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Recovery Fund, una grande occasione da non sprecare

Con ogni probabilità sarà l’Italia il maggior beneficiario del piano messo a punto dalla Commissione europea. Che segna un passo avanti importante in direzione della tanto auspicata unione fiscale, ma anche un banco di prova decisivo per il nostro paese.

Una proposta storica

La proposta avanzata dalla Commissione europea il 27 maggio, relativa all’avvio di un Recovery Fund, rappresenta una occasione storica per l’Europa e per l’Italia. Non solo per la quantità di risorse messe sul tappeto, ma soprattutto per i suoi aspetti qualitativi. Il rischio principale per il nostro paese è che essa rappresenti un’ennesima occasione sprecata, a causa dei pregiudizi verso le istituzioni europee e della mancanza di visione della classe dirigente, nonché della storica inefficienza della nostra pubblica amministrazione.
Naturalmente, si tratta per il momento solo di una proposta; per essere approvata richiederà certamente una dura contrattazione con i piccoli paesi “rigoristi” del Nord Europa, forti del fatto che il bilancio europeo richiede l’approvazione unanime dei membri. Tuttavia, alla luce dell’accordo franco-tedesco della settimana scorsa, è molto difficile che venga snaturata. La differenza delle forze in campo e i rischi per i “rigoristi” se tirano troppo la corda (i restanti paesi possono sempre decidere di andare avanti da soli, con ovvie ripercussioni) sono tali da immaginare che alla fine si troverà una qualche soluzione che ne consenta l’approvazione salvando la faccia a Rutte e colleghi.
Se il Recovery Fund andrà in porto nella versione proposta dalla Commissione, questa diventerà il maggiore emittente sovranazionale in Europa, con nuove emissioni di titoli di debito per 750 miliardi. Si tratterà di titoli a lungo termine, con scadenze previste fino a trent’anni. I soldi raccolti sui mercati finanziari serviranno in parte (250 miliardi) per finanziare prestiti ai paesi membri che li dovessero richiedere, ma in misura ancora maggiore (500 miliardi) per erogare contributi ai governi e ai cittadini europei, in linea con quello che da sempre fa il bilancio europeo. I 750 miliardi del Fondo si sommeranno ai circa 1.100 miliardi del finanziamento per le attività normali del bilancio europeo nel periodo 2021-27, che resteranno inalterati.

Come funzionerà

Come farà la Commissione a pagare gli interessi e a restituire i soldi raccolti per il Fondo, quando i titoli emessi andranno a scadenza? Qui sta forse la novità più importante della proposta della Commissione. Finora il dibattito e le indiscrezioni filtrate negli ambienti comunitari puntavano su un meccanismo basato sui contributi nazionali al bilancio pluriennale comunitario, che avrebbero dovuto funzionare come garanzia a fronte dei titoli emessi. Ora invece si punta, almeno in parte, sul fatto che il bilancio dell’Ue sarà dotato di maggiori risorse proprie, derivanti da imposte prelevate a livello europeo quali, per esempio, la plastic tax e il prezzo che le imprese inquinanti pagano per acquistare i diritti di emettere CO2 (che poi possono essere scambiati sul mercato). Al di là dei dettagli, che ancora non si conoscono, comincia a farsi concretamente strada un principio importante e da tempo invocato da molti: la costruzione di una “capacità fiscale” comune tra i paesi dell’Unione, cioè di un bilancio europeo finanziato con risorse proprie consistenti e non solo con contributi nazionali. Questo passaggio è fondamentale per completare la costruzione europea, rimasta a metà strada dopo la storica decisione di condividere la moneta tra la maggior parte dei paesi, i più rilevanti non solo in termini di popolazione ma anche di attività economica. Naturalmente, il fatto che alcuni paesi non abbiano ancora adottato l’euro – benché tutti (eccetto la Danimarca) abbiano preso impegni vincolanti in questo senso – complica la gestione del bilancio e richiederà comunque aggiustamenti.
Il fatto di disporre di risorse proprie è importante per due ragioni. Primo, rende possibile impostare programmi di investimento comunitari e di assistenza ai paesi europei, liberando queste decisioni dalle lunghe e faticose contrattazioni relative ai contributi nazionali al budget comunitario. Secondo, rende possibile l’emissione di titoli di debito veramente comuni, senza bisogno di fare affidamento sulla garanzia reciproca tra gli stati membri, tanto invisa ai paesi del Nord Europa (Germania compresa) perché li espone al rischio di “pagare i debiti degli altri”. Si comincia così a creare il tanto agognato safe asset europeo nella forma più solida e più semplice, evitando i bizantinismi e la fragilità di tante altre proposte circolate in questi anni nel dibattito sugli eurobonds.

