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I parlamentari italiani? Fin troppo disciplinati

Il comportamento dei parlamentari è un fenomeno rilevante, specialmente in tempi di fluidità del sistema partitico, di dibattito sulla legge elettorale e di referendum costituzionali. Com’è andata finora con senatori e deputati della XVIII legislatura?

Come votano deputati e senatori

Monitorare il comportamento degli eletti in Parlamento è importante per valutare la qualità del processo democratico del nostro paese e per immaginare sistemi di regole e di incentivi che producano risultati legislativi migliori. Come votano deputati e senatori? Quanto sono fedeli alla linea di partito e quanto agli elettori del proprio collegio? Quanto diligentemente assolvono al loro dovere di presenza in aula?

Possiamo qui effettuare un piccolo esercizio descrittivo di monitoraggio aggregato del comportamento dei parlamentari della XVIII legislatura grazie ai dati disponibili pubblicamente raccolti da OpenPolis (numeri aggiornati, qui, al 25 febbraio per evitare di includere il periodo del lockdown, che avrebbe rischiato di falsare l’analisi). Sono disponibili dati sul numero di presenze in aula (in percentuale sul totale delle sedute), di assenze e di missioni. Quest’ultimo caso si verifica quando il politico non partecipa al voto perché è occupato per compiti istituzionali. Per esempio, chi svolge compiti nelle commissioni permanenti e bicamerali o nell’ufficio di presidenza.

I dati offrono anche il numero (in valore assoluto) di voti ribelli espressi: un parlamentare è considerato ribelle quando esprime un voto diverso da quello del gruppo parlamentare a cui appartiene. A ciascun politico associamo inoltre il partito di appartenenza, la circoscrizione di elezione, la tipologia del collegio di elezione (uninominale o plurinominale) e la Camera di riferimento.

Appartenenza e provenienza

La prima grande eterogeneità che si nota nei dati è quella nel numero di voti ribelli per appartenenza partitica, come mostra il grafico 1.

Mediamente ciascun parlamentare di Forza Italia ha espresso, dall’inizio della legislatura al 25 febbraio 2020, un totale di 83 voti ribelli, ben al di sopra della media complessiva di 28. Al contrario, i gruppi parlamentari più disciplinati sono quelli della Lega e del Movimento 5 stelle, i cui componenti hanno espresso in media, rispettivamente, 4 e 5 voti ribelli. Dal punto di vista della partecipazione alle attività d’aula, invece, non sembrano esserci differenze significative tra i vari parlamentari.

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Come è possibile vedere nella mappa che segue non sembrano emergere, inoltre, differenze sulla base della circoscrizione di elezione dei parlamentari.

Fanno eccezione il Trentino-Alto Adige e la Valle d’Aosta, con numeri sopra la media nazionale per quanto riguarda voti ribelli e tasso di presenze. Le regioni con il tasso di assenteismo più alto sono invece Lombardia ed Emilia-Romagna.

Camera e collegio di elezione

Differenze abbastanza evidenti si notano invece tra Camera e Senato (grafico 3).

I senatori sembrano essere meno ligi alla disciplina di gruppo rispetto ai colleghi della Camera e, allo stesso tempo, mostrano tassi di assenza inferiori.

Contrariamente alle aspettative, invece, non sembrano emergere differenze (almeno a un puro sguardo descrittivo) tra parlamentari eletti in collegi plurinominali e quelli eletti in collegi uninominali.

La discrepanza visibile nel primo grafico è infatti trainata da un drappello di 18 parlamentari con un numero di voti ribelli eccezionalmente alto (oltre 250), che possiamo considerare outliers e il cui comportamento è probabilmente dovuto a fattori diversi dal tipo di collegio di elezione. Si tratta principalmente di senatori del gruppo delle Autonomie (un gruppo in cui la disciplina di partito evidentemente ha una scarsa rilevanza) e di Forza Italia (probabilmente in disaccordo con la linea d’opposizione del proprio gruppo). Se non consideriamo questi 18 parlamentari, le medie di voti ribelli espressi da eletti con metodo proporzionale ed eletti con metodo maggioritario si eguagliano, nonostante il diverso tipo di incentivi elettorali fronteggiati in un contesto plurinominale e in uno uninominale. Numeri analoghi tra di loro si hanno infatti anche per presenze, assenze e missioni.

