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Isee, un indicatore da salvare (riformato)

Il regolamento sulla revisione dell’Isee rischia lo stallo. Eppure, l’indicatore è utilizzato da un terzo delle famiglie italiane. E le correzioni e integrazioni apportate lo rendono uno strumento più efficace e certamente più equo. Sarebbe uno spreco se l’iter di approvazione non proseguisse.

L’ISEE, UNO STRUMENTO DI MASSA

Dopo l’opposizione della Regione Lombardia in sede di Conferenza unificata, il decreto del presidente del Consiglio dei ministri messo a punto dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali, contenente il regolamento sulla revisione dell’indicatore della situazione economica equivalente (Isee), rischia lo stallo. Si tratta di una riforma largamente attesa e se il Consiglio dei ministri non deciderà di far proseguire l’iter per la sua approvazione (che prevede il passaggio per il parere delle Commissioni parlamentari competenti), la vicenda rischia di trasformarsi nell’ennesima occasione perduta. La dimensione delle spreco è particolarmente evidente alla luce del lavoro svolto, sia sul piano tecnico che su quello della costruzione del consenso con le amministrazioni e con le parti sociali interessate.
L’Isee è uno strumento di massa, impiegato da circa un terzo delle famiglie italiane per sottoporsi al means testing (“prova dei mezzi”) nelle procedure di accesso a prestazioni agevolate, quali il diritto e la relativa graduazione di integrazioni monetarie del reddito (gli importi delle borse universitarie, ad esempio) o il pagamento di tariffe differenziate (si pensi alle rette degli asili nido o delle strutture per anziani non autosufficienti, oppure all’articolazione in fasce delle tasse universitarie).
La sua funzione principale è di fornire una misura per ordinare gli individui sulla base di una ragionevole rappresentazione della loro condizione economica e non quella di contrastare l’evasione, anche se un corretto ordinamento dipende dalla capacità dello strumento di limitare i comportamenti opportunistici. L’utilità dello strumento e la bontà della riforma vanno dunque giudicati in relazione a questa finalità, evitando, come spesso ha fatto la stampa in questi giorni, di confondere la metrica con i livelli dell’Isee che danno diritto alla misura delle prestazioni, la cui determinazione compete agli enti erogatori, in relazione alle risorse disponibili e agli obiettivi di politica sociale che intendono perseguire.
Ma perché questo strumento? Per numerose ragioni, di cui le principali sono la progressiva erosione della base imponibile dell’imposta personale, con la conseguenza che il reddito complessivo Irpef non è più un buon indicatore della situazione reddituale dei contribuenti; la consapevolezza teorica e fattuale, in un sistema di welfare marcatamente mediterraneo, che la condizione economica delle persone dipende da quella delle famiglie in cui vivono, di cui vanno considerati contestualmente redditi, patrimoni, numero dei componenti e caratteristiche (età e disabilità). E, non da ultimo, dal bisogno di più stringenti criteri di selettività nell’erogazione di prestazioni agevolate, in un contesto di risorse pubbliche calanti.
Nato negli anni Novanta, nell’ambito dei lavori della commissione Onofri, dopo una fase sperimentale nel diritto allo studio universitario, l’Isee è indubbiamente uno strumento figlio del nostro tempo. Non è un caso che, dopo la spinta riformatrice iniziale e il letargo normativo dell’ultimo decennio, la sua revisione sia rientrata in agenda con il Governo Monti, in un contesto di crescente domanda di equità e di forte contrazione fiscale.

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I PUNTI CRITICI RIVISTI

Perché la riforma? Da un lato perché il disegno originario dell’Isee non fu mai completato; dall’altro per una serie di problemi emersi nel corso della sua applicazione e ampiamente documentati dall’attività di monitoraggio. Il Dpcm, nel confermare l’impianto dell’indicatore, che è ottenuto come somma dei redditi e del 20 per cento del patrimonio mobiliare e immobiliare di tutti i componenti del nucleo familiare, normalizzati su una scala di equivalenza, affronta dunque numerosi punti critici.
I principali riguardano:
i) la delicata questione (derivante dalla mancata emanazione del decreto attuativo) della definizione del nucleo familiare per il calcolo dell’Isee nel caso di prestazioni socio-sanitarie rivolte a persone non autosufficienti, che coinvolge il problema della compartecipazione al pagamento delle rette per le strutture protette, da parte dei figli conviventi e non conviventi;
ii) la mancata considerazione dei redditi esenti (si pensi alle indennità di accompagnamento, peraltro erogate a prescindere dalla condizione economica dei beneficiari), che solleva un problema particolarmente rilevante nell’ordinamento delle famiglie della coda bassa della distribuzione, dove l’incidenza di redditi esenti è più forte (oltre il 10 per cento delle dichiarazioni risulta con un Isee nullo e circa il 20 per cento ha un Isee minore di 3mila euro);
iii) lo scarso peso della componente patrimoniale (oltre la metà della dichiarazioni Isee ha patrimonio nullo), derivante dalla presenza di una franchigia troppo elevata per la componente mobiliare (ora ridotta) e da evidenti fenomeni di sotto-dichiarazione causati da comportamenti opportunistici e da errori materiali in fase di autocertificazione, a cui la riforma fa fronte con un deciso rafforzamento del coordinamento di Inps e Agenzia delle entrate (acquisizione di tutte le informazioni in possesso dell’amministrazione già al momento della dichiarazione) e del sistema dei controlli ex ante ed ex post;
iv) la scarsa flessibilità dell’Isee, misurato con riferimento ai dati dell’ultima dichiarazione dei redditi (e quindi al precedente anno solare), nei confronti di repentini cambiamenti nella condizione economica (derivanti ad esempio dalla perdita del lavoro), corretta con l’istituzione dell’Isee “corrente”, che consente il riferimento a un periodo di tempo più ravvicinato (dodici mesi precedenti);
v) un più coerente disegno della differenziazione dei costi che devono essere sostenuti dalle persone con disabilità, in funzione del grado di bisogno, garantita attraverso un’articolazione degli importi delle deduzioni (per tre livelli di gravità) e non attraverso maggiorazioni della scala di equivalenza, che finiscono per favorire in misura proporzionalmente maggiore le famiglie più ricche;
vi) il riconoscimento all’Isee dello statuto di “livello essenziale delle prestazioni”, ovvero di metro unificato, sull’intero territorio nazionale, per la valutazione della condizione economica dei richiedenti i benefici, che pone fine all’assurda personalizzazione dello strumento praticata dagli enti locali.

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Il Dpcm, attraverso un corpo piuttosto ampio e articolato di correzioni e integrazioni, ci restituisce dunque uno strumento più efficace e certamente più equo; sarebbe davvero uno spreco se il provvedimento finisse su un binario morto. Un vero peccato, in particolare in questo frangente della vita economica e politica del Paese, in cui la scena sembra di nuovo essere interamente occupata da annunci a effetto, mentre i governati avrebbero bisogno di segnali concreti (ed equi) da parte dei governanti.

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  1. Cesare Didoni

    L’ISEE è il classico esempio di intervento che ha buone intenzioni, ma porta a risultati opposti, perchè:
    1) crea complessità e burocrazia improduttiva (alimenta la “produzione di carta per mezzo di carta”, finanzia gli apparati sindacali dei CAF, risente di una mentalità statalista e moralista che etichetta ogni individuo con l’equivalente della “tessera” del pane);
    2) il 30% degli ISEE sono falsi rispetto ai dati, già disponibili e conoscibili dalla Pubblica Amministrazione (così risulta dai controlli della Finanza), perchè i furbi “omettono” redditi e patrimoni (Se non ci credete, parlate con qualcuno che lavora in un CAF).
    3) una percentuale sconosciuta è falsa rispetto alla realtà dei redditi e dei patrimoni in nero.
    Ne consegue che i furbi che dichiarano il falso e gli evasori che hanno reddti e patrimoni in nero, non solo pagano meno tasse, ma vengono ulteriormente premiati e pagano meno tasse universitarie, ottengono posti negli asili nido, mangiano a prezzi scontati nelle mense scolastiche, evitano i ticket sanitari etc.
    In un Paese civile, moderno, liberale e socialmente responsabile si dovrebbe invece:
    a) avere “una” tassazione complessiva semplice, ragionevole e giustamente progressiva;
    b) concentrare le risorse dell’amministrazione sul buon funzionamento del sistema fiscale, sugli accertamenti e sulla riscossione effettiva (e sulla galera per i furbi).
    c) prevedere interventi attivi a sostegno delle situazioni realmente di bisogno. Punto.

