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Universitari protagonisti nella didattica online

Anche nel prossimo anno accademico si farà spesso ricorso alla didattica a distanza. Offre opportunità che possono facilitare la preparazione per un mondo che richiede creatività e non enciclopedismo. E aumentare la qualità della pedagogia in aula.

Lezioni in aula: un modello di passività

La chiusura delle aule come luoghi fisici e l’avvio su grande scala dei corsi online può avere ricadute negative sulla qualità dell’insegnamento impartito, ma anche offrire opportunità. Fino all’emergenza sanitaria, le piattaforme servivano perlopiù come archivio di materiali integrativi e la didattica mista rappresentava un’eccezione. Per quanto le situazioni possano risultare eterogenee, l’esperienza fa emergere un modello pedagogico piuttosto consolidato. Si tratta del lecturing o, nella sua forma più alta, della lectio magistralis: il professore trasmette il sapere e l’aula prende appunti. Come rilevato per la scuola (Mincu & Locatelli), il passaggio all’università online ha messo in luce non tanto la poca dimestichezza con le piattaforme, quanto la difficoltà di mantenere lo stesso modello a distanza.

Nei ranking internazionali l’Italia non compare in buona posizione e la didattica pesa tra il 25 e il 40 per cento. In effetti, i corsi non seguono una logica “laboratoriale” e l’interazione con l’aula è ridotta, così come la possibilità di appropriarsi del sapere tra pari. A ciò contribuisce anche la predisposizione degli spazi, in anfiteatri più o meno classici, adatti a una didattica trasmissiva e frontale. Per fare un solo esempio, affrontare in forme critiche e collaborative di concetti come “cultura” e “globalizzazione” può rendere la lezione per alcuni stimolante, per altri difficile. In effetti, la causa della difficoltà è l’aspettativa di ricevere definizioni e nozioni a senso univoco. Di “pensarci dopo” o di “studiare a casa”, senza cimentarsi con la complessità degli argomenti e con la comprensione profonda. L’aula non serve per scardinare preconcetti o accezioni di senso comune, ma per la ricezione passiva e disimpegnata di un sapere morto, utile a superare l’esame. È un’abitudine che si forma nella scuola secondaria e si consolida a livello universitario.

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Per consuetudine, i programmi di esame prevedono pochi testi fondamentali, anziché un elenco di letture da svolgere strada facendo e come requisito preliminare (just in time teaching). Un altro tratto è l’assenza della valutazione basata sui saggi degli studenti (student essays) come invece accade altrove. Per quale motivo ciò sarebbe auspicabile? Perché è una forma adatta a dimostrare padronanza del sapere in forme applicative e creative, anziché trasmissive (vedi Dublin descriptors, 2003, Qualifications Framework of the European Higher Education Area, come “opportunità per l’originalità nello sviluppo e applicazione di idee (…) spesso in un contesto di ricerca”). I saggi implicano modalità di restituzione del sapere in forme avanzate, l’uso di “fonti” in modo appropriato, la distinzione tra la “voce degli altri e la propria”: gli ejournals e gli strumenti antiplagio (Turnitin) rimangono perlopiù sconosciuti agli studenti. Le scarse competenze linguistiche degli studenti nelle secondarie e in ingresso nelle università permangono anche in uscita, così come le deboli competenze di scrittura e logica accademica acquisite alla fine del percorso. Non è raro che l’elaborazione di tesi di laurea non segua criteri comuni o non preveda l’uso di “un quadro teorico” rispetto al quale costruire il nuovo sapere.

Il caso dell’università di Torino

Una esplorazione qualitativa presso l’università di Torino realizzata da Lara Statham ha fatto emergere svariati aspetti pro e contro la didattica in aula e quella a distanza. In effetti, la didattica universitaria in senso lato vive, con l’emergenza sanitaria, una grande opportunità: quella di poter ripensare le dinamiche di insegnamento e la sua qualità. Come afferma il direttore del Dipartimento di lingue e letterature straniere e culture moderne, si tratta di far leva sugli aspetti positivi che sono emersi nella didattica a distanza. Occorre rafforzare il protagonismo degli studenti rispetto al proprio percorso e al modo in cui si naviga negli spazi virtuali e reali dell’università. La personalizzazione didattica (all’università – Mincu & Desire 2015; nel sistema scolastico – Mincu 2012) può avvenire in vari modi. Per esempio, per tenere alto l’interesse occorre mantenere sempre aggiornati i materiali su cui si apprende e informare circa il modo in cui la tecnologia amplia l’apprendimento.

