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Un ecobonus anche per l’acqua?

Nel mettere a punto gli incentivi in materia ambientale, il governo si è concentrato sull’efficienza energetica trascurando quella idrica. Basterebbero piccoli interventi mirati per ridurre consumi, sprechi e inquinamento. Alcune proposte per la sostenibilità.

Il governo si appresta a varare un imponente piano di spesa, nel quale la componente ambientale ha un ruolo fondamentale. In particolare, sono previsti “ecobonus” assai generosi al fine di promuovere interventi volti a migliorare l’efficienza energetica. È una misura che ha dimostrato già in passato di funzionare piuttosto bene, generando un “doppio dividendo” in termini sia ambientali sia economici. Se in passato il beneficio fiscale era del 55 per cento, il nuovo piano raddoppia l’incentivo portandolo al 110 per cento delle spese ammissibili, di fatto sussidiando interamente gli interventi.

Non solo consumo

Perché tuttavia limitarsi alla sola efficienza energetica? Ci sono altri comparti altrettanto meritevoli di attenzione dal punto di vista ambientale. Tra questi senz’altro un posto di primo piano spetta all’efficienza idrica. Come è noto, il consumo pro-capite di acqua nel nostro Paese è fra i più elevati dell’area Ocse. Sebbene il dato non sia perfettamente confrontabile in quanto include anche usi non domestici allacciati alla rete idrica, in Italia il prelievo per uso potabile tocca 156 metri cubi per abitanti: una volta e mezzo la Spagna (98), due volte la Francia (84) e il Regno Unito (81), due volte e mezzo la Germania (62). Ciò dipende in parte da fattori climatici, in parte dall’eredità storica di tariffe relativamente basse e in parte da fattori di tipo strutturale e sistemico. Su molti di questi fattori si può agire, considerando che gli usi “indoor” sono rappresentati solo in minima parte – 5 per cento circa – dagli usi alimentari e per il resto riguardano lo sciacquone del wc, l’igiene personale e dell’abitazione e il lavaggio della biancheria e delle suppellettili. Ci sono poi gli usi “outdoor”, che interessano una frazione più ristretta ma implicano un consumo ben maggiore: irrigazione dei giardini e degli orti privati, piscine, lavaggio auto e altri ancora.

Il tema dell’uso sostenibile dell’acqua non riguarda solo il “consumo” ma tocca anche altre questioni, forse ancora più rilevanti nel caso italiano: dall’inquinamento al drenaggio delle acque piovane. Quest’ultimo è un problema spesso sottaciuto ma di impatto sempre maggiore in un paese che, tra i primati negativi, vanta anche quello del “consumo di suolo” e dell’impermeabilizzazione del terreno. Come purtroppo non manchiamo di accorgerci al primo acquazzone un po’ più intenso del solito. Per promuovere un uso sostenibile dell’acqua, si tratta in primo luogo di intervenire sulle reti acquedottistiche, riducendo le perdite, e di favorire il riuso delle acque reflue depurate e dei fanghi di depurazione. Interventi in questa direzione rappresentano già l’ossatura dei programmi di investimento dei gestori del servizio idrico e trovano la loro ideale copertura nelle tariffe. Ref Ricerche stima che con un incremento tariffario medio entro i limiti massimi stabiliti dall’Arera (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente) sarebbe possibile incrementare gli investimenti dagli attuali 48 a 82 euro pro capite per anno (+70 per cento), avvicinandoci così ai valori degli altri paesi sviluppati.

