La Lega Nord propone di lasciare il 75 per cento del gettito dei tributi nei territori dove sono generati. È un punto del programma elettorale sottoscritto con l’alleato Pdl. Se fosse realizzata, sarebbe una secessione di fatto. Eccone l’impatto su dimensione e modi dell’intervento pubblico.
LA PROPOSTA DELLA LEGA NORD
La proposta lanciata dalla Lega Nord in campagna elettorale, quella di lasciare il 75 per cento del gettito dei tributi nei territori regionali dove sono generati, si può prendere, a seconda delle sensibilità personali, per due versi differenti. Da un lato, la si può liquidare come una boutade, una tra le tante spuntate in questa campagna elettorale particolarmente sguaiata e sgangherata, con l’aggravante di essere pure riciclata, dato che una formula simile è stata già prospettata, senza seguito alcuno, dalla Lega Nord nel 2008. Dall’altro, pur nella genericità e vaghezza del progetto, si può fare uno sforzo per capirne meglio significato e portata e tentare di valutarne l’impatto sulla dimensione e sui modi dell’intervento pubblico nel nostro Paese.
La proposta della Lega Nord si regge su due gambe. Innanzitutto prevede una devoluzione a favore degli enti decentrati (non si specifica se Regioni, province o comuni) di una parte rilevante dei programmi di spesa pubblica oggi gestiti dallo Stato: a quest’ultimo dovrebbero rimanere soltanto le “funzioni non territorializzabili” (si fa l’esempio della politica estera), insieme agli interessi passivi sul debito pubblico e ai programmi di interventi perequativi sui territori finanziariamente meno dotati.
C’è poi, sul lato del finanziamento di queste responsabilità di spesa, la regola tranchant del 75 per cento: del complesso dei gettiti tributari attualmente a disposizione dello Stato e degli enti territoriali (escludendo quindi gli enti previdenziali) tale sarebbe la quota da assegnare ai territori (anche qui non si specifica se a Regioni, province o comuni) dove i gettiti sono prodotti. Per lo Stato si tratterebbe quindi di retrocedere tre quarti dei propri gettiti agli enti decentrati, presumibilmente attraverso un sistema di compartecipazioni. Va evidenziato che la ricetta andrebbe applicata a tutti i territori regionali e non soltanto alla Lombardia o ad alcune regioni del Nord. In altri termini, la proposta della Lega Nord non sembra prefigurare, almeno sulla carta, un caso di “federalismo asimmetrico”, dove un nucleo di specifiche Regioni potrebbero diventare qualcosa di simile a Regioni “a statuto speciale”.
LA RELAZIONE TRA STATO ED ENTI TERRITORIALI
La traduzione delle scarne indicazioni riportate nella proposta della Lega Nord in una strategia di riforma richiede una serie di assunzioni in qualche misura discrezionali, a partire da cosa si voglia effettivamente decentrare e da come attribuire ai territori regionali parte dei gettiti tributari oggi nazionali. Poste queste cautele, per valutare la proposta è innanzitutto opportuno distinguere una dimensione verticale, quella delle relazioni tra Stato centrale e amministrazioni decentrate e una orizzontale, quella che riguarda sul piano perequativo il confronto tra i vari territori regionali.
Riguardo alla prima dimensione, quella verticale, è ovviamente indispensabile verificare se vi sia coerenza, ai livelli di spesa pubblica attuali, tra la ripartizione delle competenze di spesa tra Stato ed enti territoriali prefigurata dalla Lega Nord e l’attribuzione delle risorse per il loro finanziamento secondo la regola del 75 per cento. In altri termini, si tratta di vedere se lo Stato, che secondo la proposta dovrebbe restringere il perimetro delle proprie funzioni a poco più di uno “Stato minimo”, avrebbe risorse sufficienti per finanziare dette funzioni, oppure, al contrario, se disporrebbe di risorse in eccesso (e ovviamente speculare sarebbe la situazione finanziaria degli enti territoriali).
A partire dai dati Istat e Cpt, le spese oggi statali che potrebbero essere ragionevolmente mantenute sotto il controllo dello Stato (difesa, ordine pubblico, giustizia, metà delle spese per amministrazione generale) ammontano nel bilancio 2010 della pubblica amministrazione a 62 miliardi a cui si aggiungono 70 miliardi di interessi passivi, mentre quelle che potrebbero essere oggetto di devoluzione a favore degli enti territoriali sono in buona parte attribuibili all’istruzione. (1) Per converso, lo Stato disporrebbe di 120 miliardi (il 25 per cento delle risorse tributarie complessive al netto della copertura del disavanzo previdenziale, più le entrate extra-tributarie), cioè 12 miliardi in meno di quelli necessari per coprire le funzioni essenziali sopra ricordate. Ovviamente non resterebbe alcuna risorsa per finanziare trasferimenti perequativi a favore dei territori più poveri.
