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Far pace con l’Europa vale, ma non basta

Nei conti pubblici italiani il meglio deve sempre venire domani o dopodomani. È probabile che anche la legge di bilancio del governo Conte bis non faccia eccezione a questa tradizione consolidata. Con i soliti rinvii delle scelte difficili.

La Nadef della pace con l’Europa

Lo ha annunciato soddisfatto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Trovati 23 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva”. Dove siano stati trovati lo si vedrà nel dettaglio del disegno di legge di bilancio di cui la Nadef (Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza) è solo un primo passo. Per il momento, tuttavia, la copertura più efficace che il governo è riuscito a reperire nel suo primo mese di vita sarà scritta solo tra le righe della legge. È una copertura che – per ora – vale circa 4 miliardi l’anno, ma il suo valore potrebbe crescere fino a 24 miliardi in sette anni, una volta che l’intero ammontare di debito pubblico dell’Italia sarà stato rifinanziato incorporando la riduzione dei tassi di interesse di circa 100 punti base, dall’1,8 per cento del 9 agosto allo 0,8 per cento di questa settimana. È il bonus di minori spese per interessi garantito dall’impegno implicito assunto dal governo fin dal suo primo giorno di vita, un impegno riassumibile in cinque paroline: con l’Europa non si litiga. Il bonus del secondo governo Conte era il malus del primo governo Conte, quello la cui posizione internazionale era contrassegnata – a torto o a ragione, ma lo era – dall’impronta culturale e politica di economisti e opinionisti no-euro come consulenti dell’uomo forte della coalizione Matteo Salvini.

Niente progressi sul fronte conti pubblici

In ogni caso, i numeri contenuti nella tabella più importante del Def sollevano la questione se il fare pace con l’Europa basti per scrivere una legge di bilancio adeguata. Per rispondere vediamo le cifre una alla volta.

Tabella 1 – I numeri della Nadef

Nota: Il debito pubblico è espresso al lordo o al netto delle quote di pertinenza dell’Italia nei prestiti a stati dell’Eurozona, bilaterali o attraverso il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf).

Il deficit 2020 è fissato al 2,2 per cento del Pil, un dato uguale a quello del 2019. Il numero del 2019 era a sua volta il risultato della correzione di bilancio di fine giugno imposta a Giovanni Tria e Giuseppe Conte da Bruxelles, mai ammessa dal duo Salvini-Di Maio, ma alla fine subita in silenzio. È grazie a quella correzione se il deficit 2019 indicato al 2,4 per cento del Pil nel Def 2019 dello scorso aprile è poi diventato il 2,2 per cento attuale.

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La tabella consente anche un confronto tra il dato tendenziale 2020 (a legislazione vigente) e quello programmatico che denota la natura espansiva della manovra: il deficit tendenziale era dato all’1,4 per cento, mentre il governo nel suo “quadro programmatico” scrive un 2,2 per cento. Uno scostamento rilevante, associato a un’accelerazione della crescita del Pil dallo 0,4 allo 0,6 per cento. E qui si osserva un elemento di continuità con tutti i Def e le Nadef degli anni passati (da Giulio Tremonti-Silvio Berlusconi a oggi): i miglioramenti nei conti pubblici sono sempre rinviati a domani e dopodomani. Il calo del deficit è collocato nel 2021 (all’1,8 per cento) e in modo più netto nel 2022 (all’1,4 per cento), anche grazie alle clausole di salvaguardia ancora in essere per i prossimi anni. Il saldo primario (il deficit o indebitamento netto al netto delle spese per interessi diventa un surplus chiamato “saldo primario”) scende di altri 0,2 punti all’1,1 per cento nel 2020 come già nel 2019, per poi risalire all’1,3 e 1,5 per cento del Pil nel 2021 e 2022. Lo stesso vale per il rapporto debito-Pil. Ancora in aumento (al 135,7 per cento del Pil, al lordo dei sostegni al fondo salva-stati) di un punto nell’anno in corso, come nei dati di consuntivo di quelli precedenti. Ancora in calo marginale nell’anno che viene (il 2020, dal 135,7 al 135,2) e ancora in calo più netto per domani e dopodomani (133,4 nel 2021 e 131,4 nel 2022).