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La sfida per l’Italia

È molto probabile che l’Italia finisca con l’essere il maggiore beneficiario del Recovery Fund, sia per le sue dimensioni che per il fatto di essere stato uno dei paesi più colpiti dal virus. Sulla base delle tabelle provvisorie che circolano, nei prossimi anni il paese dovrebbe ricevere oltre 170 miliardi di euro, cioè circa il 10% del Pil, distribuiti più o meno equamente tra contributi e prestiti. Ciò consentirà di finanziare ingenti programmi di spesa senza appesantire ulteriormente il debito pubblico nazionale, già a livelli di guardia. Anche la parte di prestiti avrà scadenze lunghe e tassi di interessi bassi, sicuramente molto inferiori a quelli che potremmo spuntare da soli sul mercato. Ma qui cominciano i veri problemi. Saremo capaci di spendere tutti questi soldi, e come? La Commissione ha già indicato alcune linee-guida sulla destinazione di queste risorse, indicando alcuni capitoli di spesa prioritari, tra cui – oltre al supporto dei settori più colpiti dalla crisi (trasporti e turismo) – l’agenda digitale, l’istruzione, la sanità e la conversione dell’economia verso la sostenibilità ambientale (carbon free). La Commissione sorveglierà sulla destinazione dei contributi erogati, com’è naturale che sia. Questo spiacerà ai sovranisti nostrani, ma sarebbe difficile sostenere che quelli indicati dalla Commissione non siano i settori fondamentali su cui investire per riprendere un processo di sviluppo del paese. L’erogazione delle sovvenzioni avverrà a fronte della presentazione, da parte dei governi dei singoli paesi, di piani di investimento credibili, accompagnati dalla capacità di metterli in pratica.
Questa sarà nell’immediato futuro la sfida maggiore per il nostro paese. Diamo atto al governo Conte di avere giocato bene il primo tempo della partita: quello in cui si chiedono i soldi. Ma il secondo tempo, quelli in cui si deciderà come spenderli, è ben più impegnativo. Occorre una visione strategica: quali sono i progetti prioritari? Quali soggetti coinvolgere? Chi vigilerà sul progresso delle attività di investimento? Se tutto finirà “all’italiana” con l’assegnazione di fondi “a pioggia”, per di più ostacolata dalle solite complicazioni burocratiche, il paese perderà un’occasione storica. Difficile che ce ne siano altre.

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15 commenti

  1. Savino

    Sarà un successo solo se l’Italia lo utilizzerà per il ricambio generazionale in tutti i settori. Non ci si permetta di far cambiare auto. PC. TV ed elettrodomestici ai poveracci.

  2. Henri Schmit

    Dell’articolo troppo eufemistico salvo due frasi, entrambe incomplete: “La Commissione sorveglierà sulla destinazione dei contributi erogati, com’è naturale che sia. – Ma il secondo tempo, quelli in cui si deciderà come spenderli, è ben più impegnativo.” Da mesi il governo assecondato dagli esperti chiede ingenti risorse comuni condivise fra paesi al pro rata della loro partecipazione al bilancio, allocate secondo una chiave diversa e che ognuno investe come meglio crede. La richiesta-faro erano gli eurobond. La commissione propone esattamente l’opposto: condizioni rigorose, non solo per destinazione, ma per uso e per sistema da riformare, i.e. progetti, selezione, controlli e sanzioni. Chi tace questo, fraintende la natura dell’UE, indebolisce il proprio paese, inganna l’opinione e porta acqua al mulino dei nazionalisti anti-europei. Un altro equivoco riguarda il rifinanziamento con risorse fiscali europee. L’11% del bilancio comune è già alimentato da una tassa europea, l’IVA. Gli stati fissano solo le aliquote, l’incassano sui loro contribuenti e, per costringerli a lottare contro l’evasione, versano all’UE una percentuale teorica. Varie tasse nuove potrebbero seguire questo modello, ma saranno sempre prelevate dai paesi sui loro contribuenti. Al netto il NGEu da €750 miliardi beneficia all’Italia che partecipa al 13% ma riceve il 23% di cui oltre il 10% come grants. Il debito pubblico aumenterà per la quota utilizzata del prestito che coincide più o meno con il 13%.

  3. Una bella proposta!
    si aumentano i contributi europei dello 0,60% dei pil degli Stati membri, fino a che la Commissione avrà rimborsato il debito. Oltre all’aumento dei contributi diretti si avranno delle tasse comunitarie.

    L’Italia pagherà 10 miliardi all’anno fino a che il debito di 750 miliardi non verrà rimborsato dall’UE (si parla dal 2027, al più tardi 2058). Di seguito il passaggio della decisione della commissione europea.

    “To provide the necessary budgetary capacity to accommodate the potential liabilities relating to the financing of Next Generation EU and in accordance with the requirements of budgetary discipline, the revised Own Resources Decision will include an exceptional and temporary increase of the own resources ceilings for commitments and payments by 0.6% of EU gross national income. The expansion of the ceilings will be used for the sole purpose of addressing the COVID 19 crisis needs and limited to the duration needed to cover these liabilities.”

    “The funds raised will be repaid after 2027 and by 2058 at the latest. This will help to relieve pressure on Member State budgets at a time when public finances are under severe strain, while ensuring that all obligations arising from this debt issuance will be honoured from future EU budgets. To facilitate the repayment of the market finance raised and further help reduce the pressure on national budgets, the Commission will propose additional new own resources at a later stage of the financial period.”

    • Giuseppe

      Mi ha appena chiamato il Ragioniere Generale dello Stato, il quale aveva letto il suo intervento. Trascrivo le sue testuali parole: se ciò che scrive il Sig. Piero è accurato, trovatemi subito una penna perché io, a nome dell’Italia, firmi immediatamente. Con un PIL in calo drammatico, il nostro aumento di contribuzione al bilancio dell’UE sarà trascurabile; diverremo beneficiari netti (mentre adesso siamo contributori netti) e ci metteremo – per anni ed anni – al riparo dalle reazioni dei mercati finanziari, che dopo ogni dichiarazione degli gnomi economici della Lega, prima ridono, poi alzano il tasso da farci pagare sui titoli del debito pubblico. Peccato che, nel 2018, quasi 11.000.000 di Italiani adulti abbiano spedito così tanti asini in Parlamento!

      • Da precisare che i 750 sono per tutti i paesi; dobbiamo vedere l’importo del contributo a favore dell’Italia, non credo che sarà ciò che è stato annunciato da Gentiloni, la ripartizione dovrà essere accettata da tutti gli stati membri nel Consiglio e poi ratificata dai singoli parlamenti.
        Pagare 10 miliardi aggiuntivi al bilancio europei, per riprenderne se tutto va bene 80 (ripartiti nel 2022/2023 e 2024) mi sembra un fallimento, già solo nel prossimo bilancio abbiamo ripagato l’intero contributo.
        Il recovery fund è si una grande occasione da non sprecare, per portare avanti l’unione fiscale europea, non per risolvere i nostri problemi che tutti conosciamo.

        • Henri Schmit

          # Pietro: La sua giusta osservazione mi costringe di aggiustare il mio conto: non solo la quota prestito (81 miliardi) se utilizzata aggraverà il debito nazionale, ma, presumo, anche la quota nazionale dell’intero debito comune! Cioè 750 x 13% = 97 miliardi. Non 10 miliardi di ammortamento annuale (non capisco come la cifra sia stata calcolata), più gli interessi, ma l’intera quota italiana farà parte del suo debito. Sbaglio qualcosa? Di sicuro, né Gentiloni, né Sassoli, né Conte, né Gualtieri, né tanti altri ne capiscono qualcosa. Sono davvero preoccupato per l’improvvisazione, l’incompetenza e l’irresponsabilità con la quale il governo, e altri, affrontano la questione.

          • Il recovery fund è una timida ipotesi di fiscalità europea, certo non servirà per l’emergenza.
            Il recovery con altro nome sarebbe dovuto essere istituito fin dall’istituzione dell’euro.
            Già abbiamo avuto tre bilanci settennali europei, nel cassetto potevamo avere 2.250 miliardi da distribuire per riequilibrare le economie dei paesi euro.
            Per la crisi Covid solo la BCE può fare qualcosa subito.