Insomma, non ha molto senso stabilire a priori come ripartire la torta delle risorse senza guardare prima al costo delle funzioni di spesa attribuite rispettivamente allo Stato e agli enti territoriali.
QUALE SPAZIO PER LA REDISTRIBUZIONE TERRITORIALE?
L’altra dimensione da considerare è quella orizzontale della distribuzione delle risorse finanziarie complessive tra i diversi territori regionali. La tabella illustra il problema. In particolare, si mettono a confronto i valori dei cosiddetti residui fiscali (cioè la differenza tra la spesa pubblica e le entrate regionalizzate) calcolati in corrispondenza da un lato della ripartizione attuale delle spese e delle entrate e dall’altro della ripartizione che risulterebbe dalla proposta dalla Lega Nord. Oggi, i territori del Nord ricevono ovviamente assai meno di quanto finanziano (i residui fiscali hanno segno negativo) e il contrario succede al Sud: ad esempio, -24 miliardi per la Lombardia, +18 miliardi per la Campania. (2) Questa redistribuzione (che complessivamente sposta 62 miliardi) in massima parte non si realizza mediante trasferimenti espliciti dalle Regioni più ricche a quelle più povere, ma attraverso il bilancio dello Stato. È lo Stato che raccoglie le imposte erariali, più alte nel Nord ricco che nel Sud povero, e utilizza le risorse per finanziare in misura più o meno omogenea su tutto il territorio politiche pubbliche nazionali, ad esempio la scuola, facendo in questo modo implicitamente redistribuzione interregionale. Pertanto, la portata della redistribuzione interregionale dipende innanzitutto dall’insieme di norme nazionali che regolano i programmi di spesa e le imposte statali.
Come cambierebbe lo scenario se si attuasse il progetto della Lega Nord? Per capirlo è opportuno distinguere due canali attraverso i quali la proposta incide sulla ripartizione territoriale delle risorse pubbliche.
Il primo è connesso al restringimento del perimetro delle funzioni pubbliche assegnate allo Stato: se allo Stato resta soltanto un nucleo di funzioni minime è ovvio che la redistribuzione (implicita) che passa attraverso i programmi di spesa centrale necessariamente si indebolisce in modo drastico.
Il secondo canale riguarda gli enti locali: sulle funzioni di spesa decentrale la regola del 75 per cento rende gli enti territoriali delle sorti di “monadi finanziarie”: ogni territorio si tiene le proprie risorse e nulla dà agli altri attraverso sistemi di trasferimenti perequativi espliciti – da aree ricche ad aree povere – con il risultato che, su questa gamba, la redistribuzione è necessariamente nulla. Complessivamente, i flussi di risorse tra territori si restringono drammaticamente: ora la Lombardia cede agli altri territori meno di 6 miliardi e la Campania ne riceve meno di 2, mentre, in totale, i flussi di risorse attivati sul territorio nazionale non arrivano ai 10 miliardi. (3)
UNA SECESSIONE NEI FATTI
Cosa significherebbe un cambiamento così radicale nella distribuzione delle risorse pubbliche tra territori e soprattutto tra Nord e Sud? Significherebbe cancellare di fatto la garanzia, prevista nella nostra Costituzione, di livelli essenziali delle prestazioni omogenei su tutto il territorio nazionale in quei settori dell’intervento pubblico dove si realizzano i diritti civili e sociali. Significherebbe, consentire una sanità di serie A e una di serie Z, così come un’istruzione di serie A e una di serie Z. Significherebbe probabilmente scatenare flussi migratori insostenibili sia per il Sud che per il Nord. Insomma, al di là delle dichiarazioni roboanti sulla nuova macro-regione del Nord, è qui, sul piano delle risorse, che sta la vera secessione.
(1) I Cpt sono i conti pubblici territoriali, pubblicati dal ministero dello Sviluppo economico.
(2) Ovviamente questi risultati dipendono criticamente dai criteri adottati per regionalizzare spese e tributi nazionali. In particolare i valori riportati qui si basano sulla rielaborazione dei dati regionalizzati di entrate e spese pubblicati dai conti pubblici territoriali e riflettono l’assunzione che gli interessi sul debito pubblico siano ripartiti tra le Regioni secondo la popolazione.
(3) Un altro modo di guardare agli stessi effetti è quello di fare riferimento al rapporto tra la spesa e le entrate territorializzate, che è poi l’indicatore adottato dalla proposta della Lega Nord del 75 per cento. I risultati sono riportati nella sezione inferiore della tabella. Attualmente il rapporto spesa/entrate sul proprio territorio è per la Lombardia pari al 65 per cento mentre per la Campania arriva al 198 per cento. Con la proposta della Lega Nord, la Lombardia arriverebbe al 92 per cento, la Campania crollerebbe al 109 per cento: in altri termini la redistribuzione sarebbe quasi annullata.
Fonte: nostre elaborazioni su dati Cpt, ministero dello Sviluppo economico.
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