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Il capitale sociale che manca all’ex-Ilva

Per un piano industriale complesso e impegnativo quale quello necessario per rilanciare l’acciaieria di Taranto, il problema maggiore è il difetto della fiducia reciproca che nasce da un senso civico diffuso. Senza il quale qualsiasi paese è condannato a languire nell’arretratezza.

Mezzo secolo di disinteresse per il futuro

All’inizio degli anni Sessanta lo stato insedia un’acciaieria nel territorio comunale di Taranto, senza una zona di rispetto per la protezione dell’abitato. Negli anni successivi comune e regione – abdicando ai propri poteri di governo urbanistico – consentono uno sviluppo insensato degli insediamenti residenziali intorno allo stabilimento, ignorandone del tutto le emissioni inquinanti. Nel 1995 l’acciaieria viene ceduta a una famiglia di industriali, i quali per un verso fanno propria l’incuria per l’impatto ambientale della produzione che ha caratterizzato la gestione precedente, per altro verso considerano come normale costo di produzione la distribuzione di prebende e sovvenzioni a istituzioni pubbliche e a privati, ivi compresi i partiti e la diocesi, atte ad anestetizzare tutti quanti di fronte ai danni causati dallo stabilimento. E per quindici anni i destinatari di quelle regalie si lasciano volentieri anestetizzare.

Le radici profonde del dramma attuale del centro siderurgico pugliese vanno cercate nell’accordo tacito che per quasi mezzo secolo ha unito tutti nel disinteresse per il futuro.

Nel 2012 la magistratura manda in prigione, per disastro ambientale e altri reati connessi, i titolari dello stabilimento, che l’anno dopo viene commissariato. Da allora viene avviato un nuovo piano di riduzione drastica delle emissioni inquinanti, che incomincia pian piano ma tangibilmente a produrre risultati apprezzabili.

Nel 2016-2017 una gara controllata dall’Unione europea porta a individuare nell’offerta del grande gruppo franco-indiano ArcelorMittal la soluzione più vantaggiosa per il rilancio dell’acciaieria; nel contratto di affitto dello stabilimento si prevede anche, come condizione essenziale, il permanere dell’esenzione da responsabilità penale per reati ambientali – il cosiddetto “scudo penale” – già in vigore, fermo restando l’obbligo civile di proseguire il piano di bonifica e abbattimento delle emissioni nocive. La norma contenente lo “scudo”, emanata in precedenza per dare copertura alla gestione commissariale dello stabilimento, si giustifica anche in considerazione dell’incertezza dei confini dell’illecito penale in una situazione nella quale gli effetti dell’inquinamento ambientale sono in gran parte dovuti al comportamento delle gestioni precedenti.

La linea dello smantellamento dell’impianto

In seguito all’intervento giudiziale del 2012, intorno allo stabilimento vengono formandosi due correnti di opinione: una favorevole a proseguire nell’opera di bonifica e di modernizzazione della struttura produttiva, sulla scorta dei molti esempi di acciaierie con impatto ambientale accettabile, e una rinunciataria, tendente alla chiusura dello stabilimento, considerato irrimediabilmente incompatibile con la tutela ambientale. La seconda è la corrente che ultimamente sembra avere la meglio: l’idea della chiusura dello stabilimento finisce col diventare la parola d’ordine sulla quale nel marzo 2018 il Movimento 5 stelle stravince le elezioni in Puglia, e a Taranto in particolare. Nel corso della nuova legislatura saranno poi ministri e deputati di questo partito a operare più o meno apertamente per provocare la chiusura dello stabilimento, facendo leva anche su alcuni provvedimenti giudiziari ulteriori, nonché su alcuni comportamenti poco trasparenti del nuovo imprenditore.

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Incomincia a diffondersi la notizia secondo cui quest’ultimo sarebbe solito acquistare gli stabilimenti di imprese concorrenti in giro per il mondo per poi chiuderli; ma il costo per la multinazionale, se il progetto fosse davvero questo, sarebbe troppo alto perché la notizia sia credibile. La realtà è che negli ultimi mesi una forte flessione della domanda di acciaio riduce l’interesse di ArcelorMittal a far funzionare a pieno volume lo stabilimento di Taranto. Sul calo di interesse si innesta la gaffe – se tale può considerarsi – del governo, che abolisce lo “scudo”, ripristinando con effetto dai primi di novembre la sanzione penale, così legittimando il recesso della multinazionale dal contratto di affitto. Poi il governo se ne pente e prova a proporle il ripristino; ma ormai la frittata è fatta. Al pari dell’onorabilità delle persone, anche l’affidabilità di un ordinamento legislativo richiede molto tempo per essere costruita, ma basta un giorno per distruggerla.

Il deterioramento del capitale sociale indispensabile per il rilancio

Ora chiediamoci: perché a Taranto, e forse anche a Roma, sulla prospettiva della bonifica e rilancio dell’acciaieria sembra oggi prevalere l’idea della chiusura, che è in ultima analisi una applicazione concreta dell’utopia della “decrescita felice”? La risposta che coglie la parte maggiore della realtà è probabilmente questa: dopo decenni di incuria e collusione delle quali tutti sono stati in qualche misura partecipi, nessuno si fida più di nessuno.

Il drammatico difetto di fiducia reciproca tra le parti interessate, che è l’altra faccia di un difetto endemico di civicness diffusa, è rovinoso per qualsiasi progetto ambizioso mirato a conciliare il grande insediamento produttivo con la tutela ambientale e la salute dei cittadini. Perché ci si possa collocare in questa prospettiva è indispensabile un clima fondato sul riconoscimento reciproco di affidabilità tra la cittadinanza, l’imprenditore, i sindacati dei lavoratori, il governo locale e quello centrale, la magistratura, i servizi ispettivi: affidamento sulla prospettiva che ciascuno farà con scrupolo e lealmente la sua parte puntando allo stesso obiettivo. Ma come si fa ad avere fiducia nell’onestà e scrupolo dell’imprenditore, quando questo ruolo è stato svolto per oltre quindici anni dal vecchio proprietario privato nel modo di cui si è detto? Viceversa, come fa il nuovo imprenditore ad avere fiducia nello stato, se nel governo e in parlamento il partito di maggioranza relativa auspica, più o meno apertamente, la chiusura dello stabilimento e si comporta di conseguenza?

Per un piano industriale complesso e impegnativo quale quello necessario per rilanciare l’acciaieria di Taranto, il problema maggiore non è reperire il know-how e le ingenti risorse economiche indispensabili: il problema maggiore è il difetto del “capitale sociale”, cioè di quel senso civico diffuso, senza il quale qualsiasi paese è condannato a languire nell’arretratezza.

Ricostruire la fiducia reciproca indispensabile per una ambiziosa scommessa comune

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Nella vicenda dello stabilimento pugliese i soli soggetti che oggi forse potrebbero, mediante una forte e limpida intesa tra loro, proporsi di rompere il circolo vizioso della sfiducia reciproca di tutti verso tutti sono il sindacato e il governo centrale. Sarebbe però indispensabile che quest’ultimo fosse capace mettere a tacere in modo netto i sostenitori della chiusura dello stabilimento in funzione della decrescita felice. Occorrerebbe, dunque, un governo in grado di assicurare la stabilità del quadro normativo, ivi compreso il vincolo di un preciso crono-programma di risanamento ambientalistico dello stabilimento e il ragionevolissimo “scudo penale” collegato a quel programma; in grado altresì di attivare le garanzie sociali necessarie per i lavoratori che dovessero perdere il posto in conseguenza di riduzioni strutturali di organico. Occorrerebbe, poi, un sindacato capace di rappresentare i lavoratori dello stabilimento, ma in qualche misura anche la cittadinanza tarantina, nella negoziazione di una scommessa comune con il nuovo imprenditore su di un piano industriale credibile e ambizioso, centrato sul vincolo del risanamento ambientalistico secondo i migliori modelli disponibili nel panorama mondiale della produzione di acciaio, e su forme penetranti di controllo dei lavoratori stessi sul suo rispetto; ma caratterizzato anche dalla disponibilità dei lavoratori a farsi carico della flessibilità produttiva che le oscillazioni del mercato dell’acciaio impongono; e dalla predeterminazione di premi congrui che matureranno a credito dei lavoratori stessi via via che gli obiettivi del piano verranno realizzati.

Il punto è che, per svolgere efficacemente questo ruolo di ricostruttore di un clima di fiducia reciproca tra l’imprenditore, le istituzioni e tutti gli stakeholder, il sindacato deve per primo saper costruire con l’imprenditore un rapporto di fiducia reciproca. Il che implica, certo, l’attivazione di adeguati strumenti di controllo sulla gestione e l’andamento aziendale, ma implica anche, in qualche misura, la capacità di attivare nel proprio cervello i neuroni-specchio che gli consentano di… gioire e soffrire per gli stessi eventi per i quali gioisce e soffre l’imprenditore. E quest’ultimo deve a sua volta saper fare lo stesso nei confronti dei lavoratori dipendenti. Senza un po’ più di neuroni-specchio, da una parte e dall’altra, non è pensabile alcuna scommessa comune tra lavoratori e imprenditore. Tanto meno fra quest’ultimo e la città circostante. Qualcuno dirà che questa è un’affermazione “buonista”; lo sarà anche, ma è la sola via per risolvere il problema.

Utopia? Certo. Ma non c’è progresso senza qualche utopia condivisa, intorno alla quale attivare un gioco cooperativo a somma positiva. Per altro verso, l’alternativa è solo una decrescita pochissimo felice.

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Mura del passato circondano la scuola del futuro

  1. Savino

    Si pretende un reddito, garantito dallo Stato, senza sporcarsi le mani e respirando salsedine o aria raffinata di montagna. Questo è impossibile.

  2. Biagio

    Gentile Professore,
    Condivido quanto da Lei esposto ma mi permetto di aggiungere che non è solo la mancanza di un corretto rapporto tra le parti basato sulla reciproca fiducia a causare la situazione che vediamo.
    Secondo me è anche una testarda ed ostentata ignoranza (nel senso di ignorare) propria di chi certe scelte le vuole intraprendere come se giocasse ad un videogame.
    Le cnsiglio se ha tempo e piacere di leggere “The Death of Expertise” di Tom Nichols per capire cosa intendo.
    Riporto una frase che rende bene il concetto:
    <>
    Forse questa piaga, l’ignoranza, unita alla mancanza di percezione del lavoro come Valore, che puntellano tutte le Non scelte che vediamo in giro (… per non parlare di Alitalia).
    Con stima

  3. aless

    Ha fatto bene il governo a cancellare il cosiddetto “scudo penale”: qualsiasi legge ordinaria non può infrangere il dettato Costituzionale. Quindi se non ci avesse pensato il governo, lo avrebbe fatto la Consulta appena se ne sarebbe presentata l’occasione. L’unico “scudo” possibile è costituito dall’art. del Codice penale: “L’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”. Non c’è altro da aggiungere. Arcelor Mittal ha rovesciato il tavolo per altre ragioni (che si possono individuare anche nello stesso articolo di Ichino) ma certo non per lo “scudo penale” che è un tavanata galattica.

  4. Ichino ha perfettamente ragione ed ha avuto il coraggio di scrivere che i problemi “vengono da lontano”. Al petrolchimico di Ferrara negli anni ’70 per passare a produzioni meno inquinanti e nocive il sindacato lottò non solo contro i “padroni” ma anche contro i dipendenti e nella ristrutturazione del 1984 l’unico parametro non fu avere meno esuberi (come a Marghera e come volevano i dipendenti) ma capire come sviluppare la “fabbrica del futuro”…assumendo 300 giovani. Occorre vision e intenti comuni, non è utopia.

  5. Aldo Mariconda - Venezia

    Il quadro è perfetto. Più brutalmente forse si può dire che, se si vuol salvare l’acciao a TA, governo e sindacati debbono anche accettare una ristrutturazione, data la crisi del settore. Meglio questa che la messa in strada di 15/20.000 persone incluso l’indotto.

  6. Henri Schmit

    Stigmatizzando lo scarso capitale sociale il professore forse intende il capitale umano. Si dovrebbe provare a definire. Anche Carlo Cottarelli nei suoi 7 peccati capitali ha aggiunto ex post ad ogni capitolo un paragrafo sul capitale umano che scarseggerebbe. Concordo. Ma bisogna definire, precisare, rendere concreto. Un responsabile politico come l’autore (al quale va riconosciuto il grande merito di aver lottato con successo per la riforma del contratto di lavoro) ora NON può dire che è colpa di TUTTI. Eh no! È colpa dei governanti soprattutto e dei protagonisti aziendali in subordine. Loro sono uniti da un filo rosso che corre – con poche eccezioni – da prima di tangentopoli fino al populismo di adesso. NESSUNO degli attori politici sembra in grado di riguardare la realtà in faccia sui grandi temi e problemi e promuovere soluzioni vere e coraggiose. Anche da coloro che di recente sono stati più capaci da questo punto di vista ha prevalso alla fine l’eterno vizio italico del doppio gioco e del discorso ingannevole. La prima regola per contribuire a rinforzare il nuovo mantra del capitale umano è di cercare e dire la verità. Senza guardare la verità in faccia ci saranno solo soluzioni zoppe (se no addirittura truffaldine). La sfida PUBBLICA dell’ex ILVA è più ampia di quanto riassunto qua, il problema inizia prima delle accuse ai Riva e una soluzione richiede sforzi più importanti, straordinari.

  7. Pier Francesco Veronica

    A me sembra ragionevole pensare che Acelor Mittal non debba rispondere penalmente per reati commessi da altri D’altra parte se ha vinto una gara non può dire : mi sono sbagliato,me ne vado. Restano oggettivamente tre problemi :l’esubero del personale (?),la riduzione del fabbisogno mondiale di acciaio e la situazione di grave inquinamento ambientale. Secondo me dopo Acelor Mittal non se la prende più nessuno (vedi caso Alitalia).

  8. Maurizio Portaluri

    Ciò che mi risulta sorprendente è che in 70 anni la presenza del Siderurgico non abbia prodotto in termini di imprenditoria nulla’altro che una raffineria e un indotto dedicato e totalmente dipendente. Se i governi del dopoguerra ritennero di rispondere così alla crisi della cantieristica, quelli successivi non hanno diversificato l’industria nei poli industriali meridionali che stanno tutti chiudendo lasciando il deserto che avevano trovato. Quanto all’acciaio, quello cinese costa molto meno.

  9. Enrico D'Elia

    Nella sua lunga storia di successo l’economia di mercato ha sviluppato parecchi strumenti per rinforzare la “fiducia reciproca” e l’empatia tra le parti. Parliamo di garanzie, cogestione, stock option, ecc. Non mi pare che tutto questo abbia molto a che fare con il buonismo dell’autore e con il capitale umano. Invito il prof. Ichino a proporre simili soluzioni per la riforma del ESM per vedere che effetto che fa.

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