Alla Camera si discute una proposta per l’istituzione di una “nuova Imu”. Ha una prospettiva limitata, che non tocca alcuni problemi fondamentali dell’imposizione immobiliare e dell’autonomia tributaria degli enti locali. Appare come un’occasione mancata.
La complessità della tassazione immobiliare locale
È in discussione alla Camera una proposta di legge per l’istituzione di una “nuova Imu” (AC 1429). Persegue la semplificazione del quadro della tassazione immobiliare locale con l’accorpamento Imu/Tasi (rispettivamente, imposta municipale unica, che è un’imposta diretta applicata al patrimonio immobiliare, e tributo per i servizi indivisibili, ossia tutti quei servizi comunali di cui beneficia il cittadino, come l’illuminazione, l’arredo urbano ecc.). Tale accorpamento di fatto è già stato conseguito con gli interventi che si sono susseguiti dal 2011, e propone il riordino della legislazione vigente, assumendone, come fosse un Testo unico, la sostanza. La limitata prospettiva della proposta di legge non aggredisce alcuni problemi fondamentali dell’imposizione immobiliare e dell’autonomia tributaria degli enti locali. Occorrerebbe una riforma più decisa, con una più ampia visione strategica, così sembra più un’occasione mancata.
Nel nostro sistema fiscale la convivenza tra due nature del tributo immobiliare locale risulta molto difficile. Da un lato, il prelievo patrimoniale è giustificato dal principio della capacità contributiva, da un altro, è giustificato dal principio del beneficio, come corrispettivo di quanto i contribuenti ricevono di beni e servizi pubblici, divisibili ma anche indivisibili. Nel valore dell’asset si capitalizzano infatti i benefici. Ne consegue che i soggetti passivi cambiano: il proprietario nel caso di prelievo patrimoniale; l’utilizzatore, nel caso del corrispettivo ai servizi, che può anche non essere proprietario. Cambiano basi imponibili, aliquote, sistemi agevolativi, modalità di dichiarazione, accertamento e versamento. La tipologia stessa di tributo muta: l’imposta, che finanzia i servizi generali, come nel caso dell’Imu, la tassa, volta invece a finanziare servizi specifici, come nel caso della Tasi e la tariffa, un prezzo fissato dal settore pubblico per determinati servizi, come nel caso della Tari. Impropriamente quindi il sistema italiano definisce come imposta comunale unica (Iuc) questi tre tributi.
L’importo dell’Imu ammontava nel 2014, prima dell’esenzione della prima casa, a circa 20 miliardi di euro, mentre il gettito Tasi complessivo era pari a 4,6 miliardi. La combinazione originaria Imu/Tasi era proprio il frutto del tentativo di armonizzare la complessa natura della tassazione immobiliare locale. Dal 2016 i due tributi si sovrappongono, quasi senza distinzione, con un gettito complessivo di 20 miliardi (18,8 + 1,1): di fatto l’accorpamento Imu/Tasi, con uno sgravio complessivo di 5 miliardi, ha avuto luogo a partire dal 2016 e la nuova Imu lo sancisce.
I tre problemi centrali
La soluzione, pur con risparmi di spese gestionali e semplificazione per i contribuenti, ha lo svantaggio di irrigidire nettamente il sistema con l’abolizione definitiva della Tasi. La nuova Imu poi non affronta tre problemi di fondo: (i) l’opportunità di mantenere esenti le abitazioni principali; (ii) il mancato allineamento dei valori catastali ai valori effettivi dei fabbricati; (iii) la ridotta manovrabilità dell’imposizione patrimoniale ricorrente, verso l’alto, in un quadro generale di insufficiente autonomia tributaria locale.
La motivazione principale della scelta di abolire la tassazione sulle abitazioni principali è quella di riconoscere nella casa di residenza un bene primario, vista anche l’ampia diffusione della proprietà, il cui diritto va salvaguardato per tutti i cittadini. Riceve supporto anche dalla costatazione che il costo dell’abitazione è molto alto per le famiglie (un quinto del reddito), tanto che siano in affitto quanto che si trovino nella necessità di sostenere un mutuo per l’acquisto. Il fatto di ricomprendere nella base imponibile dell’Imu le prime case in unità abitative classificate nelle categorie catastali di tipo signorile, ville, castelli e palazzi di pregio, sembrerebbe indicare anche un intento redistributivo del carico fiscale.
Queste motivazioni, se coerenti con la forma di tassazione su base patrimoniale (imposta), sembrano deboli nel caso di una service-tax (tassa) come la Tasi. Riformare l’Imu senza procedere alla riforma del sistema estimativo catastale, avviata con la legge n. 23/2014, significa cristallizzare un sistema iniquo. Poiché il divario tra le rendite catastali e i valori di mercato non è uniforme, sono favorite le aree dove i prezzi sono più alti e i valori catastali più obsoleti (comuni turistici rispetto agli altri, centri storici rispetto alle periferie, e così via).
Quanto all’autonomia tributaria, la manovrabilità della nuova Imu è relativa al range delle aliquote proposte. Per i fabbricati non abitazione principale si va dall’aliquota base del 0,76 per cento al 1,06 per cento; per le abitazioni principali nelle categorie non esenti si va dallo 0,4 allo 0,6 per cento e per di più è contemplata una detrazione di 200 euro; per i fabbricati rurali strumentali l’aliquota non può essere superiore allo 0,1 per cento; per i fabbricati destinati dalle imprese costruttrici alla vendita si va dallo 0,1 allo 0,25 per cento. Per quanto riguarda gli immobili per uso produttivo, la cat. D, il cui gettito è riservato allo stato, l’aliquota base è il 7,6 per cento, ma i comuni possono applicare un’addizionale fino allo 0,3 per cento. Per tutte queste tipologie di immobili è previsto che i comuni possano deliberare l’azzeramento del corrispondete tributo, per cui la nuova Imu è di fatto facoltativa. Sono poi ammesse differenziazioni di tipo agevolativo di alcune categorie di fabbricati, ma nei limiti stabiliti dalla legge.
L’autonomia della nuova Imu è quindi elevata, ma solo verso il basso; è invece contenuta verso l’alto. Stante l’impiego da parte di un gran numero di comuni dell’aliquota massima, la possibilità di ottenere ulteriori risorse, specialmente per quelli con un territorio economico più debole, è di fatto preclusa.
Tra le possibili varianti alla proposta di legge, per ridare flessibilità al sistema, due in particolare ci paiono percorribili e meritevoli di attenzione: (i) riportare il gettito dei fabbricati della cat. D (4,7 miliardi) ai comuni, con ampia possibilità di differenziazione dell’aliquota base. Molte delle motivazioni per l’attribuzione allo stato della tassazione dei “capannoni” industriali sono venute meno; (ii) mantenere facoltativa l’opzione di applicare la Tasi, ma totalmente disallineata rispetto all’Imu per la base imponibile, per le aliquote e per le esenzioni, ribadendo la sua natura di service-tax.
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