Il coronavirus può diventare un’occasione di rinnovamento per la scuola. Alle elementari si potrebbe tornare al modello che privilegia l’apprendimento da esperienza e sperimentazione. Magari già da giugno, con esperienze-pilota insieme ai centri estivi.
Un modello da riscoprire
Il Cov-Sars-2 lancia una sfida enorme alle nostre scuole, che potrebbe essere sfruttata per un rinnovamento didattico strutturale a vantaggio dell’apprendimento.
Mi riferisco in particolare alla fascia 3-10 anni e alla scuola elementare che, a parere di molti esperti, negli ultimi 15 anni ha subito una sorta di “secondarizzazione”: l’apprendimento da esperienza e da sperimentazione (che è sempre stata una caratteristica qualificante della scuola italiana) è stato progressivamente sostituito da un apprendimento da istruzione (libro, cattedra, programma). La causa principale è l’imperativo di “imparare, imparare e imparare sempre più” aumentando le nozioni. Le maestre e i maestri si sono così trovati nella condizione di fare in fretta e passare a un insegnamento più teorico (come galleggia un corpo nell’acqua) che esperienziale (fare l’esperienza del galleggiamento). Ma sappiamo che questo modo di insegnare è alla fine più povero perché i tempi di apprendimento dei bambini sono più lenti e più legati ai sensi e al fare esperienze che stimolano la curiosità, la creatività e la volontà (abilità che da adulti si metamorfosano nell’intrapresa).
Un gruppo di scuole pubbliche, presente ormai in sei regioni e che cresce ogni anno, ha colto i rischi di questa deriva e si batte dal 2015, con l’appoggio dello stesso ministero dell’Istruzione e di molti dirigenti scolastici, per riprendere un’antica e validissima esperienza, svolta in Italia dal 1900 al 1977, di educazione all’aperto (poi diffusasi come outdoor education in tutto il mondo). Mirella D’Ascenzo, docente di storia dell’educazione all’università di Bologna, ha scritto un bel libro per raccontare in modo dettagliato questa entusiasmante storia.
Ora quell’antica sperimentazione potrebbe essere ripresa in forma moderna, alternando l’insegnamento in aula (da istruzione) con quello all’aperto (da sperimentazione), non solo perché ciò facilita la soluzione del problema del distanziamento e minor contagio, ma perché mai come oggi l’apprendimento deve avere come riferimento la “comunità educante”, che va oltre l’aula e i maestri. La “rivoluzione” è in atto anche nei paesi poveri, dove si è capito che il villaggio e i mestieri in esso presenti sono fonti rilevanti di conoscenza, che rischiano di essere recisi da un insegnamento fatto in una scuola separata dal villaggio.
Sperimentazione già da giugno
Esperienze simili sono molto diffuse nei paesi del Nord Europa e in Germania, dove vigono le norme di sicurezza europee. Sono le nostre stesse norme, ma perché allora in Italia spesso bloccano le esperienze all’aperto? Roberto Farnè fa notare che se i bambini tedeschi e danesi imparano ad accendere il fuoco, a giocare con l’acqua, a correre qualche piccolo rischio, non si vede perché non lo possano fare i loro coetanei italiani, che non sono certo più stupidi. Il mondo senza spigoli non esiste, la sicurezza deve dialogare coi diritti del bambino e un insegnante deve saper dire se i suoi alunni possono fare o no certe esperienze, in base alla sua professionalità che non deve essere umiliata.
Per questo sarebbe importante che già a giugno partissero sperimentazioni del modello di scuola “dentro e fuori” in alcuni istituti di alcune regioni (a partire da quelle con R0 più basso e minori contagi), così da dare indicazioni utili alla ripartenza di settembre.
Nella cultura organizzativa è centrale il concetto di “impianto pilota”: sperimentare in piccolo per ricavarne indicazioni utili e fare aggiustamenti prima di produrre a livello “industriale” (e nazionale). Sarebbe una buona pratica da riprendere anche nel mondo della scuola.
A giugno le maestre e i maestri potrebbero dunque avvalersi della collaborazione degli educatori dei campi estivi per avviare le premesse di un nuovo ciclo elementare dove l’apprendimento fa un balzo in avanti. Sarebbe un contributo rilevante all’innovazione educativa, ma anche un aiuto concreto per le mamme lavoratrici. Se invece si opta per organizzare meri campi estivi si rinuncia in partenza a questa integrazione diretta dalle scuole e non avremo quella innovazione e sperimentazione che è certo più difficile e complessa ma anche appassionante. Ci sono paesi (per esempio, Danimarca, Germania o Finlandia) che già operano in questa direzione (ora con piccoli gruppi per via del virus) e che hanno ottimi indicatori di apprendimento.
Peraltro, le ricerche su Vò Euganeo, l’Alta Savoia, e la Svizzera hanno confermato che i bambini fino a 10 anni non contagiano e non si ammalano. Dopo i medici, potrebbero essere proprio le nostre maestre delle scuole elementari a dare un contributo decisivo a una ripartenza migliore e diversa dell’Italia. Si realizzerebbe così il primo provvedimento a favore delle donne – maestre e lavoratrici – e dei bambini.
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