A pesare sul dato del 2019 è la scomparsa dalla tabella del punto percentuale di Pil di privatizzazioni almeno figurative (spostamenti di quote azionarie tra partecipate dentro e fuori dal bilancio dello stato) contenuto nella stessa tabella nel Def 2019 di aprile. Questo sì che poteva essere il punto su cui l’autoproclamato partito del Nord produttivo (la Lega di Salvini) avrebbe potuto ritirare la fiducia al governo gialloverde. Invece niente. Mentre il nuovo governo (che comprende Leu e M5s, dunque movimenti spesso critici delle “svendite del patrimonio pubblico”) alla voce privatizzazioni ascrive uno 0,2 di Pil.

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Si potrebbe anche notare che – regole attuali di Bruxelles alla mano – un paese con il 135 per cento nel rapporto debito-Pil dovrebbe produrre un calo del deficit strutturale (quello calcolato al netto di misure una tantum e delle oscillazioni cicliche). Nella tabella, invece, il deficit strutturale (“indebitamento netto strutturale”) è dato marginalmente in aumento nel 2020, dopo la discesa del 2019 e in attesa di quella da registrare nel 2021 e 2022. Ma calcolare il deficit strutturale è un esercizio in cui nessuno crede più, neanche a Bruxelles. E quindi si può immaginare che almeno questo temporaneo peggioramento nei suoi valori sia di scarsa importanza.

Ne è valsa la pena?

“Ne valeva la pena?”, si sono chiesti in tanti. I dati (e il buonsenso) dicono che aver chiuso fuori dalla stanza dei bottoni i no-euro e le loro stravaganze dipinte come nuove verità ha di per sé un valore positivo, quantificabile più o meno, come indicato, in un consistente risparmio di interessi sulle nuove emissioni di debito. E le nostre aziende che vendono una bella fetta del loro fatturato in Europa beneficiano del nuovo clima che si è instaurato tra Roma e le altre capitali europee. Ma nell’insieme, è difficile sfuggire alla sensazione che nella finanza pubblica italiana il meglio debba sempre ancora venire. È sempre domani o meglio ancora dopodomani il momento in cui il deficit e i debiti scenderanno. Però ciò di cui non ci accorgiamo è che l’eterno rinvio dei bagni di realtà non riguarda tanto l’Europa (che di questi tempi forse chiuderà un occhio) quanto i futuri contribuenti e cittadini italiani che poi il conto lo dovranno pagare con più tasse o minori servizi pubblici.

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15 commenti

  1. Savino

    I ricchi continuano a ridere e a godersela. Le grandi rendite finanziarie sono esonerate da tutto, così come i tesoreggiamenti sterili da parte di chi si è arricchito durante la crisi alle spalle della povera gente. Di revisione della spesa monstre di uno Stato pieno di sperperi e lacunoso nei servizi non se ne parla nemmeno. E’ una manovra di appesantimento burocratico che nulla ha a che vedere con la redistribuzione, con l’equità sociale, con la leva fiscale, con la propensione keynesiana agli investimenti di prospettiva. Al Ministro Gualtieri non è sufficiente saper suonare con la chitarra “Bella Ciao” per esprimere un preciso modo di schierarsi.

  2. Roberto

    Il deficit/pil 2019 è segnato al 2,2%, ma la correzione di bilancio di giugno non doveva riportare il deficit/pil 2019 al 2% (come da originaria finanziaria)? Cosa ha influito su questo aumento? Secondo lei l’aumento del deficit strutturale/pil dello 0,1% nel 2020 passerà in Europa considerando che da sempre richiedono una riduzione, o quanto meno un non aumento, del deficit strutturale? Ringrazio per le risposte.

  3. Paolo Mariti

    L’Iva in Italia vale 130 mld, ovvero circa il 7% del pil. La quota del regime agevolato da noi supera il 40% delle relative entrate rispetto ad un a media europea che non raggiunge il 27. Questo già da solo indica che qualcosa non và e che all’interno dell’iva si possono trovare spazi senza aumentare l’aliquota ordinaria. E ciò senza sollevare problematiche da “stato etico” (tartufi o cuneo?). Certo è sempre difficile conseguire dei miglioramenti in materia- anche senza tirar dentro Pareto- ma sembra chiaro che il processo politico in Italia sia distorto oltre misura e porti gli interessi speciali a dominare con costanza quello più generale.

    • Henri Schmit

      Giustissimo: se cambio le categorie a favore di maggiore razionalità o giustizia senza aggravare il gettito complessivo dovrei essere applaudito. Aggiungerei: se aumento il gettito IVA cambiando categorie o/e aliquote ma abbassando (di pari o maggior importo) la fiscalità diretta sugli stipendi bassi, dovrei essere applaudito. Ma qua non è così. Tutto funziona per slogan (ignoranti) da social o prima pagina che hanno perso il contatto con la realtà (che nessuno, o pochi, di coloro che hanno diritto di parola nei media e diritto di voto nel parlamento capisce). Senza visione strategica verificata dagli esperti non si possono fare riforme vere. Forse è quello che manca, e da tempo.

  4. Carlo

    Sarebbe ora di dire basta bonus, sgravi, aumenti, sovvenzioni, assunzioni (nel pubblico e parapubblico) e puntare a un serio, determinato e duraturo controllo del debito. Whatever It takes.

    • Henri Schmit

      Giustissimo! Più o meno quello che ha detto ieri in Assolombarda Bonomi suggerendo di risparmiare eliminando quota 100, RDC, 800 euro (e io aggiungerei l’esenzione IMU prima casa da sostituire con un’esenzione forfettaria che dipende dal nucleo famigliare) per ridurre il debito e utilizzare il margine che se si vuol concedere ad una drastica riduzione del cuneo fiscale. Non si capisce peraltro con quale credibilità Renzi possa ora rivendicare una posizione similare. Ma siamo nel paese degli inganni, dove tutti sanno ed accettano che coloro “che hanno saputo con l’astuzia aggirare e cervelli delli uomini … alla fine hanno superato quelli che si sono fondati sulla (lealtà/verità)”.

      • Asterix

        Caro Schmit, sull’esenzione prima casa dobbiamo risolvere prima alcuni dubbi.
        Stiamo parlando di togliere la deduzione forfettaria del reddito figurativo dell’abitazione principale ai fini IRPEF o di assoggettare la rendita catastale dall’abitazione principale alla tassazione locale IMU/TASI?
        La prima proposta è assolutamente plausibile (posto che detraiamo i costi degli interessi passivi per i mutui sull’abitazione principale), ma l’esenzione dovrebbe essere circoscritta agli immobili di minore valore, non al reddito familiare (per quelle ci sono già le deduzioni per carichi di famiglia). Anche se parliamo di tassare l’abitazione principale è comunque corretto fissare la deduzione sulla base della rendita catastale, non del reddito familiare. Poi concordo che, poiché la tassazione locale è legata ai servizi offerti al Comune, in base alla composizione del nucleo familiare residente potrebbero riconoscersi ulteriori misure a sostegno dei nuclei a basso reddito (anche se sarebbe preferibile adottare a livello nazionale tali politiche per non penalizzare chi vive nei Comuni in deficit finanziario che non possono fornirle ai loro cittadini).

