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Quanto costa e che benefici dà l’assegno unico per i figli

Il riordino e il potenziamento delle misure a sostegno delle famiglie con figli è uno dei punti qualificanti del governo Conte bis. Dovrebbe costare circa 6 miliardi in più rispetto alle risorse già impegnate. Ecco come potrebbe essere progettato.

Riordino necessario

Il disegno di legge per l’attribuzione della delega al governo per il riordino e il potenziamento delle misure a sostegno delle famiglie con figli è uno dei punti qualificanti del secondo governo Conte. Il progetto prevede di fare ordine in un ambito caratterizzato da misure sovrapposte e prive di un disegno coerente, che comprendono la detrazione Irpef per figli a carico e l’assegno al nucleo familiare (Anf) oltre ad altri tipi di sostegno, quali l’assegno ai nuclei con almeno tre figli minori, la detrazione per famiglie con almeno quattro figli, il bonus bebè, il premio alla nascita e altri interventi minori. Il disegno di legge mira a sostituire questi strumenti con un assegno unico (Au) per i figli a carico, che in buona parte ricalca il programma del Partito Democratico enunciato in campagna elettorale e da noi già commentato. Rispetto ad allora sembra però emergere un ulteriore elemento: la necessità di costruire lo strumento in modo che il costo aggiuntivo rispetto alle risorse che verrebbero recuperate dall’eliminazione delle misure già in vigore sia complessivamente contenuto in circa 6 miliardi. Sembra poi confermato che l’assegno si annullerebbe a partire dai 100mila euro di reddito del genitore più ricco nella coppia, che l’ammontare dell’assegno sarà al massimo di 240 euro al mese per figlio minore e che ci sarà un’estensione della platea per comprendere tutte le famiglie con figli, senza discriminare tra chi percepisce redditi da lavoro dipendente o autonomo. Maggiore incertezza permane invece sulla tipologia di assegno che si andrebbe a definire. Utilizzando Euromod, il modello di microsimulazione fiscale statico per i paesi dell’Unione europea, aggiornato al 2019, sulla base degli ultimi dati It-Silc rappresentativi della popolazione italiana, abbiamo simulato alcune opzioni per valutare le possibili riforme che si potrebbero attuare date le risorse complessive destinate alla misura.

Tre ipotesi di riforma

Le nostre analisi confermano che la proposta originale del Partito Democratico (240 euro al mese per ogni figlio fino a 18 anni, 80 euro per i figli maggiorenni a carico fino ai 26 anni d’età, decrescente linearmente al reddito del genitore che guadagna di più fino a un reddito complessivo di 100 mila euro l’anno oltre il quale l’assegno si annulla) richiede risorse per circa 22 miliardi di euro l’anno. L’abolizione delle misure esistenti (Anf, detrazioni Irpef per figli a carico e assegno ai nuclei con più di tre figli minori) oltre all’inserimento del nuovo assegno nel reddito famigliare considerato ai fini della corresponsione del reddito di cittadinanza, comportano un recupero di oltre 15 miliardi di euro l’anno. Dunque, il costo complessivo sarebbe di circa 6,5 miliardi di euro l’anno. Questo costituisce il primo scenario di riforma.

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Tuttavia, un suo limite evidente riguarda il fatto che i 240 euro per figlio vengono pagati integralmente solo alle famiglie con reddito pari a zero. Sarebbe invece auspicabile che lo strumento fosse coerente con altri già presenti nel nostro ordinamento e che, per esempio, rimanesse costante fino a una determinata soglia di reddito positiva. Abbiamo qui scelto come soglia il valore a partire dal quale si riduce il bonus Irpef di 80 euro per lavoratori dipendenti, ossia 24.600 euro all’anno. Il costo complessivo aggiuntivo sarebbe contenuto a circa 6,1 miliardi nel caso si riducesse di poco l’ammontare dell’assegno, portandolo a 220 euro mensili e limitandolo solo ai figli minorenni. Questo è il secondo scenario simulato.

