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Ma il cuneo fiscale è solo la punta dell’iceberg

Il cuneo fiscale è davvero uno dei principali problemi dell’Italia di oggi? I dati mostrano che se lo è, lo condividiamo con Germania e Francia. Più che a una sua riduzione dovremmo quindi puntare a investimenti per aumentare la produttività del paese.

Confronto con Francia e Germania

Nella discussione di politica economica in Italia un tema che viene spesso alla ribalta è quello dell’eccessiva pressione fiscale. In particolare, in questi ultimi giorni si discute molto della possibile diminuzione del cuneo fiscale, che sarebbe prevista dalla futura legge di bilancio. Ma il cuneo fiscale è davvero molto elevato in Italia? E se sì, quali sono le nazioni con le quali dovremmo confrontarci? I naturali candidati al ruolo dovrebbero essere Germania e Francia.

Utilizzando i dati Eurostat, diamo uno sguardo alla pressione fiscale dell’Italia confrontata con queste due altre nazioni. Per pressione fiscale si intende la somma di contributi sociali, imposte dirette e indirette in rapporto al Pil. Nel 2017 quella dell’Italia risulta essere pari al 42 per cento del Pil: più bassa di quella della Francia – al 47 per cento – e più alta di quella della Germania – che è al 39 per cento. La maggiore pressione fiscale dell’Italia rispetto alla Germania è giustificata da una corrispondente spesa su Pil del 48,6 per cento che è cinque punti più alta di quella della Germania (43,9 per cento). D’altronde, la Francia ha una spesa su Pil del 56 per cento, più di 7 punti superiore a quella dell’Italia, che quindi giustifica la sua maggiore pressione fiscale rispetto all’Italia. Possiamo quindi concludere che, se si tiene conto dei livelli spesa, la pressione fiscale italiana non è anomala rispetto a quella tedesca o francese.

Il cuneo fiscale, invece, è dato dalla somma di imposte dirette e contributi pagati sul reddito da lavoro. Se consideriamo i contributi sociali su Pil, che sono una parte del cuneo fiscale, notiamo che in Italia nel 2017 rappresentano il 13 per cento, in Francia il 17 per cento e in Germania il 15 per cento. Inoltre, utilizzando i dati Ocse, se guardiamo al cuneo fiscale inteso come rapporto tra imposte e contributi sul salario medio, nel 2018 per un single senza figli, è pari, in termini percentuali, a 47,9 per l’Italia, 47,6 per la Francia e 49,5 per la Germania. La Francia nell’ultimo decennio ha adottato politiche per abbassare il cuneo fiscale per i lavoratori con bassi salari, ciononostante l’Italia ha un cuneo fiscale per i lavoratori con un salario basso (il 67 per cento del salario medio) pari a 40,9, inferiore sia a quello della Francia (43,1) che a quello della Germania (45,4). Confrontando anche il dato per i lavoratori con un salario alto (il 167 per cento del salario medio), il cuneo fiscale in Italia (54) risulta in linea con quello francese (54,1) e più alto di quello tedesco (51,3).

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I dati ci dicono che il problema del cuneo fiscale, se tale, non è peculiare dell’Italia, ma è condiviso dalle due nazioni a cui dovremmo fare riferimento nei confronti internazionali.

Figura 1 – Imposte dirette e contributi sociali su salario medio (cuneo fiscale), dati Ocse

Differenze nella produttività

È però interessante notare come nel 2018, praticamente a parità di cuneo fiscale, la produttività del lavoro (Pil per ore lavorate) misurata in dollari correnti sia molto differente tra Italia, Germania e Francia. In Italia è pari a 47 dollari contro i 61 della Francia e i 60 della Germania. È di ancora maggiore interesse vedere come la produttività del lavoro in Francia negli ultimi dieci anni sia cresciuta di quasi il 9 per cento e in Germania del 7 per cento, mentre in Italia è praticamente rimasta invariata. Negli ultimi dieci anni il costo del lavoro in Francia e in Germania è sempre stato più alto che in Italia. In Francia, nel 2017 e 2018, è inferiore solo di pochi decimali. Il dato ci dice che forse oltre che sul costo del lavoro bisognerebbe intervenire con adeguate politiche che stimolino l’adozione di tecnologie innovative per aumentare in maniera strutturale la produttività del lavoro e quindi la competitività delle nostre imprese.

Quindi l’alto costo del lavoro in Italia non è un problema in sé, ma andrebbe considerato insieme a quelli determinati da una forza lavoro poco qualificata, da investimenti nelle aziende scarsi o assenti e da condizioni ambientali complicate per le imprese. Sarebbe necessario un intervento complessivo che non si limiti a ridurre il costo del lavoro, ma implichi una spesa più mirata a migliorare i servizi per lavoratori e imprese, che aiuti ad aumentare la produttività del paese.

Figura 2 – Pil per ore lavorate (produttività), dati Ocse

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Il Punto

  1. Max

    Analisi interessante, che condivido. Tuttavia bisognerebbe fare un passo avanti e cercare di aprire la “black box” della produttività. Dato che generalmente la produttività viene misurata in valore e non in quantità, da cosa dipende la bassa produttività italiana, dal fatto che i lavoratori producono “poco” rispetto ad altri Paesi o dal fatto che produciamo beni con “prezzi bassi” (es. beni tradizionali, o con bassi margini di ricarico sui costi). Ovviamente una volta individuata la causa, le politiche per farvi fronte possono essere molto diverse.

    • Gianni

      Mi pare che L autore abbia accennata alle cause della bassa produttività, che dipende dal basso livello degli investimenti. Del resto il basso costo del lavoro rende maggiormente profittevole L uso di manodopera rispetto alla tecnologia. Solo L aumento dei salari spingerebbe le imprese alla innovazione e quindi ad aumentare la produttività.

  2. Paolo Mariti

    Concordo pienamente sull’idea che il “cuneo” – in parte fiscale e in altra contributivo, con effetti finanziari aggregati assai diversi – non debba essere considerato in isolamento. Se si vuole aumentare il reddito pro-capite spendibile dalle persone, vi sono almeno due altre strade. Garantito comunque un trasferimento monetario pubblico ai più disagiati (dietro accertamento efficace), una prima è ridurre l’imposta sulle persone fisiche – ad esempio, in Germania il “cuneo” è su livelli comparabili a quelli dell’Italia, però l’aliquota dell’imposta, sopratutto per le fasce di reddito più basse, è decisamente inferiore, cosicchè in tasca resta molto di più. L’altra via sarebbe aumentare i salari e gli stipendi. Temo che per molti la richiesta di tagliare il “cuneo” in realtà sia considerata alla stregua di aumentare le paghe nette COME SE fossero aumentate dai datori di lavoro, Ciò però trascura che si tratta di misrua che ricade su tutti i cittadini essendo onerorosa per le casse pubbliche.
    Circa poi la questione della produttività, sarebbe opportuno un maggior orientamento verso la fornitura di beni “pubblci” – che possono essere sia di fonte pubblica che privata e forme intermedie- data la loro riconosciuta capacità di generare diffuse esternaltià positive.

  3. Fabrizio Razzo

    Per quanto concerne la pressione fiscale, i dati comparati prodotti dovrebbero però essere al lordo della evasione per cui quelli italiani su chi paga le tasse risultano molto più alti, vero?

  4. Analisi condivisibile ma sulla produttività ci sono varie teorie a) bassi salari b),pochi investimenti c) struttura produttiva d) Scarsa formazione (es pochi laurea), o forse altro o tutto insieme

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