serve creare un grande network digitale

Sia chiaro, un intervento di questo tipo richiede non solo edifici e personale qualificato, ma soprattutto un investimento infrastrutturale in creazione di database. Per quest’ultimo investimento è necessario un grande coordinamento tra regioni: è forse questa la vera difficoltà burocratica. Oggi i centri per l’impiego sono gestiti dalle singole regioni, e ciascuna regione tende ad avere il proprio database. Per aiutare la mobilità, la base di dati deve essere unica per il paese. Idealmente, una volta creata la rete, alla base dati potrebbero poi accedervi anche gli operatori privati. L’esperienza positiva di Germania e Giappone – due paesi con forti e capillari centri per l’impiego e scarsi problemi di disoccupazione giovanile – suggerisce che la strada è giusta.

L’occasione che abbiamo è unica. Possiamo investire per risolvere uno dei problemi strutturali del mercato del lavoro. Non sfruttarla sarebbe non solo un peccato veniale, ma quasi mortale.

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16 commenti

  1. Savino

    Spazzare via la mentalità per cui si trova lavoro con reti informali di conoscenze e segnalazioni e spazzare via i volponi che predicano questa strada truffaldina, lasciandoli anche in posizione di esodati se serve. A chi dice che questo è un discorso da povero illuso replico affermando peggio per voi, la crisi pre e post covid vi travolgerà e travolgerà anche la vostra ingordigia e la vostra prepotenza.

    • Lorenzo Munzi

      Sig. Savino, quella del trovare lavoro per conoscenza non è una mentalità, ma una conseguenza di regole troppo rigide, leggi troppo severe e fisco troppo pesante, che di fatto puniscono chi assume, caricandolo di tasse e responsabilità civili e penali. Tutto questo rende l’assumere un lavoratore più un rischio che un investimento ed il possesso dei soli requisiti formali non è sufficiente a garantire la serietà del lavoratore. Ecco perché la rete informale di conoscenze fornisce, assumendo il ruolo di garante, l’unica possibilità di stabilire un clima di reciproca fiducia tra lavoratore e datore di lavoro.

      • Savino

        Il prof Garibaldi parla di efficienza allocativa da migliorare , poichè ” l’Italia è caratterizzata dal più alto indice di mismatch, un indicatore che tiene conto della differenza (in termini di skill e competenze) tra le caratteristiche della domanda di lavoro di cui le imprese hanno bisogno e le caratteristiche dei lavoratori in cerca di lavoro”. Quelli che lei definisce, sminuendoli, “requisiti formali” non sono noccioline e non tutti li hanno con sè. L’Italia deve imparare che per professioni di un certo rilievo e precisione non ci vogliono i raccomandati, ma i competenti.

  2. Riccardo Bellocchio

    Caro Professore
    le funzioni dei centri per l’impiego devono anche essere gestiti da soggetti privati. Già oggi vige un sistema pubblico/privato. Se il cpi deve essere come uin ufficio postale, che sia sempre di più aperto anche ad operatori seri sul mercato. Per svolgere tutto ciò occorrerebbe anche epnsare ad una autority/albo delle professinalità che vi lavorano, perché non sono solo le dotazioni elettroniche che fanno la differenza (data base unico necessario ma non sufficiente), Per gestire una transizione da un posto ad un altro occorrono anche personale qualificato e costantemente aggiornato. Una autority in questo campo sarebbe auspicabile anche per evitare l’accaparramento di risorse a persone non competenti come è avvenuto fino ad ora

  3. Dario C

    Non trovo convincente l’idea che uno stato indebitato come l’Italia dovrebbe imbarcarsi in un’opera tanto complessa e costosa come quella proposta nell’articolo. Le città sono già piene di agenzie interinali che offrono privatamente un ottimo servizio di supporto all’incontro tra domanda e offerta, e lo fanno a costo zero per i contribuenti. Casomai l’investimento deve essere effettuato nelle scuole di ogni ordine e grado, cercando di fornire un’istruzione tarata su quelle che sono le esigenze del mondo del lavoro odierno. C’è poi una questione più generale che non mi convince ogni volta che sento parlare di mismatch. Possibile che nell’era di internet ci sia più ignoranza riguardo alle opportunità lavorative che in passato? Quanto del problema è dovuto al fatto che nel Novecento nessuno si prendeva la briga di misurare il mismatch? E quanta parte del mismatch è dovuta al fatto che le imprese hanno smesso di creare le competenze internamente attraverso la formazione della forza lavoro?

    • Pietro Garibaldi

      Gentile Dario,
      Tutto quello che dice è giusto, però rimane che l’Italia è il paese più indietro nell’efficienza allocativa.
      Si ricordi che siamo i peggiori per indice di mismatch. Gli interinali non bastano. Inoltre ricordi che l’investimento importante è quello nella “rete”, che poi andrebbe usata da tutti. Investire sulle scuole ovviamente ha senso al di là della decisione sui centri per l’impiego. Però il mismatch italiano riguarda anche lavoratori che devono passare da un lavoro all’altro. Pietro g.

  4. stefano z

    Secondo questa proposta lo Stato dovrebbe mettersi in concorrenza con le (tante) agenzie private già esistenti. Che senso avrebbe? Non sarebbe meglio pensare ad una funzione diversa, complementare ai privati?

    • Pietro Garibaldi

      Stefano z.
      le cosa attualmente non funzionano. Si ricordi che abbiamo il peggio mismatch. Serve una rete di dati unica a cui tutti accedano sia il privato che il pubblico. a presto, Pietro G.

  5. Francesco Gallo

    Lavoro in un centro per l’impiego di provincia da poco più di un anno. Sono uno dei famigerati navigator. Trovo che il prof Garibaldi abbia centrato pienamente il problema: i job center all’italiana sono pochi, piccoli, male organizzati e con un personale che ha skill prettamente amministrative.
    Il nostro ruolo si va ad innestare in un contesto fortemente compromesso, per di più rivolto ad una coorte di popolazione scarsamente qualificata e con problematiche plurime di altra natura.
    Ciò nonostante, a differenza di molti altri colleghi che operano in città capoluogo, il nostro lavoro è stato nettamente avvantaggiato dalla prossimità del CPI al cittadino utente e, soprattutto, dalle ridotte dimensioni del bacino.
    Se solo il nostro lavoro potesse essere messo a disposizione della totalità dei disoccupati, avremmo già ottenuto un primo, importante miglioramento nell’ambito dei servizi per l’impiego nazionali.
    Il tutto sarebbe fortemente agevolato da un accentramento, da effettuarsi per mezzo di revisione costituzionale, della competenza legislativa in materia, ad oggi appannaggio delle Regioni.

  6. Lorenzo Munzi

    Riorganizzare e rafforzare il ruolo dei CPI non è sbagliato: è inutile; almeno fino a quando i parrucconi del potere non si decideranno ad abbandonare interessi di bottega e pregiudizi ideologici di ogni ordine e grado e non avranno la dignità di guadagnarsi la loro paga provvedendo ad affrontare il vero problema con serietà: meno garantismo, meno burocrazia, meno pressione fiscale e meno responsabilità civili e penali. I tutor (impropriamente denominati “navigator”, tanto per aumentare la confusione) non hanno alcuna responsabilità nel mancato successo dell’iniziativa: come si fa a far incontrare domanda ed offerta se da un lato si richiedono competenze che dall’altro mancano? La vera tragedia è che la classe politica non comprende che i problemi che produce sono proprio quelli che chiama “soluzioni”.

  7. Alessio Franzoni

    Riprendo direttamente dall’interessante articolo:… “Ad oggi, i cpi: – non hanno un ruolo preciso; – quasi nessuno sa cosa siano, dove siano e a cosa servano; – oltre a essere pochi, hanno anche poche risorse; – le risorse umane sono poco qualificate; – con scarse dotazioni infrastrutturali”. Se non c’è altro, ciò è sicuramente abbastanza per disegnare un quadro sconfortante che soltanto una radicale “rivoluzione” organizzativa potrebbe rendere migliore. Detto questo, si potrebbe aggiungere che è un miracolo che non siano stati ancora soppressi. Se si accetta di farlo brutale, il riassunto è piuttosto semplice: se il problema fosse tecnico, con sforzi colossali, programmazione chiara e competenze adeguati si potrebbe arrivare a qualcosa di utile. Se invece, come ribadito da altri commenti, il problema fosse da individuare su un piano di carattere prevalentemente politico… con ogni probabilità temo che le cose farebbero molta fatica a migliorare più di tanto!

