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Dall’università al lavoro: quel recupero prima della nuova recessione

Il rapporto Almalaurea

Il rapporto sulla condizione occupazionale dei laureati 2020, pubblicato l’11 giugno da Almalaurea, contiene notizie incoraggianti per chi ha completato gli studi, con dati che si avvicinano, dopo circa cinque anni di crescita, alla situazione precedente alle due crisi del 2008-2009 e del 2011-2013. La presenza di dati raggruppati per genere, inoltre, permette di analizzare il differenziale tra laureati e laureate nel mercato del lavoro. L’indagine ha coinvolto 650mila “dottori” di primo e secondo livello che hanno ottenuto il titolo tra il 2014 e il 2018.

Occupazione

Il tasso di occupazione dei laureati a un anno dal conseguimento del titolo è cresciuto stabilmente dal 2015 per tutte e tre le categorie considerate (laurea triennale, magistrale biennale e magistrale a ciclo unico). La perdita occupazionale tra il 2008 e il 2014 era stata di 16,3 punti per i laureati di primo livello, di 10,4 punti per quelli magistrali biennali e addirittura di 30,4 punti percentuali per i laureati magistrali a ciclo unico. Nonostante la crescita degli ultimi anni, quindi, le tre categorie continuano a registrare tassi di occupazione leggermente inferiori rispetto a quelli pre-crisi. In particolare, il gap rispetto ai livelli del 2008 per i laureati di primo livello è di 7,9 punti, che scende a 4,2 punti per quelli magistrali biennali e sale a 16,7 punti percentuali per i laureati magistrali a ciclo unico.

Risultati simili si osservano anche per quanto riguarda il tasso di occupazione a cinque anni dal conseguimento del diploma, benché non sia possibile confrontare i dati 2019 con quelli del 2008, ma solo con quelli del 2012 (primo dato disponibile). In questo secondo caso il divario è meno marcato: 1,6 punti per i laureati di primo livello, 3,2 per i magistrali biennali e 4,6 per i magistrali a ciclo unico. Il differenziale più basso si spiega con il cambiamento dell’anno di riferimento: nel 2012 il tasso di occupazione generale italiano era già stato ridotto dalla grande recessione del 2008-2009. L’andamento del tasso di occupazione a uno e cinque anni dal diploma si può osservare nelle figure 1a e 1b.

Il divario di genere si fa sentire già a un anno dalla laurea: il tasso di occupazione femminile per la laurea di primo livello è più elevato di quello maschile, ma diventa più basso per le magistrali. Inoltre, qualunque sia il tipo di laurea considerato, a un anno dal titolo il numero di ore lavorate settimanale è inferiore per le donne rispetto agli uomini, anche per via dell’uso più frequente del part-time (con l’eccezione delle magistrali a ciclo unico). Non sono purtroppo disponibili dati sul salario orario.

Crescono le retribuzioni, ma il gender gap non si riduce

L’andamento delle retribuzioni nette mensili a uno e cinque anni dal conseguimento del titolo è stato simile a quello del tasso di occupazione, con un calo fino al 2013-2014, per poi tornare a crescere. Nel caso dei laureati magistrali a ciclo unico la retribuzione a un anno dalla laurea nel 2019 è più alta di quella del periodo precedente le due crisi. Il salario medio a un anno dal titolo di un laureato triennale (1.210 euro/mese) supera di circa 100 euro quello di un lavoratore con il solo diploma di scuola superiore (1.114 euro/mese) ed è inferiore di soli 65 euro a quello di un laureato di secondo livello (magistrale biennale e magistrale a ciclo unico).

Per quanto riguarda le differenze di genere, a un anno dal conseguimento del titolo, gli uomini hanno guadagnato più delle donne in tutte e tre le categorie di laurea. Il gender gap è di 176 euro per le lauree di primo livello, 220 per quelle magistrali biennali e 249 per le magistrali a ciclo unico. L’andamento delle retribuzioni è consultabile nelle figure 2a e 2b, mentre la figura 2c mostra l’evoluzione del differenziale di genere a un anno dal conseguimento del titolo.

Un altro fattore che può contribuire a spiegare le differenze nella retribuzione è dato dalla diversa composizione per genere dei corsi di laurea, che vede le donne scegliere generalmente corsi meno remunerativi. In particolare, la componente femminile è prevalente nei corsi umanistici e legati ai servizi, quella maschile nell’ambito ingegneristico e delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict). Le donne, dunque, hanno salari e ore lavorate inferiori, pur laureandosi in media prima e con voti più alti.

La differenza tra la retribuzione di un laureato di primo livello e quella di uno di secondo livello varia a seconda del settore disciplinare del percorso accademico. In particolare, guardando alle retribuzioni a cinque anni dal titolo, il settore chimico-farmaceutico è quello in cui la laurea di secondo livello offre il maggiore guadagno rispetto al titolo di primo livello (+320 euro/mese), mentre quello psicologico risulta il meno conveniente. In quest’ultimo settore, la differenza tra i salari è addirittura negativa, con una perdita netta di 33 euro al mese dei laureati di secondo livello rispetto a quelli del primo. Le differenze tra i settori si possono osservare in figura 3.

Il recupero giusto in tempo per una nuova recessione

Se da una parte i dati in rialzo degli ultimi anni possono lasciare spazio a un timido ottimismo, nonostante i pochissimi passi avanti compiuti nella riduzione del divario di genere, dall’altra l’incombere di una nuova crisi fa immaginare che la crescita del 2019 verrà arrestata da un crollo nel 2020. I Millennials italiani si trovano ad affrontare la terza recessione della loro storia, proprio nel momento in cui la lenta crescita dell’Italia, che non ha ancora raggiunto i livelli del 2008 in termini di Pil, sembrava permettere a questa generazione di tentare di gettare le basi per un solido futuro. I dati del 2019 hanno sfiorato quelli registrati dieci anni prima, ma il gap da colmare con gli altri paesi europei è ancora enorme: secondo la società di consulenza Willis Towers Watson, lo stipendio d’ingresso lordo di un neolaureato in Italia è di 28.800 euro l’anno (quattordicesimi in Europa), contro i 36mila della Francia e i 49mila della Germania. Mentre gli altri paesi hanno recuperato da tempo i livelli di produzione pre-crisi, l’Italia è ancora in negativo rispetto a dodici anni fa.

Quante ripartenze dovremo fallire prima di tornare a crescere per davvero?

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  1. Moreno Moratti

    Sono purtroppo padre di due laureati , magistrale entrambi , la prima lavora all’estero oramai da due anni con suo dispiacere, ma ben retribuita. Il secondo sopo vari stage , alcuni non pagati, AD OGGI E’ ANCORA A CASA, nonostante laurea in Ingegneria idraulica. Le proposte di “lavoro” sono praticamente a livello di raccolta pomodori
    Se avessero cominciato a lavorare entrambi avrebbero molti di più e la famiglia avrebbe speso meno. Sinceramente dispiaciuto.

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