Dinamiche da considerare

Analizzare il comportamento degli eletti in Parlamento e, soprattutto, il meccanismo di regole e di incentivi che ne modificano l’agire, è di fondamentale importanza nel nostro paese, specialmente in un periodo di fluidità del sistema partitico e di dibattito sulla legge elettorale. Come ricordato anche dal think-tank Tortuga, gli incentivi cui i politici sono chiamati a rispondere possono produrre effetti significativi sulle finanze pubbliche e sul comportamento degli elettori. In vista del referendum sul taglio dei parlamentari e nel disegnare la nuova legge elettorale (e – si spera – anche nel modernizzare i regolamenti parlamentari), l’auspicio è che il legislatore tenga conto di queste dinamiche. È importante fare in modo che candidati ed eletti abbiano un rapporto più stretto con i cittadini del proprio collegio e rispondano di più a loro e meno, invece, ai partiti di appartenenza. Così come sarebbe bene attenuare le anacronistiche differenze tra le due camere.

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  1. Alessio Franzoni

    Il problema della rappresentatività è per molti legato alla questione delle liste bloccate. Forse bisognerebbe entrare nell’ordine di idee che chi vuole essere eletto deve andare fisicamente a raccattare voti, uno sull’altro, strada per strada, porta per porta, da elettore ad elettore. Solo così si garantisce il rapporto diretto tra eletti ed elettori, tra territori e politici. Senz’altro al giorno d’oggi sarebbe un metodo un po’ difficoltoso e ai limiti della praticabilità. Per taluni magari potrebbe riscoprirsi un buon servizio che si possa fare alla rappresentatività democratica parlamentare.

    • bob

      il detto che ” il pesce puzza dalla testa” per questo Paese non vale. Pensare di formare un Paese civile, democratico senza cultura è pura utopia. Fa comodo, la Storia lo insegna, al “Masaniello” di turno. Un Paese dove vota il 30% delle persone può essere definito moderno e democratico?

  2. Henri J. M. Schmit

    Sono d’accordo con il commento di Alessio Franzoni. Che cosa eleggiamo? Dei parlamentari liberi da qualsiasi vincolo di mandato (art. 67)! La loro libertà rispecchia e garantisce la nostra. Per questa ragione la costituzione sancisce il voto libero e personale, e implicitamente anche quello individuale (la preferenza). Votare per gruppo di appartenenza (partito, movimento, alleanza, lista) è solo una facoltà degli elettori (criterio di scelta) e dei candidati (libertà di associazione; art. 49). Se no, eleggeremmo enti. In quel caso, come minimo, dovremmo rispettare le regole democratiche (dell’elezione individuale) all’interno di ogni ente; entreremmo in una regressione all’infinito. L’assioma dell’elezione individuale implica tutte le altre regole dell’elezione democratica in cui l’obiettivo della proporzionalità non contraddice il principio maggioritario (definito con Condocercet), ma lo completa. E anche le condizioni di voto all’interno dell’assemblea parlamentare. Sarebbe interessante spiegare questo in dettaglio, ma non interessa quasi nessuno.

  3. Enrico D'Elia

    Purtroppo l’art. 49 della costituzione non impone una organizzazione democratica all’interno dei singoli partiti, come prevede invece la costituzione tedesca e come chiedevano parecchi padri costituenti. Questo getta un’ombra sinistra sull’obbedienza dei parlamentari alla disciplina di partito. Attualmente sono i gruppi dirigenti dei partiti a scegliere i parlamentari con procedure poco trasparenti e non gli elettori. È ovvio che gli eletti siano fedeli alla linea di partito. La drastica riduzione della “pensione” per i parlamentari e la riduzione del loro numero non può che accentuare questa dipendenza, che evidentemente confligge con la rappresentanza degli interessi degli elettori e della nazione (come richiede la costituzione).

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