L’annuncio di Trump di un taglio dei contributi Usa all’Oms, pur motivato da alcuni comportamenti dell’Organizzazione, avrebbe gravi conseguenze in una situazione come quella di oggi. Soprattutto per il peso degli Stati Uniti nel bilancio dell’agenzia.
Quel passo falso dell’Oms
L’epidemia di Covid-19 ha spostato l’attenzione globale verso la più importante organizzazione sanitaria del mondo, l’Organizzazione mondiale della sanità (in inglese, World Health Organization).
L’Oms è una delle numerose agenzie delle Nazioni Unite ed è stata fondata nel 1948, tre anni dopo l’istituzione dell’Onu stessa. L’obiettivo principale è “assicurare l’ottenimento del maggior livello di salute per tutti”, come dichiarato nell’atto costitutivo. L’Oms si occupa soprattutto di fornire linee guida in materia sanitaria ai paesi, ad esempio attraverso l’approvazione di protocolli internazionali.
Le indicazioni diffuse dall’organizzazione per la prevenzione e la lotta al Covid-19 sono state fondamentali per riconoscere e combattere la malattia negli ultimi mesi, Ma nella gestione complessiva della pandemia, la sua azione non è stata esente da critiche. Donald Trump, in particolare, ha visto nell’operato dell’Oms un atteggiamento filocinese. Non stupisce che il presidente americano cerchi un nemico esterno cui addossare la colpa della pandemia. Resta però il fatto che nelle prime fasi, l’Organizzazione ha lodato acriticamente la risposta cinese, arrivando a negare il contagio uomo-uomo il 14 gennaio, mentre sul fronte diplomatico ha rifiutato seccamente di rispondere a domande che riguardano Taiwan (uno stato che non è formalmente riconosciuto dalle Nazioni Unite a causa del veto della Cina e dunque non fa parte dell’Oms).
Il bilancio dell’organizzazione
La risposta di Trump, però, appare sproporzionata. Il presidente Usa ha annunciato il blocco dei fondi statunitensi all’Oms, rischiando di indebolire la capacità globale di far fronte a un virus che ha già sconvolto la vita di miliardi di persone. La decisione definitiva dovrebbe arrivare entro 90 giorni, ma una conferma dello stop significherebbe un duro colpo per l’Oms, che si finanzia soprattutto tramite i contributi obbligatori versati dai suoi membri.
Per il biennio 2020-2021 è previsto un budget di 5,84 miliardi di dollari (lo 0,1 per cento della spesa sanitaria totale americana e il 2,5 per cento di quella italiana), dedicato principalmente alla fornitura a un miliardo di persone della copertura sanitaria universale, della protezione da emergenze sanitarie e di una migliore qualità del sistema sanitario e del benessere generale, all’efficientamento delle strutture organizzative dell’Oms per fornire maggiore supporto agli stati, alla lotta contro la polio e alla capacità di risposta ad appelli ed emergenze. Le principali voci del budget sono rappresentate nella figura 1.
Il budget dell’Oms è diviso in due parti: una fissa, cui gli stati membri sono obbligati a partecipare e che rappresenta il 20 per cento del totale; e una parte variabile, che copre il restante 80 per cento e alla quale possono contribuire volontariamente gli stati membri, ma anche organizzazioni internazionali, fondazioni private, ong e altre istituzioni. Gli Stati Uniti sono i primi contributori sia per la parte fissa (22 percento del totale) sia per quella variabile. Per quanto riguarda la parte fissa, agli Stati Uniti seguono Cina (12 per cento), Germania (6,1 per cento) e Regno Unito (4,6 per cento). L’Italia contribuisce per l’1,6 per cento del budget totale. I paesi del G8 ne coprono più del 60 per cento. La figura 2 riporta le percentuali di partecipazione degli stati, mentre la tre mostra i maggiori contributori, sia in termini fissi che variabili.
La curiosità per la parte volontaria del bilancio è che al secondo posto tra i contributori, dopo gli Stati Uniti, troviamo la Fondazione Bill & Melinda Gates, con 229 milioni di dollari versati nel 2018. Anche in questo caso, comunque, il contributo degli stati membri è prevalente (52 per cento).
Un ente da riformare
È evidente che fornire linee guida di fronte a una minaccia del tutto nuova non è semplice; basta vedere come sono differenziate le posizioni anche tra gli stessi scienziati. Ma la scarsa trasparenza riguardo ai criteri con cui le informazioni sono state comunicate e l’incapacità di definire linee guida coerenti nelle fasi preliminari dell’epidemia (si vedano ad esempio le altalenanti posizioni sull’utilità o meno delle mascherine) sono critiche sulle quali convergono molti stati. L’annuncio di Trump è stato duramente condannato da più parti e l’utilità e la necessità dell’esistenza di un organo sanitario internazionale sono fuori discussione. Ma molti stati chiedono una riforma dell’Oms. Il 17 aprile, su proposta della Casa Bianca, il G7 ha annunciato la volontà di riformare l’organizzazione, accusata di “mancanza di trasparenza e malagestione sistematica dell’epidemia”. E il ministro francese Jean-Yves Le Drian ha proposto di affiancare all’Organizzazione una commissione internazionale di esperti nominati dai governi su modello dell’Ipcc, una soluzione che risulterebbe quasi un “commissariamento”, ma che sarebbe sicuramente meno scellerata del definanziamento dell’Oms.
È difficile pensare che, tra 90 giorni, la provocazione di Trump si esaurisca in un niente di fatto, ma probabilmente gli Stati Uniti si limiteranno a non pagare una piccolissima parte della somma dovuta all’Oms, in modo che l’amministrazione possa reclamare una vittoria. Dal momento che la scienza sembra prevedere future ondate pandemiche, resta comunque necessario riflettere profondamente sull’Organizzazione e sul ruolo importante che potrà acquisire in futuro. Da grandi poteri (di budget) derivano grandi responsabilità.
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