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Un Recovery Plan davvero europeo, anche nelle regole

La Commissione europea studia le misure per fronteggiare la grave crisi dovuta all’emergenza sanitaria. Il piano di ricostruzione finanziato dal Recovery Fund potrebbe essere un’ottima occasione per uniformare le regole italiane alle norme comunitarie.

Un piano di spesa per lo European Recovery Fund

La Commissione europea, spinta da vari paesi membri, sta studiando una serie di misure per fronteggiare “con una sola voce” la grave crisi economica e dei mercati a seguito dell’emergenza Covid-19. L’ipotesi è quella di un recovery plan ambizioso, sostenuto finanziariamente dallo European Recovery Fund e governato dalla Commissione. Un piano saldamente incardinato nei Trattati e nei regolamenti, che non hanno certo bisogno di essere stravolti o superati per avviarlo.

I titoli (meglio se irredimibili) – garantiti da un apposito fondo comune istituito con i contributi degli stati membri – che l’Unione dovesse collocare non darebbero necessariamente luogo né a prestiti ai paesi né a trasferimenti a fondo perduto, come spesso si tende sinteticamente a prevedere, ma a veri e propri investimenti dell’Unione, seppure, in molti casi, avvalendosi delle strutture degli stati membri. Un po’ come nel caso delle infrastrutture (di cui ai regolamenti 1315 e 1316 del 2013) che fanno parte delle reti europee: i progetti sono approvati e finanziati dall’Unione, ma realizzati (almeno in parte) dagli stati in base alla loro legislazione interna.

La capacità di elaborare progetti competitivi

In un simile quadro è in primo luogo decisiva la scelta dei progetti da presentare alla Commissione. È evidente che se il paese proporrà iniziative di modesta consistenza strategica o di trascurabile interesse comune, la Commissione non si sentirà vincolata. E, di nuovo, vi saranno da attendere le critiche degli stati del Nord Europa.

Sotto questo profilo l’Italia deve recuperare in fretta molta capacità progettuale, di politica industriale e dei trasporti per essere credibile a Bruxelles e beneficiare appieno del piano di ricostruzione. Tanto più che rispetto ad altri paesi c’è davvero molto da recuperare. Ricerca scientifica di base e applicata, sanità, istruzione, industria, riqualificazione ambientale, consolidamento del territorio a rischio, trasporti e, probabilmente, agroalimentare costituiscono gli assi intorno ai quali costruire per promuovere la ripresa del continente, rafforzando anche competitività ed efficienza.

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Il modello Genova e oltre

Per realizzare i progetti approvati dalla Commissione, sono però indispensabili alcuni cambiamenti nella legislazione sugli appalti, partendo da quello che è stato chiamato “modello Genova”. Da una parte, per assicurare la realizzazione di progetti infrastrutturali approvati e finanziati con risorse proprie dell’Unione, occorre essere certi che il sistema delle regole funzioni. Occorre, cioè, una norma a carattere generale che escluda l’applicazione di tutte le procedure previste dal codice dei contratti (decreto legislativo 50 del 2016) e da altre norme primarie interne (ad esempio la legge 84 del 1994 in materia di porti), cui si aggiunge la normativa secondaria, per esempio dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione).

La normativa nazionale sugli appalti e sulla responsabilità dei pubblici funzionari è probabilmente nata con l’obiettivo di combattere la corruzione. Ma ha avuto effetti devastanti sui tempi di aggiudicazione degli appalti e, quindi, di realizzazione delle opere. Se il responsabile del procedimento (il cosiddetto Rup – responsabile unico del procedimento) deve rispondere con il proprio reddito e patrimonio dei danni erariali causati da una gara contestata con successo presso il Tar da un ricorrente, è logico che tenda a ripararsi sospendendo le procedure di aggiudicazione e rinviando la realizzazione delle opere alle calende greche. Una simile anomalia (perché altrove in Europa le cose vanno diversamente) causa gravi costi al paese, ma è ovviamente del tutto inaccettabile nell’ambito di un grande programma di spesa europeo. Dovrebbe invece essere mantenuto centrale il rispetto delle norme europee in materia di mercato interno e dei vincoli previsti dalle direttive 23 e 24 del 2014.

Poiché si tratta di progetti strategici, alcune misure sono necessarie per evitare l’abuso del diritto o liti anche non temerarie che, di fatto, contribuiscono a rallentare le procedure e l’esecuzione di appalti o concessioni, interagendo in maniera perversa con la responsabilità degli amministratori. Occorre prevedere che le scelte fatte dall’Unione o dagli stati per assicurare la realizzazione dell’interesse pubblico nel contesto del recovery plan non possano essere sospese da parte della magistratura amministrativa, se non in casi predeterminati. Nessuno mette in dubbio il risarcimento dei danni in caso di illecito, ma quando si tratta di progetti strategici la sospensiva deve davvero essere l’ultima ratio e la sua pronuncia deve essere circoscritta a casi prestabiliti. Queste due modifiche sono centrali per un paese come l’Italia.

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Il commissario straordinario

Un “contrappeso” alle esclusioni di cui sopra è rappresentato dalla nomina di un commissario straordinario. È evidente che solo un commissario – diretta espressione del vertice e che si avvalga degli uffici della presidenza, esattamente come è successo nel caso del Ponte Morandi – può bilanciare la mancata osservanza delle norme, per esempio, in materia di anti-corruzione o di quelle previste dalle numerose disposizioni contenute in leggi speciali. Riprendere il modello Genova significa, insomma, affidarsi a personalità di comprovata qualificazione e serietà, e che godono dell’appoggio indiscusso della politica.

Questo è il punto probabilmente più delicato. A Genova il “metodo” ha funzionato, ma va costruito con una regola di segno generale. Sono da evitare i classici commissari straordinari italiani o i coordinatori europei: figure che, in genere, hanno prodotto modesti risultati. Una ipotesi potrebbe essere designare una funzione (commissario o coordinatore) che beneficiasse del rapporto diretto con la presidenza della Commissione europea e con i premier nazionali e che si avvalesse, quindi, come è avvenuto nel caso di Genova, di un proficuo rapporto con le strutture europee e nazionali. La nomina potrebbe essere decisa di concerto fra la Commissione europea e i governi nazionali, magari previo parere delle commissioni parlamentari competenti.

Quella del recovery plan potrebbe essere una straordinaria opportunità per uniformare le regole italiane alle migliori pratiche europee e alle norme comunitarie. Anche così lo European Recovery Fund aiuterebbe il nostro paese.

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  1. Henri Schmit

    Non capisco. Un fondo comune? No! Sarà un fondo strutturale specifico, presumo, praticamente una quota del budget UE. PASSIVO: L’ERF sarà alimentato da nuovi trasferimenti di tasse (come avviene già adesso per il budget UE, 1% IVA). Non ci saranno “tasse europee dirette”. Sarà possibile emettere obbligazioni, ERF-bonds. Non capisco l’utilità del perpetual. Meglio una scadenza, una durata non troppo lunga, non rendere il budget troppo ingessato. ATTIVO: non bisogna menzionare trasferimenti a fondo perduto (come succedeva per alcuni fondi strutturali di cui l’Italia ha beneficiato nel passato) per importi così ingenti. Nel contesto, scusate, sarebbe follia! Saranno prestiti. Ora gli autori ipotizzano pure investimenti europei diretti “avvalendosi delle strutture dei paesi membri”, campo in cui l’Italia avrebbe da offrire tanto (modello Ponte Morandi, ANAC …). Eresia! L’idea mi fa ridere, o tremare: un Leviatano europeo con mani e gambe nazionali, italiane! Non esiste nell’UE. Ci saranno solo prestiti per programmi determinati, a condizioni comuni, quindi decise e verificate da istanze europee; questo implicherà a mio parere anche un controllo più stretto sulle politiche di bilancio in generale (fungibilità di risorse e spese). Quello che veramente conta, invece manca: per le ingenti risorse (nazionali e europee) servirebbe un piano normativo e settoriale per l’investimento privato (riforma fiscale, giudiziaria) e pubblico (infrastrutture, digitale, ambiente, turismo, etc).

