Lavoce.info

Coronavirus, che fare in caso di nuovi focolai

In caso di nuovi picchi di contagio, potrebbe non essere necessario richiudere intere regioni. Un’alternativa può venire dai sistemi locali del lavoro, gruppi di comuni identificati dall’Istat sulla base dei dati sulla mobilità dei lavoratori pendolari.

La “fase 2” è ufficialmente iniziata, ma permangono ancora molti dubbi su quello che potrebbe accadere. A differenza da quanto fatto da altri paesi europei – come la Spagna – il presidente del Consiglio Conte ha puntato su una riapertura delle attività su scala nazionale. Ma, come anticipato dal ministero della Sanità, non appena i contagi dovessero superare determinate “soglie sentinella”, si dovrà chiudere immediatamente e selettivamente alcuni micro-territori, sulla base del monitoraggio dei nuovi contagi e della disponibilità nelle strutture sanitarie. Come selezionare i giusti micro-territori? Nelle scorse settimane, Tortuga aveva individuato nei Sistemi locali del lavoro (Sll) – gruppi di comuni identificati dall’Istat in base a informazioni sulla mobilità dei lavoratori pendolari – un criterio prudenziale per poter gestire la “fase 2”. Riteniamo però che questo stesso criterio possa rivelarsi efficace anche nella gestione di eventuali future richiusure.

Zoning e Sll

L’Italia sta ripartendo, ma è necessario essere pronti all’eventualità di nuove chiusure, come ci è stato ricordato dal recente nuovo lockdown a Hong Kong. La tempestività nell’individuazione dell’area a rischio e l’istituzione di misure di contenimento targetizzate sono fondamentali. La nostra proposta intende utilizzare i Sll per individuare aree più piccole – e quindi più facilmente monitorabili e gestibili – che garantiscano un elevato contenimento dei movimenti delle persone. Per costruzione, i Sll accorpano gruppi di comuni sulla base della mobilità dei lavoratori, assicurando che circa il 75 per cento dei flussi siano contenuti all’interno dell’area. In questo modo, ampi territori individuati su criteri amministrativi – come quelli delle regioni – verrebbero suddivisi in aree tra loro fortemente disconnesse. Laddove i dati sanitari raccolti a livello comunale indicassero l’insorgere di un nuovo focolaio, si potrebbe mettere in lockdown uno specifico Sll senza propagare la misura all’intero territorio circostante. Questo approccio è in linea con la proposta di Oliu-Barton, Pradelski e Attia, basata sulla progressiva unione di aree sicure – ossia dove i criteri sanitari definiti dagli esperti consentano un ritorno al normale svolgimento delle attività sociali ed economiche – e l’isolamento di aree rosse, dove si registrano nuovi contagi. I ricercatori consigliano di dividere il territorio statale in suddivisioni con una popolazione tra 5 e 100 mila abitanti. In Italia si evidenziano circa 600 Sll, composti da circa 100 mila abitanti l’uno. Di questi solo una minoranza (evidenziati in giallo in figura 1) travalicano i confini amministrativi delle regioni, situazioni comunque puntualmente risolvibili.

Leggi anche:  Assistenza agli anziani: fatto il decreto, manca ancora la riforma

Figura 1 – Sll e regioni in Italia.

Sll e mortalità

I dati Istat sulla mortalità appena diffusi ci permettono di condurre un’indagine sulla relazione tra la mortalità e i Sll. Dalla figura 2 emerge che la mortalità maggiore, dove il virus ha avuto più impatto, si concentra nell’area lombarda e in alcune zone di Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. All’interno delle stesse regioni però, la mortalità è stata maggiore in aree tra loro contigue, lasciando ampie aree parzialmente risparmiate dall’impatto. Sovrapponendo alla mappa del contagio quella dei Sll è evidente che vi sono aree, anche all’interno delle stesse regioni, che evidenziano una minore presenza del virus. Dalla figura 2 emerge infatti che la maggioranza dei Sll presenta una mortalità relativa (calcolata come rapporto tra tasso di mortalità al 2020 e media dei tassi tra 2015 e 2019) inferiore all’unità. Queste aree tendono inoltre a essere vicine, potendo quindi essere progressivamente accorpate per individuare delle zone sicure in accordo con quanto evidenziato da Oliu-Barton, Pradelski e Attia. Il criterio per ritenere i Sll sicuri dovrebbe essere individuato da esperti medici, ciononostante riteniamo che politiche estese di campionamento siano essenziali per poter tracciare in tempo reale la propagazione del virus.

Figura 2 – Mortalità relativa nei Sll.

Benefici e problematiche

Individuiamo alcuni benefici dall’adozione dei Sll come criterio per eventuali richiusure. In primis, la tempestività: i Sll offrono un’approssimazione della più probabile area di contagio, senza necessità di adottare criteri ad hoc (ricordiamo la formazione delle prime zone rosse in Lombardia e Veneto) e la ripartizione geografica dei Sll è già disponibile, trattandosi di dati elaborati dall’Istat. Inoltre questo criterio permetterebbe di garantire il proseguimento delle attività economiche laddove insorgessero nuovi contagi, limitando le misure di contenimento a specifici Sll. Questi ultimi non sono altro che insiemi di comuni, perciò per avviare la chiusura sarebbe sufficiente comunicare alle autorità di controllo competenti una lista di comuni da chiudere.

Vi sono però delle criticità nella gestione dei grandi centri urbani che si trovano spesso al centro di alcuni Sll molto popolosi e dove monitoraggio e intervento potrebbero risultare difficoltosi. Questi Sll evidenziano però una modesta percentuale della popolazione residente occupata nei settori del terziario (figura 3), dove l’adozione delle pratiche di smart working è facilitata visto che per molti servizi non è richiesta una presenza fisica del lavoratore. Ciononostante, per la maggioranza degli altri lavoratori, l’adozione di turni di lavoro sfalsati e il lavoro durante il weekend potrebbero contribuire a evitare sovraffollamenti negli uffici.

Leggi anche:  Sanità pubblica tra problemi e narrazioni

Figura 3 – Percentuale occupati in attività svolgibili da remoto e densità abitativa nei Sll.

Dovremo imparare a convivere con il virus finché non verrà trovato un vaccino o una cura efficace e ci potrebbero volere circa 18 mesi. Durante questo lasso di tempo vi potrebbero essere nuovi contagi. Se la prima ondata del coronavirus ci ha colti impreparati, è importante dotarsi di criteri per gestire adeguatamente i prossimi mesi.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Un po' di chiarezza su alcol e salute

Precedente

Italiani benefattori in patria

Successivo

C’è un’altra epidemia da curare: l’incertezza

  1. Lorenzo Luisi

    Finalmente si comincia a ragionare in termini di propagazione della malattia in base agli spostamenti umani (e dire che lezioni storiche come la diffusione della peste avrebbero dovuto far immaginare, in fase di programmazione di risposte a ipotetiche pandemie, di cosa occorreva tener conto). Quando un paio di mesi fa un gruppo di ricercatori mostrò una correlazione fra inquinamento e propagazione del virus replicai, qui e sui miei social, che bastava vedere i grafici dell’Istat sugli spostamenti dei pendolari per seguire le tracce che conducevano alle soluzioni …

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén