Lavoce.info

Dov’è il bene pubblico al tempo del contagio

La prevenzione della diffusione del coronavirus è un bene pubblico globale. È dunque necessario un protocollo uniforme mondiale, che obblighi le nazioni ad adottare misure adeguate. E per finanziare i provvedimenti va creato un fondo internazionale.

Prevenzione come bene pubblico globale

L’Undp (United Nation Development Program) definisce un bene pubblico globale come “un bene pubblico con benefici che sono fortemente universali in termini di paesi (coprono più di un gruppo di paesi), persone (appartenenti a più gruppi di popolazione, preferibilmente tutti) e generazioni (si estendono sia alle generazioni attuali sia alle future, o almeno soddisfano i bisogni delle generazioni attuali senza precludere le opzioni di sviluppo per quelle future)” (Kaul et al., 1999).

L’attività di prevenzione per evitare la propagazione del coronavirus può essere considerata un bene pubblico globale?

Impedire a una persona di contrarre il coronavirus è chiaramente un beneficio per l’individuo in questione, ma ha anche un significativo effetto positivo sugli altri, diminuendo il rischio di infezione. Allo stesso modo, la riduzione della malattia trasmissibile all’interno di un paese diminuisce la probabilità di trasmissione verso paesi limitrofi o comunque collegati. Nello specifico, dell’attuazione di misure di isolamento adeguate, come quelle prese da alcuni paesi, beneficiano anche gli stati che non le hanno prese. L’adozione di misure adatte a ridurre la probabilità di diffusione della malattia è quindi identificabile come un bene pubblico globale, poiché beneficia l’intera comunità mondiale nei diversi gruppi di persone e generazioni.

Se lasciata all’iniziativa delle singole nazioni o, peggio ancora, delle singole autorità locali, però, la fornitura di questo particolare bene pubblico può non essere adeguata alle effettive esigenze della collettività. Mettere in atto le misure di prevenzione necessarie è infatti molto costoso per il tessuto economico e produttivo. È dunque necessario un protocollo uniforme a livello mondiale che obblighi le nazioni all’adozione di misure preventive alla diffusione del coronavirus.

Infatti, da parte di alcune nazioni o regioni ci potrebbe essere l’incentivo a mettere in atto misure non adeguate, oppure a non effettuare un sufficiente numero dei cosiddetti tamponi che verificano la presenza del virus, per non dovere dichiarare l’esistenza di focolai e quindi attuare i necessari provvedimenti di quarantena, che implicherebbero perdite economiche considerevoli. Un comportamento simile genera effetti negativi (aumento della probabilità di infezione rispetto al caso in cui fossero prese necessarie misure di isolamento) sulle nazioni o regioni limitrofe.

Leggi anche:  Sanità oltre la Nadef

Un fondo di assicurazione contro i danni da contagio

Se l’attività di prevenzione per la diffusione del virus è un bene pubblico globale, non può essere finanziata con il gettito dei paesi o regioni dove viene effettuata. Poiché ne beneficia l’intero pianeta, è necessario creare un fondo internazionale a cui tutte le nazioni partecipino per finanziare le perdite delle zone più colpite dal virus. Infatti, senza l’attività di prevenzione o isolamento di quelle zone, il virus si propagherebbe anche verso i paesi che apparentemente non sono stati contagiati. Insomma, non è possibile decidere in termini nazionali o peggio ancora regionali, come si è finora fatto: poiché ci troviamo di fronte a un problema mondiale deve essere messa a punto una strategia di intervento (con relativi schemi di finanziamento) internazionale.

Non è affatto ovvio come il fondo debba funzionare, vi sono problemi di equità (quanto ognuno dovrebbe contribuire e quanto potrebbe ottenere) e di incentivo al contributo (perché le nazioni dovrebbero decidere di parteciparvi).

Si potrebbe pensare di contribuire al fondo in una percentuale fissa del proprio prodotto interno lordo e di attingervi in misura proporzionale alla perdita di prodotto interno lordo causata dal coronavirus. Una tale misura porterebbe gli stati più ricchi a contribuire di più, ma in caso di shock economico dovuto al virus perderebbero di più dei poveri e quindi attingerebbero dal fondo di più di questi ultimi.

L’incentivo ad aderire al fondo da parte di tutti i paesi esisterebbe in una situazione ideale precedente alla propagazione del virus, ma in cui si paventasse la possibilità di contagio: gli stati vi parteciperebbero per assicurarsi contro la possibilità che l’evento diffusione del virus accada sul proprio territorio. Tuttavia, oggi, alcune nazioni sono state già colpite, quindi esiste la possibilità che quelle non toccate dal virus non vogliano partecipare a un fondo che finanzi gli stati dove il virus si è già diffuso. Per questa situazione va trovata una soluzione, ma è ovvio che quanto prima si istituisce il fondo, tanto minore è il problema dell’incentivo ad aderirvi.

Leggi anche:  Ma la "tessera a punti" può far bene alla salute

Il contributo al fondo potrebbe essere pensato proprio come una assicurazione contro i danni economici da contagio, dovuti all’attuazione di misure di prevenzione adeguate, che dovrebbero essere uniformi per tutti i paesi del mondo e dettate e controllate dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  La riforma tradita: la nuova prestazione universale

Precedente

Com’è bella la città, ma lavorarci non conviene*

Successivo

Risposta globale a epidemia globale

  1. Savino

    L’OMS ha funzione di vigilanza sanitaria, suonando l’allarme per epidemia ai governi pressocchè di tutto il mondo. Sono i Servizi Sanitari Nazionali a dover attrezzarsi. Le leggi non sono uguali in tutto il mondo, le nazioni e i cittadini hanno diverse sensibilità anche in tema di salute in una scala di priorità. Quello che non si dovrebbe mai fare è delegare la materia alle autorità locali, bisogna, cioè, dare uniformità di decisioni su tutto il territorio nazionale, come avviene anche negli Stati più federali (come la Germania) e confederali (come gli USA, il Brasile e la Svizzera). L’Italia, di per sè, non può ritenersi nemmeno uno Stato federale in senso stretto, ha solo, poco più di 20 anni fa, dato luogo ad un riparto di competenze, che ha posto il potere politico di gestione della sanità (ospedali, personale e buona parte dei portocolli funzionali) in capo alle Regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, sicchè abbiamo 21 sistemi sanitari, a fronte di un Ministero non più della sanità, ma della salute, col ruolo di fare isolatamente campagne di prevenzione senza poteri decisionali.

  2. Sergio BULIAN

    Concordo, bell’articolo, sfortunatamente la solidarietà non è di moda in questo periodo storico.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén