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Due obiezioni sull’autonomia differenziata

Le intese raggiunte dal governo Conte1 con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna andrebbero radicalmente riviste. Perché le materie richieste sono tantissime, forse troppe, e i meccanismi di finanziamento dubbi. Tutto il percorso si basa su un equivoco.

Tante le materie richieste

Dopo la firma, il 28 febbraio 2018, degli Accordi preliminari tra Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e il governo Gentiloni, e l’azione del governo Conte1, il processo di attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione ha assunto un indubbio rilievo. A che punto siamo? Non è chiarissimo.

Nel febbraio 2019, sul sito del Dipartimento per gli affari regionali sono stati pubblicati parti di testi di tre intese (oggi non più disponibili), composti da otto articoli (Titolo I), contenenti: le disposizioni generali, la richiesta delle materie (23 per il Veneto, 20 per la Lombardia, 16 per l’Emilia Romagna) e le modalità di finanziamento. I testi non contenevano la seconda, fondamentale parte (Titolo II) delle intese, cioè quella relativa alle puntuali richieste di trasferimento di funzioni. Sono seguite altre bozze, circolate solo in via ufficiosa: le più recenti sono di metà maggio. Comprendevano anche la seconda parte, con il dettaglio delle intese raggiunte e i casi in cui vi erano ancora posizioni diverse fra il governo e le tre regioni.

Nel frattempo si è sviluppato un ampio dibattito politico e scientifico-accademico, favorito dalle audizioni che si sono tenute presso la Commissione bicamerale sul federalismo fiscale, anche da parte di entrambi gli autori di questa nota, o di organismi come l’Ufficio parlamentare di bilancio o la Corte dei conti . Nelle audizioni, pur nelle varietà di posizioni su singoli aspetti dei testi, è emersa una forte convergenza su due aspetti cruciali.

In primo luogo, l’enormità delle materie richieste. Coprono l’intero spettro delle possibilità previste all’articolo 116, con differenze relativamente lievi fra le regioni. Impossibile ricordarle seppur sommariamente: basti dire che riguardano temi fondamentali per il paese come la regionalizzazione dell’istruzione, la cessione al demanio regionale di fondamentali infrastrutture, l’integrale disponibilità di tutte le risorse per le politiche industriali. Ma anche salute, previdenza, lavoro, energia, paesaggio, beni culturali, ambiente, rifiuti, territorio, acque, protezione civile, fino addirittura alla gestione dei flussi migratori nel caso del Veneto. Non è mai argomentato in che senso corrispondano a caratteristiche peculiari della regione richiedente; né perché e come la loro regionalizzazione porterebbe vantaggi a cittadini e imprese. È evidente che meritano un esame attento e dettagliatissimo, anche considerando che altre regioni hanno avanzato ampie richieste e sono in attesa che si decida per le prime tre. Va data risposta, punto per punto, alle domande: perché quelle competenze dallo stato alla regione? Quali modalità? Quali conseguenze? Perché a quella regione e non alle altre? Che cosa succede alle politiche nazionali dopo il decentramento verso alcuni e non altri?

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Il finanziamento è un nodo centrale

In secondo luogo, il sistema di finanziamento finora ipotizzato è assai particolare. Appare disegnato apposta a vantaggio delle regioni richiedenti, alle quali garantirebbe un incremento anche sensibile di risorse, a danno delle altre, come sottolineato da molti: ad esempio su queste colonne da Leonzio Rizzo e Riccardo Secomandi e in altra sede da uno degli autori con particolare riferimento all’istruzione. Il sistema ha forti analogie con quello vigente per le regioni a statuto speciale e non già (come più correttamente dovrebbe prevedersi) con il meccanismo oggi previsto per quelle a statuto ordinario. Ci si riferisce al decreto legislativo n. 68/2011, attuativo della legge delega sul federalismo fiscale (n. 42/2009); esso peraltro contiene un articolo (il 14) che prevede che nel caso di regionalismo differenziato i principi siano quelli dell’articolo 119.

Il decreto 68, dopo otto anni, è ancora in una fase di stallo, perché per molte funzioni regionali (si pensi al caso dell’assistenza) manca ancora la definizione sia dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) sia dei fabbisogni standard. Ma ciò non può legittimare modalità di finanziamento “su misura”. Occorre uscire dall’equivoco: specialità uguale differenziazione. Il principio di specialità (che informa il quadro giuridico delle regioni a statuto speciale) non equivale al principio di differenziazione sancito nel comma 3 dell’articolo 116.

Uscire da quest’equivoco consentirebbe anche di capire meglio quale procedura occorre più correttamente seguire nel percorso di attuazione del comma 3 che – vale la pena ricordare – non ha una legge di attuazione. Ad esempio, occorrerebbe subito eliminare le Commissioni paritetiche, composte da rappresentati del governo e della regione. Le Commissioni esistono, e hanno un ruolo importante, nel caso delle regioni speciali. In base ai testi delle intese, spetterebbe loro una parte rilevante nella definizione delle risorse che finanziano le funzioni o materie aggiuntive che verrebbero trasferite, in larga misura fuori dal controllo parlamentare: è un ruolo che appare del tutto inopportuno.

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Da qui parte la nuova maggioranza, che affronta il tema con un approccio decisamente più cauto rispetto alla precedente (benché entrambe collochino curiosamente la questione al punto 20 dei propri propositi), ma finora assai vago, anche perché alle prese con equilibri politici non semplici, e alla luce delle ormai prossime elezioni regionali in Emilia-Romagna. L’attività del governo andrà seguita senza pregiudizi e con grande attenzione.

Non crediamo infatti si possa sfuggire: l’enormità delle materie richieste, i meccanismi di finanziamento previsti e il percorso attuativo ne richiedono una radicale revisione. È opinione di chi scrive che il percorso seguito dal Conte1 e i testi definiti andrebbero abbandonati e occorrerebbe seguire una strada differente, sulla quale ci ripromettiamo di fare qualche riflessione nel prossimo futuro.

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  1. Savino

    E in più: le Regioni hanno il personale adeguato? Siamo, poi, sicuri che non si moltiplichi il “sistema Formigoni” o il “sistema Galan”?

  2. Mario Pistu

    Esistono 5 regioni a statuto speciale da che l’Italia è repubblicana. Alcune diverse a loro volta suddivise in provincie tra loro del tutto autonome. L’aspetto cruciale è uno solo: cosa di diverso avrebbe il Friuli V.G. oppure la Provincia Autonoma di Trento rispetto al Veneto ed all’Italia nel suo complesso? Sicuramente molto o molto poco a seconda dei punti di vista. Altrettanto sicuramente una condizione di “differenziazione” nazionale tra loro assolutamente analoga de facto, seppur non de iure. Allora perché a Trento possono trattenere il 99% dell’IVA generata sul territorio mentre a Venezia non potrebbero, nell’ambito dell’intero 116 Cost.? Chiaro, perché una fetta troppo grande di assistenzialismo sarebbe nel secondo caso messa in discussione. Può un diritto assoluto essere relativizzato per convenienza? A sentire molti, troppi, giuristi sì. È opinione di chi commenta, ma anche del 98% dei partecipanti ad una consultazione referendaria che ha visto affluenza del 58% (oltre il 56% di tutti gli aventi diritto di una intera Regione!) che invece non sia possibile discriminare tra loro i cittadini in base alla dimensione del territorio di cui fanno parte. Speriamo i diritti costituzionali prevalgano, sempre.

    • enzo

      Le regioni a statuto speciale non sono nate da motivazioni economiche ma da motivazioni politiche , diplomatiche. In altri termini il “premio” fiscale concesso a queste regioni era considerato un risarcimento/compensazione dell’appartenenza all’italia. Col tempo invece il loro trattamento economico è diventato almeno per molte di loro il principale obiettivo dell’autonomia e nello stesso tempo generato l’invidia delle altre regioni.

  3. bob

    il Paese ha bisogno come il pane di una sola cosa: la deregionalizzazione! Onesto e corretto l’intervento di enzo.
    Ma il problema di fondo è un livello culturale di fondo da far paura ( dicasi analfabetismo non di ritorno come certi sostengono ma di base) …soprattutto in “certi” territori a cui forse più degli altri puoi raccontare di tutto e di più

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