  8. Claudio Martinelli

    Gentile professore, nell’assetto istituzionale attuale i Centri per L’impiego non sono riformabili. Per esempio, mi permetto di suggerirle la lettura della circolare 1/2019 di Anpal, potra’ dedurne quale e’ l’attivita’ quotidiana degli operatori, costretti ad occuparsi, loro malgrado di bizantinismi giuridici, non supportati da sistemi informativi decenti. Legga ad esempio le righe sul reddito “previsto’ del lavoratore intermittente, un unicum mondiale secondo me. Oppure l’uso dei vetusti codici Istat per fare il matching. Le politiche attive sono un sistema in cui chiunque ci mette mano puo’ solo peghiorare le cose. Vedo possibilita’ di miglioramento solamente assegnando le politiche attive in via esclusiva alle Regioni. Certo, si tratterebbe di federalismo…

    • Francesco

      Bè, di fatto è già cosi, sono le regioni ad esercitare il ruolo principale, ancorchè quella del lavoro sia una competenza concorrente. Il problema è che concorrente, per gli attori in campo (Stato e Regioni), significa farsi la concorrenza e non concorrere al raggiungimento dell’obbiettivo. Io penso che le PAL e i CPI siano riformabili, ma a partire dall’eliminare follie come la circolare 1/2019 e far funzionare per davvero il SIU (il sistema che dovrebbe dire, anzitutto, chi è disoccupato e chi no) e la famigerata interoperabilità delle banche dati (INPS, Anagrafe scolastica, etc.)

  9. Lorenzo Munzi

    Mi spiace essere sembrato polemico: non era mia intenzione. Ho solo illustrato uno dei motivi per cui, almeno nel settore privato, si verifica il fenomeno del collocamento per conoscenza: alcuni piccoli imprenditori mi hanno confidato di aver rinunciato ad assumere nuovi dipendenti, benché ne avessero bisogno, dopo aver avuto grossi guai con dipendenti che si comportavano male e gli mandavano a rotoli l’attività. Non era mia intenzione nemmeno sminuire i requisiti, anzi, a questi aggiungerei anche la serietà della persona, perché un rapporto di lavoro ha bisogno di essere basato anche su una fiducia ben riposta. Purtroppo, però, la serietà non sempre ha la considerazione che merita, insieme alla competenza. Quanto al fenomeno della raccomandazione che si è spesso manifestato nei concorsi pubblici, è ancora peggio, perché in quel caso c’è di mezzo anche la corruzione, ma sono tutte cose che derivano, a mio modesto parere, da un eccesso di rigidità del mercato del lavoro.

    • Savino

      Chi si comportava male e manda a rotoli cosa? Non è che quell’imprenditore era infastidito dall’assumere donne per la possibilità di teoriche gravidanze in corso? Veda che sui diritti dei lavoratori siamo tornati indietro di decenni. Poi, certo, ci sono soprattutto i doveri, ma c’è anche l’etica d’impresa. Segnalare, nel pubblico e nel privato, ha marginalizzato i migliori provenienti da famiglie meno agiate, che poi sono quelli capaci di farci uscire dalla crisi, gli unici capaci direi, perchè se per uscire dal pantano aspettiamo i figli di papà allora campa cavallo che l’erba cresce.

  10. Il tema dell’articolo è centrale. Concordo con i commenti che indicano che il problema va collocato in un quadro più ampio con il concorso di una pluralità di attori pubblici e privati e di strumenti. Il mismatch si combatte anche con l’istruzione e il Life-long Learning per il quale l’Italia è il fanalino di coda dell?Europa. E poi meglio “ricominciare da tre” che cercare ogni volta di ripartire da zero. Il bilancio fatto da Inapp (ex Isfol) del programma Garanzia Giovani ne ha dimostrato gli aspetti positivi. C’è un “Learning by doing” che è importante. E che dire delle razionalizzazioni che consente la digitalizzazione ? E di un miglior “tutoring” in presenza?

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