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È un thriller bancario l’offerta di Intesa Sanpaolo su Ubi

Intesa Sanpaolo ha annunciato un’offerta pubblica di scambio su Ubi banca. Così asseconda la Bce, rafforza il proprio dominio nel mercato domestico ed esce dal gruppo dei possibili acquirenti di Mps. Ubi invece paga il passaggio da popolare a spa.

L’operazione

Il 17 febbraio Intesa Sanpaolo ha annunciato un’offerta pubblica di scambio su Ubi banca: gli azionisti di quest’ultima avranno la possibilità di concambiare le proprie azioni con titoli Intesa, a condizioni che incorporano un premio di circa il 25 per cento sul prezzo di borsa ante-annuncio. Come nei migliori thriller, l’operazione è stata annunciata a mezzanotte (per la cronaca, la luna era quasi piena).

Si tratta di un’offerta ostile, cioè non concordata con il consiglio di amministrazione di Ubi: non vanno dunque esclusi ulteriori sviluppi inattesi. Ubi, del resto, rischia di finire smembrata, visto che – anche per rispettare la normativa antitrust – Intesa Sanpaolo prevede di cedere alcune centinaia di sportelli a Bper Banca, il cui principale azionista è Unipol (che inoltre acquisterebbe alcune partecipazioni assicurative di Ubi).

Le implicazioni “di sistema”

L’operazione si presta ad alcune considerazioni. La prima, e più scontata, è che si tratta di un’unione “tra sani” in un settore bancario dove non mancano soggetti gracili in cerca di un partner più forte. In un colpo solo, toglierebbe dal tavolo delle trattative tre istituti (Intesa, Ubi e Bper) fino a ieri ritenuti suscettibili di poter concorrere alla sistemazione di alcuni dossier molto cari alle autorità (primo fra tutti, il Monte dei Paschi, che lo stato dovrebbe restituire a soci privati in virtù degli impegni assunti a suo tempo con la Commissione europea). Non è chiaro dunque se l’offerta di Intesa sarebbe davvero il detonatore di ulteriori aggregazioni (come sembra pensare il mercato, che ha corretto al rialzo il prezzo di diverse banche di medie dimensioni) o piuttosto uno scatto che lascia gli altri contendenti, frastornati, al palo.

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Si tratta, probabilmente, di una mossa non sgradita alla Banca centrale europea. Anche se gli aspetti economici dell’aggregazione verranno analizzati a Francoforte senza preconcetti, non è un mistero che la vigilanza europea consideri con favore la possibilità di ulteriori fusioni bancarie. Vengono infatti viste come uno strumento per ridurre i costi e sostenere la debole redditività del sistema (e forse anche per semplificare il lavoro alla stessa Bce, cui non dispiacerebbe sorvegliare qualche banca in meno).

La struttura dell’operazione

La struttura dell’operazione è stata definita “meravigliosa” dal presidente della Compagnia di San Paolo (uno dei grandi azionisti di Intesa) e dal punto di vista tecnico la definizione non fa una grinza. Intesa rafforza il proprio dominio del mercato domestico, imbarca ottime professionalità, si schiera con altri soggetti, come Unipol, non proprio privi di peso nel quadro politico nazionale. Non sgancia un euro (anche se ovviamente i profitti futuri andranno divisi con gli attuali azionisti di Ubi) e anzi riesce a incassare un importo cospicuo da Bper per gli sportelli che saranno ceduti.

C’è da riscrivere i manuali di finanza, dove finora trovavano posto solo le offerte pubbliche “per cassa” (dove il compratore mette mano al portafogli e liquida per contanti gli azionisti dell’acquisita) e quelle “carta contro carta” (dove l’acquirente paga con proprie azioni di nuova emissione). Siamo davanti a un terzo genere, “carta contro cassa”: prendi una banca e ti pagano pure.

Ubi banca: da aggregante a contendibile

Resta da dire di Ubi banca, che fino a pochi giorni fa sembrava destinata a fare da polo aggregante nel sistema (e potrebbe tornare a esserlo se prendesse forma un progetto alternativo all’offerta di Intesa). Si tratta di una ex banca popolare (cioè cooperativa) convertita in società per azioni ai sensi di un decreto emesso nel 2015 dal governo Renzi. Mentre altri istituti simili preferirono attendere l’esito dei giudizi promossi per verificare la legittimità del decreto e dei regolamenti collegati, Ubi si trasformò con grande celerità in una società per azioni, considerata più moderna e in linea con le preferenze del mercato.

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L’offerta di Intesa ci ricorda che le società per azioni – diversamente dalle popolari – sono contendibili: se davvero gli imprenditori di Bergamo e Brescia perderanno il proprio istituto di riferimento (in un contesto dove altri attori sono rimasti cooperativi, a cominciare dai principali soci di Unipol), le ragioni andranno ricercate anche in quella modifica della forma societaria.

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Imprese troppo piccole per competere*

  1. guido segre

    Si tratta di un’operazione scarsamente interessante per gli azionisti di banca Intesa.
    Un’acquisizione nel vasto mondo del fintech avrebbe potuto proiettare la banca in segmenti di business in forte crescita.

  2. Giuseppe GB Cattaneo

    Posto che Unicredit è sempre meno una banca italiana, la manovra di Intesa san Paolo mi sembra rivolta a prevenire lo sviluppo della concorrenza nella stessa area di influenza. Poiché la bontà di questa operazione varia al variare del punto di vista dal quale la si guarda, significa che ci saranno in ogni caso dei vincitori e dei vinti.

  3. cicci capucci

    Certo che definire ostile un’operazione di mercato, richede una impostazione mentale che vede nel mercato il diavolo mentre le popolari, s’intende, sono banche genuine, legate al territorio (il territorio dei palazzinari s’intende, quelli che fanno gli imprenditori coi soldi dei clienti della banca) che, quando scoppiano di debiti come MPS o Bari, allora deve ripianare lo Stato e i contribuenti accollarsi debiti e passività. Per fortuna nel Paese c’è ancora una parte della classe dirigente che crede nella cometizione internazionale e nel mercato.

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