  2. Emanuele De Candia

    Se il problema è quello della carente progettazione value for money, non risulta chiaro come la logica del modello genova sia quella più adatta a favorire la concorrenza tra progetti. Non è necessario tale modello per spostare la tutela cautelare dall’annullamento all’azione di risarcimento, ed è già in prevalenza nei fatti questo aspetto, mancherebbe solo un completamento. Di fatto non è rilevante per qualificare la progettazione e l’implementazione.
    Quanto all’avversione del RUP, la responsabilità contabile e amministrativa, allo stesso modo è ormai prevista solo caso di dolo accertato (art. 122, commi 8 e 9, del d.l. n.18/2020) per l’emergenza, tale potrebbe essere consolidato per il post senza particolari riforme. Chi presenta e chi valuta i progetti sono aspetti che rimangono elusi. Come rimane eluso l’aspetto del chi controlla, se l’obiettivo è spostare dalla logica della compliance, causa della moltiplicazione degli adempimenti formali e dei ritardi, a quella dei risultati. Il D.lgs. 50/2016, nelle disposizioni più innovative, qualificazione delle stazioni appaltanti e qualificazione delle imprese è rimasto inattuato. Questi nodi si prestavano ad essere applicati con strumenti di market design per favorire imprese e progetti migliori. Il modello Genova è molto diverso dal trasporre le direttive europee con il minino di gold plating. E’ in realtà più un confidare sul dirigismo illuminato senza alcuna evidenza che dia risposta ai problemi della domanda pubblica.

  3. Luciana Grippo

    Ottimo articolo, contiene anche proposte costruttive

  4. Paolo Sbattella

    Condivido pienamente le proposte degli autori ed il “modello Genova” e’ sicuramente da replicare. Abbiamo bisogno di professionalita’ indiscutibili e dai risultati certi e riscontrabili facilmente anche e soprattutto nel campo delle opere pubbliche. Aggiungo anche che il Ministero dello Sviluppo Economico ed il Ministero delle Infrastrutture lavorino concretamente ed in sinergia per contribuire a sbloccare nel tempo più breve possibile i cantieri e le opere gia’ cantierate. I fondi vanno utilizzati prontamente, perche’ questo e’ cio’ che richiede un’ economia moderna e soprattutto una nazione come l’Italia che deve competere nel complesso scenario internazionale. Il gap infrastrutturale italiano che dura da molti anni va recuperato con piani, azioni concrete e realizzazioni complete di opere in tempi certi. Sono state fatte negli anni fin troppe analisi
    a cui non sono seguiti fatti concreti ed e’ ora di cambiare direzione. Si stabiliscano le regole, si diano le direzioni e si verifichino i risultati. E’ una logica semplice,
    occorre una volonta’ ed un’autorevolezza governativa che la persegua. Basta trovarla.

    • Emanuele De Candia

      Come non essere d’accordo con ciò che enuncia. Mi chiedo soltanto come faccia ad attribuire questo effetto al Modello Genova da trasporre da una singola opera a modello per il procurement pubblico. Fa correttamente riferimento al concetto di verifica dei “risultati”, anomalo per i criteri che informano l’azione amministrativa. La prima criticità è in base a quali certezze il Modello Genova debba essere la soluzione quando tale modello non è altro che la riproposta della “legge-obiettivo”, nato nel 2001 per le infrastrutture strategiche e definitivamente abbandonato nel 2015 per dimostrata inefficienza, maladministration. La seconda è più semplice, fa riferimento alla verifica dei “risultati” e mi chiedo come lei abbia potuto valutare il risultato positivo che adduce attraverso le analisi delle alternative dei progetti proposti, considerando che è stato affidato in modo diretto e senza alcuna gara. Come possa quindi valutare il criterio della migliore sostenibilità finanziaria e convenienza economico-sociale, la compatibilità ambientale e non ultima la robustezza dell’analisi del rischio e di sensitività, tutti compresi nel progetto di fattibilità tecnica ed economica (ex studio di fattibilità), sulla base dei quali gli operatori economici competono con propri progetti e soluzioni. Come fa cioè a sapere che l’opera risultato che indica non sia costata il doppio (a parità di qualità) rispetto un diverso modello/procedura?

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