Regolarizzare i braccianti stranieri irregolari potrebbe non essere sufficiente a coprire il fabbisogno di lavoratori agricoli stagionali. È opportuno attivare i “corridoi verdi” previsti dalla Commissione europea, consentendo l’ingresso in sicurezza.
Gli stagionali stranieri in agricoltura
Le misure attuate per il contenimento della diffusione del coronavirus hanno incluso anche la sospensione degli accordi di Schengen: sono stati reintrodotti controlli alle frontiere e, fino al 15 maggio, è stato imposto un divieto temporaneo di tutti gli spostamenti non essenziali da paesi terzi. Per la circolazione dei lavoratori essenziali, la Commissione europea ha invece previsto specifiche linee guida.
I lavoratori stagionali rientrano tra quelli riconosciuti come essenziali. I paesi sono chiamati a scambiarsi informazioni sulle rispettive necessità di manodopera stagionale e a concordare procedure per garantire il passaggio agevole delle frontiere, ferma restando la necessità di uno screening sanitario adeguato.
L’attenzione è rivolta in particolare agli stagionali impiegati nell’agricoltura: a livello comunitario, le stime parlano di quasi un milione di lavoratori impossibilitati a raggiungere le imprese agricole per cui abitualmente lavorano, con effetti anche di medio-lungo termine per la filiera europea dell’agro-alimentare.
Per quanto riguarda l’Italia, secondo i dati dell’Osservatorio statistico sul mondo agricolo dell’Inps, nel 2017 i lavoratori stagionali (con contratti a tempo determinato) sono il 91 per cento degli occupati nell’agricoltura. Il 36 per cento degli stagionali, pari a 343.977 persone, è di origine straniera. La quota nasconde peraltro una forte eterogeneità territoriale (figura 1), con regioni in cui l’incidenza degli stranieri sale oltre la metà.
Le regioni del Sud si collocano agli ultimi posti della graduatoria, sia perché l’agricoltura assorbe una quota più alta dell’occupazione complessiva, comprendendo un numero considerevole di lavoratori italiani, sia perché i dati si riferiscono all’occupazione regolare e non colgono la parte occupata nell’economia sommersa, che nel Meridione ha una maggiore rilevanza. In termini assoluti, la Puglia e la Sicilia figurano tra le regioni con il maggior numero di stagionali stranieri. Anche se più della metà (58 per cento) sono extracomunitari, il paese più rappresentato è la Romania, con oltre 100 mila lavoratori.
Secondo la Rete di informazione contabile agricola nel 2017 gli stranieri avventizi sono principalmente occupati nelle coltivazioni permanenti (28 per cento), nell’allevamento di erbivori (23 per cento), nei seminativi (21 per cento) e nell’ortofloricoltura (16 per cento). Il loro impiego complessivo non è concentrato in un periodo circoscritto dell’anno poiché va considerata la diversa stagionalità dei prodotti (figura 2). Questo fa sì che il fabbisogno di manodopera sia continuo, pur con evidenti picchi nelle stagioni più calde.
Figura 2 – Periodi di raccolta per macro-categorie di prodotto
Le proposte per fronteggiare il lockdown
Anche in considerazione delle esigenze legate al lavoro agricolo, il decreto “cura Italia” ha prorogato al 15 giugno la validità di tutti i permessi di soggiorno in scadenza, di modo che i lavoratori stagionali già presenti in Italia possano rimanervi regolarmente. Tuttavia, la misura non copre il fabbisogno totale, poiché non risolve il problema dei lavoratori che devono ancora entrare.
Sul modello di altri paesi europei, le associazioni di categoria hanno attivato piattaforme di raccordo tra domanda e offerta di manodopera, per raggiungere un bacino di cittadini italiani (disoccupati, beneficiari del reddito di cittadinanza, studenti, pensionati) potenzialmente interessati all’impiego temporaneo in agricoltura. L’efficacia di queste soluzioni è subordinata alla durata del lockdown delle attività economiche cosiddette non essenziali e alle caratteristiche della manodopera disponibile. Il lavoro agricolo stagionale, infatti, per quanto non qualificato, richiede comunque un certo grado di specializzazione e necessita di condizioni di salute e resistenza fisica buone. La strada di “riciclare” lavoratori rimasti disoccupati in altri settori potrebbe quindi non essere facilmente percorribile. Nell’esperienza francese, i lavoratori locali reclutati tramite job market online hanno mostrato livelli di produttività molto inferiori rispetto alla manodopera straniera generalmente impiegata. Nel nostro paese, poi, esiste il divieto di cumulo additivo tra retribuzione e trattamento di cassa integrazione, a meno che l’attività alternativa temporaneamente svolta non riguardi orari diversi da quelli coperti dalla cassa. Una soluzione proposta dalle associazioni di categoria per ovviare al divieto è l’utilizzo dei voucher, che però incontrano l’opposizione dei sindacati per le scarse tutele che offrono al lavoratore.
È sufficiente l’emersione dei lavoratori agricoli irregolari?
Il governo dovrebbe presentare presto una proposta di regolarizzazione dei braccianti stranieri irregolari. Si tratta di un provvedimento molto importante anche per la tutela sanitaria collettiva, che interverrebbe su un problema – quello dello sfruttamento e del caporalato – ormai endemico alla realtà agricola italiana, soprattutto nel Mezzogiorno. Tuttavia, l’emersione di migliaia di lavoratori potrebbe non essere sufficiente per fornire tutta la manodopera necessaria, che abitualmente entra regolarmente in Italia attraverso percorsi consolidati di migrazione circolare. Tali percorsi devono essere riattivati rapidamente almeno all’interno dell’area Schengen, attraverso la predisposizione di “corridoi verdi”, secondo quanto previsto dalla Commissione. Esempi di protocolli di “quarantena attiva” sono stati realizzati in altri paesi per l’ingresso di braccianti dall’Est Europa, in modo da mantenere i presidi sanitari necessari a tutela della collettività e offrire al contempo garanzie per la salute dei lavoratori comunitari che si spostano. Per il momento, però, l’accordo cercato dall’Italia con il governo rumeno sembra essersi arenato.
Il problema va dunque affrontato pensando a un programma di interventi articolato, che riguardi sia gli stranieri occupati regolarmente sia quelli impiegati irregolarmente in agricoltura, senza l’illusione che la risposta a un fabbisogno così ampio e diffuso possa essere rappresentata da un unico provvedimento, seppur auspicabile, quale la regolarizzazione. È necessario agire sul fronte del principio di libera circolazione delle persone, che è tra i capisaldi dell’ideale europeo, nonché provvedere all’emanazione del decreto flussi per l’ingresso di stagionali extra-Ue.
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