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Quando la politica pesa sul rating delle agenzie

Le opinioni politiche degli analisti delle agenzie di rating giocano un ruolo nelle loro valutazioni. Ma preoccupa di più la polarizzazione in molti paesi. Potrebbe riflettersi in giudizi tanto divergenti da rendere privo di efficacia il loro ruolo.

Quanto conta l’opinione politica degli analisti

Negli ultimi anni, a partire dalla vicenda Enron del 2001, le agenzie di rating sono state molto criticate. La loro capacità di diagnosticare e prevedere i problemi delle aziende sottoposte alla loro valutazione è stata messa in dubbio, anche a causa di schemi di incentivazione di dubbia efficacia. Più in generale, una delle lezioni della crisi del 2001 era quella di rafforzare il ruolo dei cosiddetti gatekeepers, cioè degli organismi che organizzano il flusso informativo tra imprese e investitori.

Un recente studio di Elisabeth Kemps e Margarita Tsoutoura mette in luce un altro aspetto problematico delle valutazioni delle agenzie: l’affiliazione politica dei loro analisti. Le due economiste studiano il comportamento tra il 2000 e il 2018 di 557 professionisti di Fitch, Moody’s e Standard and Poor’s di cui è conosciuto l’orientamento politico (registrazione come elettore democratico o repubblicano). Il risultato principale è che gli analisti non affiliati al partito del presidente in carica, cioè coloro che sono, per così dire, all’opposizione, tendono a dare rating più bassi per le stesse aziende di altri loro colleghi. L’effetto, visto sull’arco temporale dei quattro anni di una presidenza, è equivalente a un downgrade di un quinto di un gradino della scala di valutazione rispetto ad analisti più allineati con il presidente in carica. Un effetto non enorme, ma di certo nemmeno trascurabile.

Le elezioni presidenziali del 2016 mostrano in modo chiaro il fenomeno. La differenza molto forte tra le piattaforme dei due candidati, Hillary Clinton e Donald Trump, e l’esito in larga parte inatteso della sfida hanno portato a una sensibile differenza di valutazioni tra gli analisti dopo il novembre 2016, con un marcato pessimismo di quelli democratici rispetto ai repubblicani in rapporto alle stesse imprese.

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Perché succede

Ovviamente, il passo successivo delle autrici è quello di capire le ragioni di tale comportamento. In che modo l’affiliazione politica può influenzare la valutazione sul merito di credito di un’azienda? Il fattore più plausibile sembra essere la diversità di vedute sull’efficacia delle politiche che il presidente intende attuare. Se si pensa infatti che avranno un impatto negativo sull’economia, allora anche le imprese ne saranno influenzate. In effetti, il lavoro mostra come gli analisti vicini al partito del presidente siano sistematicamente più ottimisti degli altri e che la polarizzazione politica tende ad amplificare l’effetto. La conclusione del lavoro è dunque che le opinioni politiche degli analisti giocano un ruolo nelle loro valutazioni.

È importante che il fenomeno sia stato ben documentato, ma a mio avviso non è del tutto inatteso. È ingenuo pensare che i rating possano riflettere solo informazioni oggettive e dati di fatto. Quel che deve preoccupare di più è che la crescente polarizzazione politica a cui si assiste in molti paesi possa riflettersi anche in giudizi così divergenti da rendere poco credibile e sostanzialmente privo di efficacia il ruolo delle agenzie di rating.

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L’economia dello zero gialloverde

  1. Pier Luigi

    Come i molti articoli pubblicati dalla “Voce”, che sono decisamete antigovernativi!

  2. Giuseppe GB Cattaneo

    Molto interessante…

  3. Henri Schmit

    Molto pertinente l’ultimo comma. Ma sarebbe stato ingenuo pensare il contrario. Non è l’opinione politica degli analisti che deve preoccupare, ma la contrapposizione sistematica su questioni cruciali: Brexit o remain, euro e politiche convergenti o monete e politiche fiscali separate, protezionismo o mercati aperti, economia pubblica o libera impresa, ambiente o profitto, etc. Nessuna democrazia può funzionare senza la condivisione di valori fondamentali, nessun’economia può fiorire senza qualche stabilità nelle condizioni che devono rispettare gli operatori. Il rating dipende ovviamente da prese di posizione su queste alternative fondamentali. Il problema non è il rating, ma l’opinione pubblica frammentata e litigiosa e il consenso accademico introvabile. In queste condizioni chi la spara più grossa, usa qualsiasi mezzo, ha ragione e chi casualmente detiene il potere può fare quello che vuole, perché nessun consenso lo limita. Se non crediamo più in poche ‘verità’ condivise, tutto è pure rapporto di forza. I populisti di oggi e di ieri l’hanno capito alla grande. L’altra volta è finita in una guerra mondiale.

  4. Francesco

    Interessante visione, se non fosse che il rating è pesantemente ancorato alla metodologia, da cui difficilmente ci si riesce a spostare di 2 o 3 notch, e che il rating deve essere discusso e votato da un comitato che non è composto solamente dal “Lead Analyst” ma anche da altri analisti con background diversi. Non voglio sminuire la figura del Lead Analyst ma soprattutto in aziende così grandi e importanti, ogni componente del comitato vuole far pesare la propria opinione molto fortemente. Fonte: ho lavorato da Moody’s per 5 anni.

  5. Alberto

    Mi chiedo se non fosse il caso di rendere pubblico il partito di affiliazione degli analisti. Cosí facendo si dovrebbe ristabilire la credibilitá delle agenzie di rating, dato che gli operatori sconteranno il partito di affiliazione dai giudizi.

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