  4. PURICELLI BRUNO

    Qualunque sia la qualità e quantità del carburane potenzialmente disponibile, con equipaggi inesperti (e sovente presuntuosi), con un comandante che non sa come far lavorare gli equipaggi perchè privo lui pure di esperienza e dipendente da alcuni degli equipaggi ogni navigazione risulterà insoddisfacente, non per cattiva volontà di tutti i responsabili ma perché non saprebbero come fare e cosa fare in quanto impreparati. La buona volontà non basta. Lascino ad altri tale responsabilità e che sia l’ultima volta che mettiamo ragazzini nelle cabine di regia!

  5. bob

    21 vergognose consorterie e non l’ Italia farà scempio di queste risorse. ” Occorre una visione strategica……” la visione strategica può averla solo un sistema- Paese. “condizioni rigorose,…” fossi l’ Europa farei condizioni più stringenti ancora con progetti presentati alla commissione europea e finanziati dalla stessa dopo verifica. Precedenti? Vedere ;
    https://www.ilmessaggero.it/pay/edicola/amatrice_ospedale_angela_merkel-4195745.html

    • Alles gute

      “Scherzi a parte, fu questa cerimonia l’occasione per sancire l’accordo, annunciato mesi prima. Ovvero la donazione di 6 milioni di euro per ricostruire l’ospedale. «Deve essere un dolore immane perdere la propria casa», disse Merkel. E poi scattò la foto ricordo, con tanto di consegna della felpa griffata Amatrice. Da quel giorno, sono stati portati avanti tutti gli step per ricostruire la struttura. Fino a quando, lo scorso ottobre, è avvenuto il cambio di guarda all’interno della struttura commissariale per il terremoto, alle strette dipendenze di Palazzo Chigi. Via la deputata pd Paola De Micheli, dentro il geologo, su indicazione del sottosegretario Vito Crimi, Farabollini. Nemmeno due mesi ed è partito conflitto. Che rischia di paralizzare l’opera e che sta mettendo in imbarazzo il governo tedesco, poco abituato a queste guerre burocratiche davanti alle emergenze. Nel dubbio i finanziamenti sono fermi.” Questa è la storia di un paese malato, non di 21 consorterie. E’ la storia di una politica becera che gioca sulla pelle degli italiani, altro che a favore del popolo. Come era la storia del Covid che si esce tutti insieme?

      • bob

        giustissimo!! ” Questa è la storia di un paese malato, non di 21 consorterie..” ! Malato di 21 consorterie ognun per se. La folle gestione del Covid dove 2 “governatori” in particolare hanno fatto campagna elettorale patetica, ha prodotto molti più danni dell’epidemia stessa. Il settore turistico con queste scellerate iniziative ( una su tutte certificato sanitario) distruggerà l’intero comparto. Non ci fidiamo tra di noi volete che si fidano altri Paesi? Approssimazione, dilettantismo, incompetenza, provincialismo, localismo becero, nepotismo parentale, visione gretta è il risultato di consorterie cosa altro se no???

  6. Henri Schmit

    “I piccoli paesi del nord”, i 4 “rigoristi”, hanno insieme, rispetto all’Italia, 2/3 della popolazione, ma un PIL superiore: NL la metà per un quarto della popolazione, Austria e Svezia 1/4 ciascuno, Dk un quinto per meno di un decimo della popolazione. Basta stigmatizzare questi paesi come meno europeisti, sono solo più responsabili. Se hanno chiesto prestiti invece di contributi, era per garantire la possibilità e l’efficacia di controlli. Nella trattativa insisteranno su questo. Contrariamente a quanto sostenuto dagli autori, non sarebbe possibile realizzare il programma senza di loro, perché parte del budget a 27 (QFP). I veri anti-europei sono cisalpini: non solo i nazional-sovranisti potenzialmente maggioranza parlamentare, ma anche il supporto che ricevono nell’opinione pubblica fondata sui pregiudizi dei falsi europeisti che promuovono l’assistenza in forma di contributi europei invece delle riforme attese da 30 anni.

  7. Ci potrà salvare solo la BCE, con la cancellazione del debito.
    La monetizzazione pro quota del debito non è vietata dal trattato; trattasi dell’unico strumento di politica monetaria espansiva che potrà essere utilizzato dalla BCE per raggiungere i suoi obiettivi, in questa crisi; la BCE deve aumentare la base monetaria, l’ultimo comunicato dell’Eurostat, ha rilevato la diminuzione dell’inflazione dal 1,2% allo 0,7%; nonostante il nuovo QE, abbiamo che si va verso la deflazione, siamo ben lontani dal 2% di inflazione che dovrebbe essere garantito, almeno tendenzialmente, dalla BCE.
    La BCE non può subire l’influenza delle istituzioni europee.
    Per garantire la stabilità dei prezzi e quindi della moneta, alla BCE dovrebbe essere tutto permesso, ad eccezione di ciò che è espressamente vietato.
    Nel raggiungimento della stabilità dei prezzi, la BCE deve anche rispettare i principi di cui all’art. 119 del TFUE (principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza).
    L’art. 123, per il rispetto del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, e per non compromettere il buon funzionamento dell’unione economica e monetaria (art.121, c.), vieta l’acquisto diretto dei titoli di debito degli stati membri da parte della BCE e delle BCN.
    Nel nostro caso, la monetizzazione si attua con titoli già acquistati con i precedenti QE; la cancellazione dei titoli verrà realizzata in proporzione alla partecipazione di ogni stato alla BCE, quindi non vi sarà nessun privilegio esclusivo per un singolo stato membro, tutti beneficeranno di tale manovra di politica monetaria espansiva con strumenti non convenzionali, non verranno violati i citati principi europei.

  8. Paolo Sbattella

    Rimango dell’idea che occorra conoscere meglio come si articolera’ e funzionera’ in pratica il Recovery Fund. Mi sembra ancora prematuro dare un giudizio sullo stesso, penso si possa dire che puo’ rappresentare uno stimolo per la ripresa economica. Ma solo uno stimolo. Occorrono altre misure e soprattutto un grande scatto di reni da parte dell’intera nazione italiana.Oltre alla riforme di cui si parla molto in queste settimane (ma occorre farle e non annunciarle) va fornita subito liquidita’ alle imprese, vanno fatti ripartire subito cantieri e le opere pubbliche, va tagliata la spesa pubblica improduttiva, va alleggerito e reso più efficiente lo Stato che non tiene il passo dell’odierna economia digitale, va stimolata concretamente l’imprenditorialita’ , va alleggerita la pressione fiscale, va sostenuta l’innovazione, va tutelato il Made in Italy e le nostre esportazioni, vanno fatti rientrare i capitali italiani detenuti all’estero ed altro ancora. Altro punto di forza dell’Italia e’ il risparmio dei suoi cittadini che va drenato maggiormente verso la sottoscrizione dei titoli del debito pubblico, aumentando ulteriormente la percentuale dello stesso in mani italiane. L’ esempio più eclatante e’ il Giappone, terza economia del pianeta. Un’Italia più forte e più consapevole delle proprie qualita’ potra’ essere così più convincente e rispettata sui diversi tavoli e vertici europei ed internazionali dove si decide. E’ un ruolo a cui mirare e da raggiungere.

  9. Henri Schmit

    Gli autori sostengono che 1. il governo italiano abbia giocato bene il primo tempo della partita (la definizione della nuoce risorse europee, peraltro non ancora chiuso) e 2. che si troverà una formula di compromesso (alla chiusura del primo temo) per permettere a primo ministro olandese di salvare la faccia. Pensò esattamente il contrario: 1. Il governo Conte a perso su tutta la linea (inclusa la faccia, se l’avesse), salvo per la chiave di riparto vantaggiosa (esito scontato) e la quota cospicua di trasferimenti. Non bisogna però ignorare l’altra faccia della medaglia, le modalità d’uso dei contributi concessi, le quali rinforzano le procedure di approvazione e di controllo. Questo elemento è la novità meno evidente dello strumento: si promettono più risorse comuni in cambio ad una più stretta sorveglianza della spesa dei paesi beneficiari soprattutto di coloro che finora sono stati incapaci di riformare il loro sistema economico e fiscale sotto regia propria. 2. Rutte invece di perdere la faccia avrà adesso tutte le carte in mano per affinare le procedure di approvazione e i controlli sufficienti per costringere paesi incostanti, inaffidabili, recalcitranti o incapaci – per il proprio bene – di convergere (un concetto cruciale dell’eurosistema) se necessario loro malgrado. Chi ignora o occulta questo aspetto, sta preparando la prossima catastrofe (divergenza fra politica economica e fiscale coordinata e scelte politiche e elettorali opposte).

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