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Incentivi mirati

Nulla vieta però di “puntellare” la leva tariffaria con contributi ad hoc, che potrebbero consistere per esempio anche in misure di super-ammortamento o riduzioni mirate delle aliquote di imposta societaria. Ma le perdite di rete non avvengono solo nelle condutture delle reti pubbliche: anche all’interno delle proprietà private (in particolare nei condomini) le dispersioni sono elevate e i materiali vetusti quando non inquinanti e potenzialmente dannosi per la salute (si pensi al piombo, ancora presente soprattutto negli edifici di meno recente costruzione). Nel ciclo domestico gli interventi possibili sono moltissimi: spesso si basano su versioni innovative di approcci tecnologici “antichi”, un tempo praticati e oggi in disuso. Per esempio la ristrutturazione degli impianti sanitari: solo l’installazione di vaschette con il controllo di flusso potrebbe ridurre in modo significativo il consumo per lo sciacquone (15-30 per cento del totale). Sistemi di riuso e riciclo degli scarichi potrebbero ulteriormente contribuire al risparmio idrico. L’acqua destinata agli usi “nobili” (alimentare e igienico) potrebbe essere raccolta, depurata semplicemente e rimessa in circolo per gli usi meno nobili (sciacquone e innaffiamento delle piante).

Incentivi mirati alla rottamazione degli elettrodomestici potrebbero favorire il rimpiazzo con prodotti di ultima generazione: una misura di questo tipo potrebbe essere concertata con l’industria produttrice, anche con l’obiettivo di garantire i livelli di occupazione in un comparto che ultimamente ha molto sofferto per via delle politiche di delocalizzazione dei grandi marchi internazionali. Un contributo fondamentale potrebbe provenire poi dalla raccolta e dallo stoccaggio dell’acqua piovana tramite “tetti intelligenti” e sistemi di drenaggio innovativi. Non solo perché in questo modo si potrebbero intercettare ingenti quantità di acqua da utilizzare per le funzioni meno nobili ma perché si ridurrebbe la pressione sul sistema fognario, con benefici in termini di allagamenti e consentendo anche una migliore separazione tra acque “grigie” e acque nere, destinando ai processi intensivi di depurazione solo queste ultime. Ancora, si può pensare all’installazione di sistemi “smart” per l’irrigazione del verde privato ma anche pubblico (alcune imprese leader internazionali in questo settore sono marchi di eccellenza del “made in Italy”, come la pordenonese Claber).

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Potrebbero essere gli stessi gestori del servizio idrico ad assumere la “regia” di un simile piano, che necessariamente dovrebbe essere adattato alle priorità di ogni singolo territorio. Un modo per farlo potrebbe essere quello di estendere al servizio idrico il meccanismo già sperimentato con successo nel comparto dell’energia elettrica e del gas con i “certificati bianchi”. Come si vede da questi esempi, si tratta di interventi con un grande potenziale di attivazione della filiera produttiva, che coinvolgerebbero non solo i potenziali produttori di tecnologie e manufatti innovativi ma anche le imprese che effettuano lavori di installazione e manutenzione. Con incentivi mirati – magari accompagnati da politiche tariffarie premianti – simili interventi potrebbero agire da potente stimolo, oltretutto perseguendo un obiettivo, quello della “water sustainability”, pienamente in linea con gli obiettivi delle politiche europee e dei “Sustainable Development Goals”. Sarebbe quindi assai auspicabile che il piano straordinario includesse anche la “water efficiency” tra le possibili destinazioni delle misure di sostegno.

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Il Punto

  1. Alice Crosilla

    Il governo ha trascurato l’efficienza idrica. Domanda: CHI PAGA? Tra parentesi l’avverbio perche’ ha un tono depressivo nella lingua italiana sarebbe, forse, meglio chiedersi per quale motivo limitarsi alla sola efficienza energetica? Chiusa parentesi.

  2. Emanuele

    Forse più semplice e efficace di mille sussidi e interventi fare aumentare significativamente le tariffe in modo da riflettere i veri costi di gestione a lungo termine (compreso il problema della scarsità, la manutenzione straordinaria delle reti ecc) e, nei caseggiati di appartamenti, installare contatori individuali. Penseranno poi gli utenti e il mercato a ridurre nel modo migliore i consumi.

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