Lavoce.info

Come indicizzare le pensioni

Il governo eleva il limite sotto al quale le pensioni sono pienamente indicizzate ai prezzi. Il sindacato chiede di ripristinare l’indicizzazione ai prezzi “per fasce”. Entrambi sbagliano perché il sistema contributivo vuole un meccanismo del tutto diverso.

Il grande incompiuto

Le istituzioni italiane sono vestiti d’Arlecchino cuciti da un legislatore incontenibile e disordinato. Mentre urgono testi unici, i partiti delle fragili coalizioni al governo aggiungono altre toppe, da esibire ai rispettivi elettorati. La previdenza non fa eccezione. Anzi, il sistema contributivo, cui nel 1995 furono affidate l’equità e la sostenibilità delle future pensioni, resta tuttora incompiuto.  Nei 24 anni trascorsi, si contano quasi 30 provvedimenti che tutto hanno fatto, e disfatto, tranne che completare la riforma contributiva.

L’indicizzazione “contributiva”

L’ultimo provvedimento, incluso dal governo nella legge di bilancio per il 2020, interviene nuovamente sul meccanismo di indicizzazione elevando il limite (da tre a quattro volte il trattamento minimo) che dà diritto al recupero pieno dell’inflazione. Il sindacato lo giudica insufficiente e indice la manifestazione unitaria del 16 novembre anche per reclamare il ripristino dell’indicizzazione ai prezzi “per fasce”. In realtà, i duellanti sbagliano entrambi perché il sistema contributivo vuole un meccanismo completamente diverso, che ho già spiegato su lavoce.info. L’attualità e l’importanza dell’argomento mi induce a riprovarci.

Occorrono due premesse. In primo luogo, pur essendo una modalità della ripartizione, il sistema contributivo mima una “banca” che, a ciascun lavoratore, intesta un conto corrente virtuale dove prima depositare i contributi e poi prelevare le rate di pensione. Il conto è fruttifero e i prelievi devono (mediamente) bilanciare i contributi al lordo dei frutti, così da garantire che il saldo finale sia nullo. È il “principio di corrispettività” sintetizzato dallo slogan “una corona per ogni corona” con cui la riforma contributiva svedese del 1998 conquistò il consenso sociale.

La seconda premessa è il “teorema di sostenibilità” secondo cui i conti correnti devono fruttare un interesse uguale al tasso di crescita dei redditi da lavoro affinché, annualmente, la somma dei prelievi, eseguiti dall’insieme dei pensionati, possa tendenzialmente uguagliare la somma dei depositi eseguiti dall’insieme degli attivi. Fuor di metafora, il teorema dimostra che l’“interesse sostenibile” garantisce il pareggio della ripartizione, cioè che la spesa pensionistica possa essere interamente finanziata dal gettito contributivo. Un interesse più alto produrrebbe una spesa superiore al gettito, mentre uno più basso produrrebbe l’effetto opposto. La riforma Dini pretese di individuare l’interesse sostenibile nel tasso di crescita dell’intero reddito interno lordo, anziché dei soli redditi da lavoro, ma l’errore non rileva se l’incidenza dei secondi sul primo resta tendenzialmente costante.

Il caso “base”

Tutto ciò premesso, la tabella A calcola le annualità di pensione che un sistema contributivo corretto deve riconoscere al signor Rossi sotto le seguenti ipotesi semplificatrici:

  • la pensione è irreversibile (come in Svezia), cioè il coniuge superstite non può “ereditarla”;
  • è di 100 euro il saldo del conto corrente all’età del pensionamento, chiamato “montante contributivo” in quanto somma dei contributi versati al lordo dei frutti maturati;
  • è di 10 anni la speranza di vita alla medesima età, e quindi la durata attesa della pensione;
  • l’interesse sostenibile è del 10 per cento all’anno.
Leggi anche:  Le iniquità del metodo contributivo

La seconda colonna contiene le dieci “porzioni” del montante che Rossi ottiene “spalmandolo” uniformemente sulla durata della pensione, cioè dividendolo per 10 anni. Le porzioni sono devolute ad altrettante annualità. Pertanto, ciascuna giace sul conto fino all’anno in cui è prelevata. Essendo prelevata subito, la prima non ha il tempo di maturare frutti, mentre la seconda ne matura per un anno, la terza per due, la quarta per tre e così via, fino alla decima che ne matura per nove. I frutti sono indicati nella terza colonna che, sommata alla seconda, genera le annualità indicate nella quarta. L’ultima colonna calcola i tassi di variazione di ciascuna annualità rispetto alla precedente, per costruzione uguali all’interesse sostenibile del 10 per cento.

