Con le nascite in costante calo, dovrebbe attenuarsi lo squilibrio tra domanda e offerta di posti al nido. Invece non è così. Per ridurre la povertà economica ed educativa tra i bambini, serve una proposta complessiva e non solo l’azzeramento delle rette.
Calo delle nascite e posti al nido
Negli ultimi anni assistiamo a una continua e accentuata diminuzione della fecondità in Italia. Nel 2018 si è registrato un nuovo record negativo: sono stati iscritti all’anagrafe per nascita solo 450 mila bambini circa, il minimo storico dall’unità d’Italia. Il tasso di fertilità era 1,46 figli per donna nel 2010 e all’ultima rilevazione è dell’1,32.
Come conseguenza del minor numero dei bambini in Italia ci si potrebbe aspettare una riduzione dello squilibrio tra domanda e offerta di posti nido, eppure non è così. Anche i pochi bambini che nascono in Italia fanno fatica tuttavia a trovare un posto nido. Secondo i dati riportati dal nuovo rapporto “Il migliore inizio” di Save the Children, un milione di bambini e bambine sono senza asilo nido: 1.171.724 piccoli tra zero e tre anni non possono accedere a una struttura educativa, in totale quelli che ne hanno diritto sono un milione e 420 mila. In altre parole, in Italia tre bimbi ogni quattro non hanno accesso ai nidi, disponibili in questa fascia d’età solo per il 24 per cento della popolazione considerata, undici punti sotto la media richiesta dalla Ue. Una situazione che disincentiva sia la partecipazione al lavoro femminile che la fecondità futura.
Chi investe nei servizi per l’infanzia?
Per spiegare almeno in parte il puzzle della fecondità declinante e degli asili mancanti, dobbiamo analizzare alcuni elementi. In primo luogo, al declino della fecondità si è accompagnato un declino o una stasi degli investimenti dei comuni nei nidi pubblici. Sembra che i governi italiani degli ultimi anni abbiano pensato di raggiungere gli obiettivi di Lisbona aspettando gli effetti del continuo calo demografico. In altre parole, la diminuzione dei nati fa ridurre la domanda di nidi e permette così di evitare di affrontare la questione dello squilibrio tra domanda e offerta di posti, che richiederebbe investimenti adeguati nei servizi per l’infanzia.
Da anni, in Italia si assiste a un “razionamento” dell’offerta di posti nido che avviene tramite la predisposizione di criteri di accesso che assegnano punteggi diversi alle varie caratteristiche del nucleo famigliare: disabilità, svantaggio economico, numero dei figli, lavoro della madre e così via. La scelta dei criteri contribuisce a determinare una selezione delle famiglie che accedono e di conseguenza il contributo che versano, nonché le entrate del comune e la sostenibilità del servizio medesimo.
Come emerge da un mio articolo con Chiara Pronzato e Giuseppe Sorrenti, la maggior parte dei criteri di accesso stabiliti dai comuni italiani tende a privilegiare le famiglie svantaggiate che pagano rette vicino a zero. Di conseguenza, si è verificata una riduzione delle rette medie e la sostenibilità dei nidi pubblici è diventata problematica. Non a caso, i dati Istat mostrano che nel corso degli anni sono diminuiti gli utenti dei nidi comunali a gestione diretta, ovvero con personale del comune, e sono aumentate le gestioni appaltate ad associazioni ed enti privati.
Perché il nido è indispensabile
Tuttavia, è proprio il peggioramento delle condizioni socio-economiche delle famiglie degli ultimi anni che ha reso l’accesso al nido ancora più indispensabile. Oggi, un bambino su quattro in Italia è al di sotto della soglia di povertà. Recenti studi su dati longitudinali condotti soprattutto in Usa e Regno Unito, ma anche in Italia, evidenziano effetti positivi della frequenza del nido per i bambini in condizioni socio-economiche più svantaggiate. Come emerge anche dalle ricerche svolte da Save the Children sulla povertà educativa, gli effetti positivi emergono quando i nidi sono in grado di offrire adeguata disponibilità di accesso, qualità del personale e dell’ambiente.
Nel suo recente discorso programmatico, il presidente del Consiglio, tra le misure per accrescere la partecipazione al lavoro e ridurre la povertà, ha proposto l’azzeramento delle rette di frequenza dell’asilo nido per le famiglie svantaggiate. Alla luce di quanto indicato nelle ricerche appena citate, la proposta va definita con maggior precisione e nel quadro di un progetto più ampio e articolato. Va definito in primo luogo quali famiglie sarebbero esentate dalle rette, visto che quelle al di sotto di una bassa soglia di Isee già non le pagano. Il provvedimento, poi, va accompagnato da un aumento dei posti nido, da una più adeguata distribuzione territoriale e da un miglioramento dei livelli di qualità dei servizi. Sono gli elementi fondamentali per ridurre la povertà economica ed educativa riscontrata tra i minori negli ultimi anni.
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