Un assegno unico simile avrebbe tuttavia un rilevante problema. L’annullamento al livello di 100 mila comporterebbe un tasso di riduzione dell’assegno pari al 3,8 per cento nel caso di famiglie con un solo figlio. Ossia, per le famiglie nelle quali il reddito di almeno un coniuge supera la soglia di 24.600 euro, per ogni 100 euro di reddito aggiuntivo l’assegno si ridurrebbe di 3,8 euro. Questo comporterebbe un incremento implicito dell’aliquota di tassazione pari a 3,8 per cento. Si tratta di un ammontare non enorme per le famiglie con un figlio, ma sicuramente importante per quelle numerose. Per esempio, famiglie con tre figli avrebbero un incremento implicito di tassazione pari a 11,5 per cento per redditi superiori alla soglia. Per ovviare al limite e mantenere costante il tasso di riduzione a 3,8 per cento abbiamo quindi ipotizzato di modificare la soglia per l’annullamento dell’assegno a 100 mila moltiplicandola per il numero dei figli minorenni. Per mantenere il costo aggiuntivo nel limite di 6,5 miliardi, sarebbe necessario l’incremento di un solo punto percentuale delle aliquote Irpef dei tre scaglioni superiori, corrispondenti a redditi oltre i 28 mila euro. Il terzo scenario consentirebbe di ridurre l’aliquota implicita per le famiglie numerose, di contenere l’effetto disincentivante sull’offerta di lavoro del percettore più ricco e di riconoscere anche alle famiglie con più di tre figli un trasferimento maggiore rispetto al sistema attuale (tabella 1).

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Da un punto di vista distributivo, l’impatto dell’assegno unico sulla disuguaglianza (misurata con l’indice di Gini) e sulla povertà rimane estremamente rilevante: in tutti e tre gli scenari ipotizzati, è superiore a quello di qualsiasi altra riforma degli ultimi decenni. In particolare, il tasso di minori che vivrebbero in nuclei familiari a rischio di povertà si ridurrebbe del 15-16 per cento (tabella 2), con un incremento del reddito familiare equivalente per i primi decili di oltre il 10 per cento del reddito annuale (figura 1).

Tabella 1 – Stime di costo (in miliardi di euro)
Scenario 1 Scenario 2 Scenario 3
Totale risorse da abolizione strumenti 15.3 15.0 16.5
Costo totale proposta 21.8 21.2 23.0
Costo aggiuntivo della proposta 6.5 6.2 6.5
Fonte: nostre simulazioni basate su Euromod 2019 e It-Silc 2017
Tabella 2 – Analisi distributiva
Scenario attuale Scenario 1 Scenario 2 Scenario 3
Gini 0.314 0.307 0.307 0.307
Variazione rispetto all’attuale -2.3% -2.1% -2.2%
Povertà relativa complessiva 19.39% 18.3% 18.4% 18.3%
Variazione rispetto all’attuale -5.9% -5.4% -5.6%
Povertà relativa minorile 24.20% 20.7% 20.3% 20.2%
Variazione rispetto all’attuale -14.6% -16.1% -16.6%
Fonte: nostre simulazioni basate su Euromod 2019 e It-Silc 2017

Figura 1

Fonte: nostre simulazioni basate su Euromod 2019 e It-Silc 2017

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  1. Savino

    Come già accaduto per il reddito di cittadinanza, vengono confuse misure di sostegno contro la povertà con incentivazioni ad attivazioni al lavoro ed, in questi casi specifici, col riempimento di spazi vuoti di conciliazione lavoro-famiglia. Misure confuse e sovrapposte, dai destinatari molto limitati (reddito zero o vicino a zero), perlopiù con lo stanziamento di poche risorse reperibili. Fatemi dire che le buone pratiche di welfare sono un’altra cosa, che welfare non è assistenzialismo in senso politico e che da esso va espunta la previdenza, che in assenza dello sviluppo e della parsimonia scandinava, bisogna abbandonare il modello universalistico che elargisce mance e briciole a tutti e che, se vogliamo dirla tutta, non è nemmeno così costituzionale, penso soprattutto agli elementi di progressività. Piuttosto, occorre focalizzarsi sulla platea davvero da proteggere, formata soprattutto da giovani, soprattutto donne, sia disoccupati, sia dalla carriere discontinue.

    • Dino

      Briciole? Mance? Assistenzialismo? Credo che chi scrive qui sopra non abbia compreso il problema nè la soluzione prospettata. I figli non sono un fatto individuale, non esclusivamente. I figli “servono” alla società. Le famiglie non possono essere lasciate sole dallo Stato. Questa misura sarebbe ossigeno puro (altro che briciole), avrebbe un impatto fortissimo sulla povertà, creerebbe le condizioni per avere un po’ più di fiducia in un eventuale progetto genitoriale. L’Italia è agli ultimi posti del mondo in tema di ricambio demografico. Stiamo morendo. Apriamo gli occhi.

  2. Carlo

    Correlare l’assegno unico al reddito irpef dà luogo ad iniquità perché i redditi finanziari o i dividendi delle piccole spa/srl non vengono dichiarati nel modello unico. Infatti i redditi di chi investe in borsa hanno ritorni inimmaginabili con i tassi a zero: da ottobre 2016 (esclusi i dividendi) il mib è cresciuto del 30%, il dow jones del 48%, l’oro del 13%.
    Una possibile fonte di finanziamento può derivare dall’abolizione della detrazione per altri familiari a carico che adesso è inutile perché c’è il reddito di cittadinanza. Anzi chi prende il reddito di cittadinanza risulta ancora a carico perché non è considerato reddito ai fini Irpef. Addirittura questa detrazione è un favore agli evasori, ad esempio il genero che lavora in nero, oppure a chi ha redditi basati su basi imponibili forfetarie con criteri risalenti a trent’anni fa come il figlio che ha carico il genitore agricoltore.
    Sarebbe da abolire anche la detrazione per i figli di età superiore a 26 perché rappresenta un sussidio a fannulloni e lavoratori non in regola.

  3. Alberto Lusiani

    Questa e altre misure analoghe (bonus Renzi, detrazioni) dovrebbero essere costanti rispetto ai redditi. Renderle decrescenti coi redditi e’ equivalente ad aumentare le aliquote fiscali degli scaglioni di reddito piu’ elevati, ed’ e’ molto meglio che sia realizzato in questo secondo modo, per due motivi. Il primo motivo e’ di trasparenza, cosi’ che l’aliquota marginale sul reddito sia piu’ trasparente. Il secondo motivo e’ che rendendo detrazioni o assegni dipendenti dal reddito, a seconda delle modalita’ seguite, corrisponde ad una progressivita’ delle imposte sbagliata e insensata, che per esempio, nel caso del bonus Renzi, aumenta molto le tasse marginali per redditi tra 26 e 28 mila euro rispetto a chi ha redditi superiori. Sono conti matematicamente semplici che dovrebbero essere fatti, invece di seguire istinti demagogici contro i benefici ai “ricchi”.

    • Andrea A.

      Gli 80euro di Renzi creano alcune distorsioni. Tuttavia in questo caso è diverso: un assegno per i figli è percepito solo da chi ha figli, se aumento l’aliquota fiscale irpef aumento le tasse anche a chi non ha figli. Inoltre le aliquote irperf si applicano sull’imponibile irpef, mentre nell’articolo si parla di reddito complessivo.

  4. Daniele Elisei

    Non capisco: se dividiamo linearmente 220 tra 24.600 e 100.000 vengono 29 centesimi ogni 100 euro. Perché 3,8 euro? Inoltre l’aumento implicito dell’aliquota non viene calcolato su tutto il reddito?

    • carlo fiorio

      220 x 12 mesi x 1 figlio = 2880 euro/anno

      2880/(100000-24600) = 3,8% (3,5 % con assegno mensile di 220 euro)

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