Dunque, la pensione deve essere calcolata dividendo il montante contributivo per la speranza di vita al pensionamento e indicizzata in base all’interesse sostenibile. La tabella spiega che è garantita la cosiddetta “equità orizzontale”, cioè che i conti correnti dei pensionati siano remunerati i base all’interesse sostenibile, proprio come quelli degli attivi. È un connotato irrinunciabile del sistema contributivo ed è anche una condizione senza la quale il teorema di sostenibilità non vale.

La tabella B descrive invece il diverso caso del signor Bianchi, che spalma diversamente il montante ripartendolo nelle dieci porzioni decrescenti (anziché uguali) indicate nella seconda colonna. Ciascuna sconta la precedente all’1,5 per cento. Sommando alle porzioni i rispettivi frutti, indicati nella terza colonna, si ottengono le annualità indicate nella quarta. La prima è più alta rispetto a Rossi ma le successive crescono meno. Infatti, l’ultima colonna indica un tasso d’indicizzazione dell’8,5 per cento risultante dalla differenza fra l’interesse sostenibile del 10 per cento e il tasso dell’1,5 per cento al quale Bianchi sconta le porzioni del montante. Il diverso profilo temporale della pensione di Bianchi non inficia l’equità orizzontale essendo i frutti pur sempre maturati in ragione dell’interesse sostenibile (10 per cento).

Il trade off fra calcolo e indicizzazione

Il tasso di sconto dell’1,5 per cento è solo un esempio: il signor Verdi potrebbe spalmare il suo montante scegliendo un tasso maggiore oppure uno minore. In un caso, otterrebbe una prima annualità più generosa pagando in cambio un tasso d’indicizzazione più severo, mentre nell’altro otterrebbe l’effetto contrario. Il tasso di sconto è una formidabile leva che consente di governare l’importante trade off che il sistema contributivo offre fra calcolo (prima annualità) e indicizzazione (crescita delle successive).

In nessun paese “contributivo” il trade off è lasciato alla libera scelta individuale, che aprirebbe problemi di azzardo morale, Ovunque, la scelta è fatta dai governi.

Leggi anche:  L'Italia si è davvero dotata di un sistema contributivo?

La riforma svedese scelse un tasso di sconto dell’1,6 per cento, consentendo di prospettare quozienti di sostituzione generosi. Il prezzo da pagare fu un’indicizzazione molto severa che fu ragionevolmente estesa alle pensioni retributive.

Le conseguenze negative di un tasso di sconto così “demagogico” non tardarono. La crisi mondiale rallentò a tal punto la crescita dei salari che, per due volte, l’interesse sostenibile scese sotto l’1,6 per cento. E dunque un tasso di indicizzazione negativo. La disciplina contributiva non ebbe cedimenti e le pensioni furono effettivamente ridotte, ma lo stato dovette intervenire con sgravi fiscali che consentirono l’invarianza del reddito netto dei pensionati meno abbienti. Da allora, è in corso una riflessione sull’opportunità di rivedere la scelta originariamente compiuta. Per evitare rischi, la recente riforma norvegese ha scelto un tasso di sconto dello 0,75 per cento.

Anche la riforma italiana volle consentire quozienti di sostituzione elevati. Scelse così un tasso di sconto dell’1,5 per cento che occorreva detrarre dalla crescita del reddito interno lordo per ottenere il tasso d’indicizzazione. Paradossalmente, la riforma si astenne invece dall’intervenire sul meccanismo d’indicizzazione ai prezzi in vigore dal 1992. A nulla valsero le raccomandazioni di chi scrive.

La classe politica italiana di oggi si deve rendere conto che la regola d’indicizzazione qui spiegata è inderogabile al punto che, omettendola, il sistema contributivo non può meritare il nome che porta.

Tabella A: il caso base – la pensione di Rossi
numerazione delle annualità come Rossi spalma il montante i frutti maturati le annualità di pensione l’indicizzazione risultante
(1) (2) (3) (4) (5)
1 10 10.00
2 10 1.00 11.00 10%
3 10 2.10 12.10 10%
4 10 3.31 13.31 10%
5 10 4.64 14.64 10%
6 10 6.11 16.11 10%
7 10 7.72 17.72 10%
8 10 9.49 19.49 10%
9 10 11.44 21.44 10%
10 10 13.58 23.58 10%
100
Tabella B: il caso alternativo – la pensione di Bianchi
numerazione delle annualità come Bianchi spalma il montante i frutti maturati le annualità di pensione l’indicizzazione risultante
(1) (2) (3) (4) (5)
1 10.7 10.7
2 10.5 1.1 11.6 8.5%
3 10.4 2.2 12.5 8.5%
4 10.2 3.4 13.6 8.5%
5 10.1 4.7 14.7 8.5%
6 9.9 6.1 16.0 8.5%
7 9.8 7.5 17.3 8.5%
8 9.6 9.1 18.8 8.5%
9 9.5 10.8 20.3 8.5%
10 9.3 12.7 22.0 8.5%
100

 

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Sulle pensioni la manovra fa i conti con la realtà

Precedente

Il Punto

Successivo

Ilva: è possibile una fabbrica sostenibile?