  2. Stefano Dalmasso

    Purtroppo da quando Monti si è trasformato in politico..nonno affettuoso..uomo che ha richiesto modesti sacrifici… Anche le cose di routine come l’approvazione delle modifiche al regolamento Isee sono diventate affaires d’e’tat .
    Nonostante i suoi guru ,questo e’ uno dei motivi per cui molti suoi estimatori stanno cambiando idea sul voto

  3. Marcello Sant'Agostino

    Concordo totalmente col commento di Cesare Didoni. Aggiungo che la ricerca ossessiva di maggiore precisione e equità basata su concetti ormai difficili da definire come “nucleo familiare” o gli altri problemi già elencati nell’articolo in questione (anche il valore del patrimonio sia immobiliare che finanziario è molto fluttuante). Il vizio d’origine di questo indice è che pretende di dare una indicazione della situazione economica più precisa di quella che risulta alla Agenzia delle Entrate dalle dichiarazioni annuali dei cittadini. L’altro vizio è il non poter accettare che un “ricco” possa pagare un servizio allo stesso prezzo di un “povero”. Di questo passo si arriva all’ISEE per comprare un francobollo o un biglietto del treno.

  4. Paolo Rizzo

    Volevo porre l’attenzione sull’erogazione degli assegni per il nucleo familiare che attualmente vengono erogati in base al reddito del c.d. “nucleo familiare” cioè solo il reddito del dipendente e del coniuge. Di conseguenza una coppia di fatto occulta legittimamente il reddito dell’altro genitore e percepisce un assegno pari al triplo di una coppia sposata. Viene anche eluso il divieto di assegnazioni per redditi di lavoro autonomo. Ad esempio la compagna del dentista ( reddito dichiarato 90.000) impegata comunale con due figli ( in part time ) dichiara ai fini dell’assegno nucleo familiare il suo reddito di € 16.000 ed un nucleo familiare composto da lei e i due figli percependo € 216,00 mentre una coppia di impiegati dello stesso comune con un reddito di € 20.000 ciascuno percepisce un assegno di € 69.
    Non Le sembra un’assurdità non si potrebbe utilizzare l’isee o il reddito di entrambi i genitori per la deteminazione dell’assegno nucleo? Con tutte le coppie di fatto che oggi ci sono quant’è il maggiore onere per lo Stato?
    grazie

  5. Articolo di grande interesse ed attualità. In particolare da studente, avendo analizzato con un gruppo di amici le lacune del sistema delle borse di studio nel Lazio (su Facebook abbiamo una pagina: No alle borse di studio per gli evasori) , abbiamo notato che gran parte dei problemi derivano proprio dallo strumento isee.
    In particolare il punto iii risulta fondamentale in quanto, è risaputo, molti nuclei familiari possono contare su isee non rispondenti al vero tramite i ben noti fenomeni dell’evasione fiscale. In particolare le svariate categorie di liberi professionisti hanno la possibilità di dichiarare poco o nulla in sede isee in mancanza di una incidenza significativa della componente patrimoniale. Intervistando un ex funzionario dell’Agenzia delle Entrate infatti la soluzione che ha caldeggiato è stata proprio quella di fare in modo che i sistemi relativi a reddito e patrimonio comunicassero tra loro, in modo tale da far risaltare in modo automatico eventuali discrepanze macroscopiche.
    In questo senso la sinergia tra Agenzia delle Entrate e Inps mi sembra un fondamentale passo avanti. Inoltre, mi si corregga se sbaglio, per mantenerci in tema “patrimonio”,

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