  5. Asterix

    Caro Daveri, Lei dovrebbe scendere in politica ed abbandonare la professione scientifica perché temo stia perdendo la sua obiettività.
    Gli interessi non si sono abbassati perché abbiamo cambiato il Governo, ma perché la BCE ha annunciato il nuovo QE.
    La riduzione del deficit al 2,2% è ottenuto grazie ad un trucco contabile che ascrive al prossimo anno maggiori entrate dalla lotta all’evasione fiscale per circa 7 miliardi di euro. Neanche Tremonti ai bei tempi aveva scritto in un bilancio una previsione così ottimistica. Se considera che dati MEF (audizione DG 16 luglio 2019) ascrivono alla fatturazione elettronica soli 300 milioni di euro di maggiori entrate e che le noti proposte sul contrasto di interesse, nelle più rosee previsioni, non vanno oltre 1 miliardo di euro, capisce come gli obiettivi di bilancio del NADEF siano alquanto “volatili”. Ma soprattutto stupisce la sua felicità rispetto al fatto che un governo, giusto o sbagliato, ma comunque rappresentativo del suo Paese subisca i diktat di una Commissione non eletta da nessun cittadino europeo che elargisce bonus/ malus in base alla sottomissione al “Progetto”. Non si usa più neanche il paravento dei vincoli di bilancio UE. Forse perché tali vincoli sono messi in discussione da economisti in altri Paesi europei, tranne ovviamente l’Italia, dove l’accademia ha sempre scelto un ruolo, come dire, “contiguo” al potere politico, piuttosto che sviluppare un pensiero autonomo sulle soluzioni alla crisi del Paese. Saluti

    • Francesco Daveri

      Caro ologramma (a differenza di lei, non ho la fortuna di conoscere le sue generalità né la sua faccia), l’obiettività parlando di politica economica non esiste. nei miei articoli come in quelli di altri sono ovviamente presenti le mie opinioni, il più possibile distinte dai ragionamenti e dai fatti. nel mio articolo non mi sembra di essere stato particolarmente tenero nei confronti del governo di cui ho spiegato che rinvia al futuro tutte le scelte difficili. la riduzione dello spread di cui parlo (meno 100 punti dal 9 agosto) non dipende dall’annuncio del Qe che è avvenuto a fine maggio, ma per una buona quota dl calo con la cacciata dei noeuro dal governo (guardi l’evoluzione dello spread btp-bonos). Mi sembra che lei abbia una visione dell’Europa diversa dalla mia: non la condivido ma la rispetto. Per me con l’Europa non è una questione di essere servi di Bruxelles ma di applicare regole esistenti e darsi da fare per cambiarle, il che richiede di trovare alleanze, la qual cosa il governo precedente non sapeva fare. Spero che nei suoi prossimi commenti potrò beneficiare per par condicio di un simile atteggiamento da parte sua senza dover subire le accuse di essere a mia volta eterodiretto o non indipendente. ho la fortuna e il privilegio (un po’ meritato, non sono certo un figlio di papà) di fare un lavoro per cui posso esprimere in totale libertà le mie opinioni. ma anche se non lo farà, in ogni caso continueremo a pubblicare i suoi rancorosi, odiosi e sgradevoli messaggi

    • Henri Schmit

      Giusta la critica di Asterix del maquillage circa il deficit previsionale. La lotta all’evasione si fa, non si promette/minaccia.Fa paura un governo appena insediato con così poco coraggio di invertire la tendenza. Le mie ragioni sono opposte a quelle dell’anonimo. Fanno sorridere le sue certezze circa le cause dell’abbassamento dello spread (più che dimezzato). Fa pena la retorica circa il diktat di una Commissione non eletta nei confronti di un governo democratico di uno stato sovrano. Il Parlamento deve essere democratico, il governo invece efficiente e responsabile o se ne va. Uno stato che ha aderito ad una OI sui generis che si è dotata di regole vincolanti decise all’unanimità non può lamentarsi quando dopo aver approfittato delle regole (fondi comuni e tassi d’interesse) le regole gli stanno troppo strette. Ma può andarsene; la sovranità è garantita dall’articolo 50; c’è pure il precedente istruttivo del RU che però non aveva aderito alla moneta unica e quindi alle regole di bilancio per far convergere le economie nazionali. Il pensiero del commento anonimo è purtroppo predominate; addirittura il neo commissario italiano non trova un’idea migliore da esternare che quella solita che le regole di bilancio sono superate e vanno riscritte. L’Italia, opportunista e cinica, incapace di riformarsi è la palla (con una miccia) ai piedi dell’intera UE. Protezionismi, dazi, problemi della D (e di tanti altri) sono il nuovo alibi per ingannare gli Italiani e ricattare l’UE.

      • Asterix

        Caro Schmit è assolutamente vero quello che Lei dice riguardo alle regole cui ci si vincola quando si aderisce ad una OI. Però tutti hanno approfittato di quelle regole, non solo l’Italia (come insegna la vicenda Airbus) e se è vero che noi abbiamo beneficiato della riduzione dei tassi di interesse, altri Paesi hanno beneficiato della mancata rivalutazione della loro valuta nazionale a fronte del boom delle loro esportazioni (vedi Marco tedesco). Inoltre sappiamo tutti che certe regole sul deficit, per noi oggi inviolabili, sono state derogate in passato quando serviva ad altri Paesi (vedi riforma del mercato del lavoro tedesco o salvataggio delle banche francesi). Ed il fatto che oggi si parli di modificare tali regole sul deficit non avviene su richiesta dei Paesi straccioni ed opportunistici del sud Europa (come l’Italia), ma dai Paesi forti del Nord (Germania) che devono salvare dal fallimento le banche tedesche (Deutsche Bank in primis, di cui pochi parlano) e sostenere le imprese tedesche (colpite dai dazi USA e dal diesel gate). Il povero neo commissario italiano, come scrisse un noto comico romano ispirandosi ad un filosofo indiano, fa solo il maggiordomo degli Stati più potenti. Un saluto

  6. Fabrizio Ferrari

    “Uno scostamento rilevante, associato a un’accelerazione della crescita del Pil dallo 0,3 allo 0,6 per cento”: non vorrei scrivere una scemenza (e comunque si tratta di un dettaglio), ma la crescita del Pil non passa da uno 0.4 tendenziale ad uno 0.6 programmatico?

    • francesco daveri

      giusto, correggiamo. quando ho scritto il pezzo il testo ufficiale della nadef non era ancora disponibile.

  7. Marcomassimo

    Credo che purtroppo sfugga a molti che ci troviamo in una epoca di pensiero economico folle che sta dando i suoi logici risultati catastrofici; la ideologia monetarista-liberista si sta spiaccicando contro le sue intrinseche contraddizioni; stagnazione secolare, QE compulsivi ed inutili, tassi negativi, guerre commericali; ipertrofia finanziaria sempre maggiore; di fronte a tale sfacelo i posteri avranno un moto di compassione che invece pare del tutto mancare ai contemporaei ancora attaccati alla misura di qualche centesimo di punto quando è tutta la calcolatrice che è fuori controllo; senz aun wash out culturale non se ne uscirà MAI.

  8. Giuseppe Cusin

    Concordo con il professor Daveri che dal 2001 “è sempre domani … il momento in cui il deficit e i debiti scenderanno”. Se il governo M5S-PD volesse attuare una politica economica volta alla riduzione del debito e alla crescita dell’occupazione e del PIL, avrebbe una strada percorribile: eliminare le leggi riguardanti (1) gli 80 euro (una regalia senza senso), (2) il reddito di cittadinanza (un incentivo all’evasione fiscale e all’economia sommersa), limitandosi al reddito di inclusione, (3) la quota 100 (che favorisce chi ha un secondo lavoro e/o un reddito elevato), (4) la flat tax per gli autonomi (i quali evadono l’Irpef per circa il 68 per cento dell’imponibile), (5) gli incentivi alle nuove assunzioni (che la letteratura economica riconosce come inutili). Si tratta di provvedimenti volti alla distribuzione di denaro pubblico ai propri elettori. La loro eliminazione consentirebbe una riduzione della spesa pubblica non inferiore ai 40 miliardi di euro, con l’effetto indiretto di ridurre lo spread e gli interessi pagati sul debito pubblico. L’avanzo del bilancio pubblico diventerebbe positivo, e potrebbero essere finanziati: (a) una riduzione del debito pubblico, (b) un aumento degli investimenti pubblici (i quali se selezionati in base ad una seria analisi costi benefici si ripagano da soli), (c) una diminuzione delle aliquote fiscali per i redditi più bassi. Sarebbe interessante capire perché una politica del genere non è attuata.

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