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La didattica online consentirebbe di strutturare meglio le lezioni e renderle interattive. Piuttosto che indicare il materiale da studiare individualmente o registrare la lectio magistralis, momenti di stallo inclusi, occorre prevedere l’uso di “capsule”, e cioè di video su concetti chiave. Inoltre, le piattaforme non possono essere meri archivi di materiali, ma spazi da costruire man mano che il corso procede, con letture da svolgere prima delle lezioni per interagire a un livello avanzato. Un’altra risorsa è quella dei blog, dove poter scambiare idee. Le piattaforme consentono la possibilità di lavori di gruppo, adatti a costruire il sapere in maniera sociale “dal basso”. Perché nemmeno l’università può imporre d’autorità il sapere.

Inoltre, è auspicabile una valutazione differente, visto che lo studente può avere sotto mano la definizione richiesta. Una volta elaborati con criteri accademici, i saggi possono essere depositati, verificati e valutati in modalità formativa. Si contrasta così il diffusissimo fenomeno del plagio, spesso involontario. Il vantaggio immediato è la preparazione per scambi internazionali, dove i nostri studenti trovano difficoltà rispetto alla formulazione di un pensiero scritto e all’etica della ricerca.

Il vantaggio più grande è la preparazione a un mondo che richiede creatività, non lo stoccaggio enciclopedico. E l’impegno dei docenti non sarebbe maggiore.

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Il Punto

  1. Francesco

    Francamente non riesco a cogliere il nesso fra la didattica online e il metodo di insegnamento proposto: le proposte per rendere la didattica meno statica e più interattiva sono molto interessanti e le condivido totalmente (anche per esperienza diretta, sono uno studente), però credo che per fare questo non sia necessaria la didattica a distanza e, anzi, farlo in presenza fisica sarebbe un’esperienza certamente migliore.

  2. Stefano

    Mi sono laureato e specializzato da un po ( parecchio ) ma per miei motivi , e per curiosità sono andato piluccando quà e la cosa avevano da offrire le università in epoca pre covid , Non mi è mai capitato di potere avere a disposizione altro materiale se non ,appunto, ‘roba da leggere e imparare’ , e non è che le piattaforme più ‘interattive ‘ che girano diano di meglio . l’impressione è che , godendo della loro autonomia la maggior parte dei docenti si limitino a mettere online i loro appunti , ignorando completamente le enormi possibilità che mettono a disposzione decine di siti assolutamente interattivi , sempre , purtroppo in lingua inglese e gestiti da università non italiane .Non dico di fare come il Mit .. ma , qualche sforzo in più …

    • Umbe

      Hai mai provato un corso su edx o su coursera…?
      Spettacolari.

  3. Max

    Anche io non ho ben capito perché il cambiamento del mezzo (on-line) debba necessariamente coincidere col cambiamento dei metodi didattici. Inoltre da più parti si invoca un abbandono (o forte riduzione) della lezione frontale e maggiore interazione in classe (virtuale). A mio parere l’interazione necessita conoscenza, e la conoscenza aver studiato e padroneggiare dei concetti. Quindi si ritiene che le lezioni frontali siano inutili (quello che abbiamo fatto per decenni, secoli?) e gli studenti di oggi siano molto meglio di quelli di ieri e possano acquisire gli stessi concetti da soli per poi discuterne in classe? Non sono sicuro che funzioni per tutte le discipline (discutere in classe di integrali doppi e di distribuzioni di probabilità avendoli studiati da soli a casa? Discutere della globalizzazione è un altro paio di maniche). Si sta per caso parlando della didattica al dottorato, o con corsi di meno di 30 persone? L’attivazione delle registrazioni delle lezioni, a mio parere, ha il risultato che gli studenti intervengono online molto meno che in classe (a voce/video) soprattutto in classi grandi, al massimo scrivono in chat. Fare lezione davanti ad un video (dal lato di chi la eroga) è poi molto meno soddisfacente di avere di fronte gli studenti, e direi anche in parte alienante (dalle reazioni , anche solo facciali, degli studenti alla lecture si possono capire molte cose…). Non vedendoli, poi, non si capisce mai quanti stiano seguendo e quanti no in sincrono.

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