  1. Aldo Ferreri

    Caro professore, l’indicizzazione più efficace e più giusta è quella legata al Pil nominale, come è quella praticata in Germania. Che è il paese che cresce di più e dove la gente è contenta di vivere. Lavorate tutti per questo obbiettivo e in Italia riprenderà la crescita. L’Italia non cresce come gli altri paesi da quando Amato ha indicizzato solo parzialmente le pensioni all’inflazione, costringendoli ad una perdita strutturale del potere di acquisto con effetti nefasti sulla crescita dell’economia.

  2. angelo rota

    mi scuso ma credo di non capire il meccanismo progettuale che l’articolo vuole proporre all’indicizzazioni delle pensioni. Premesso che non concordo con l’indicizzazione suddivise per fasce, penso sia piu equilibrato fissare il l’aumento percentuale del costo della vita ad un livello base di pensione (es. 1550). Cosi le differenze di trattamento pensionistico legate alla professionalità maturata restarenno costanti..

  3. Gianni

    Articolo interessante, ma postula la convinzione che il sistema debba essere in equilibrio nel breve e medio periodo e non nel lungo. E si continua ad ignorare che un sistema che mima le banche non tollera la contribuzione figurativa, elargita a piene mani a cassaintegrati e disoccupati.

  4. toninoc

    Egregio Professore, devo confessarle che (colpa mia che ho fatto solo le madie inferiori ) non ho interiorizzato granché del suo articolo e chiedo venia per ciò. L’unica cosa che ho recepito, perché coinvolto personalmente, è la teoria secondo la quale la”pensione sarebbe irreversibile (come in Svezia), cioè il coniuge superstite non può “ereditarla”. Forse,( sempre per mia ignoranza) ho male interpretato. Secondo Lei quindi, se dovessi morire prima di mia moglie, lei, mia moglie, mi dovrebbe seguire in breve tempo per mancanza di alimenti. Come si fa a paragonare il nostro welfare a quello della Svezia? Con un paese diviso in 2 metà, dove al sud si vive maggiormente con un solo reddito per famiglia, spesso da pensioni al limite della sussistenza e con una reversibilità al 60%, se va bene?.
    La situazione della Svezia, secondo quanto raccontato da tutti gli organi di informazione, è notevolmente diversa e migliore di quella Italiana per mille motivi che non Le elenco per cui; come si fa a fare ipotesi di raffronto fra Italia e Svezia? Le Sue Ipotesi, saranno certamente esatte per far quadrare i conti dell’ INPS, non certo di quelli che avrebbero diritto alla reversibilità, abolita per il pareggio di bilancio. Mi dica che ho male interpretato, La prego. Le teorie economiche possono essere scientificamente tutte valide , purché si facciano tenendo conto delle situazioni sociali del Paese in cui si applicano… se si vogliono evitare problemi sociali.
    Cordialità.

  5. Andrea A

    Giusto e ragionevole. Ma qualcuno si troverà con meno soldi in tasca, quindi sarà difficile politicamente. Anche se questi soldi sono un privilegio che grava sulle spalle dei contribuenti meno vecchi.

  6. Carlo

    Articolo comprensibile, in pratica il sistema attuale di indicizzazione per i contributivi misti e puri, tra cui l’opzione donna, rappresenta un danno perché col passare del tempo scende il potere di acquisto dei contributi accantonati perché vengono indicizzati alla sola inflazione e non alla crescita. Quindi in teoria converrebbe non avere una pensione statale ma investire i contributi in un indice azionario, in quanto le azioni danno una rendita periodica (dividendo) e aumentano di valore se c’è crescita del pil ed inflazione (siccome l’utile è la differenza fra i ricavi ed i costi, l’inflazione fa aumentare i ricavi ed i costi ma i ricavi sono sempre superiori ai costi).
    Inoltre se “il sistema contributivo mima una “banca” che, a ciascun lavoratore, intesta un conto corrente virtuale dove prima depositare i contributi e poi prelevare le rate di pensione” come mai sono previste 13 rate mensili e non 12?

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén