Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle affermazioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni sulla sentenza della Cedu nei confronti della nave Sea Watch 3.
Le dichiarazioni
A nulla è valso l’alt della Guardia di finanza per la nave umanitaria Sea Watch 3, che mercoledì 26 giugno ha forzato il blocco ed è entrata in acque italiane di fronte al porto di Lampedusa. Il capitano Carola Rackete l’aveva già annunciato: qualunque fosse stata la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), la Sea Watch sarebbe sbarcata in Italia. Il 21 giugno Rackete e i 42 migranti ancora a bordo si erano in effetti appellati alla Corte di Strasburgo con una richiesta di misure provvisorie per consentire lo sbarco dei migranti; la Corte, tuttavia, aveva respinto l’istanza, non ravvisando motivi sufficienti per imporre la sospensione del divieto di ingresso firmato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Alla decisione della Corte diramata martedì 25 è subito seguito un tweet di Salvini:
❗️La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha respinto il ricorso della #SeaWatch.
Anche da Strasburgo si conferma la scelta di ordine, buon senso, legalità e giustizia dell’Italia: #portichiusi ai trafficanti di esseri umani e ai loro complici.— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 25 giugno 2019
La soddisfazione del vicepremier riecheggia anche nelle interpretazioni fantasiose di alcune testate (“anche Strasburgo sta al fianco del Viminale, di Salvini e della linea dei porti chiusi”). Dopo la violazione del blocco di mercoledì, è inoltre l’onorevole Giorgia Meloni ad avvalorare questa versione con un video sui social molto discusso:
“(…) La Sea Watch viola i nostri confini, entra nelle acque territoriali italiane con l’obiettivo di portare gli immigrati clandestini che ha a bordo sul nostro territorio nazionale. (…) Lo fa anche contro il parere della Corte europea di Strasburgo che proprio ieri aveva detto che l’immigrazione non è un diritto degli esseri umani e che quindi quelle persone non potevano essere portate in Italia se il governo italiano non voleva”.
Secondo Salvini, Meloni e una parte della stampa, la Corte europea, pronunciandosi contro la richiesta della Sea Watch, avrebbe espressamente avallato la linea dura dei porti chiusi, decretando l’inviolabilità della sovranità territoriale italiana. Ma le cose non stanno proprio così e per chiarirlo è sufficiente esaminare il comunicato stampa diffuso dalla Cedu.
Cosa ha detto davvero la Corte europea
La decisione della Cedu e il successivo ingresso della Sea Watch 3 nelle acque territoriali italiane giunge alla fine di una stremante odissea durata due settimane, le cui tappe principali sono riassunte nella figura 1.
Figura 1
Il divieto per la Sea Watch 3 di ingresso, transito e sosta nelle acque italiane emesso da Salvini fa riferimento alle misure contenute nel decreto sicurezza bis, che tra le altre cose permette al ministero dell’Interno di vietare l’attracco ad alcune navi “per motivi di ordine e sicurezza”, pena il pagamento di multe da migliaia di euro. Il testo ha esteso a tal punto le competenze del governo e del ministero dell’Interno in materia di immigrazione – scavalcando per esempio le convenzioni internazionali – che diverse fonti (qui, qui e qui) lo ritengono potenzialmente incostituzionale.
Dopo che il Tribunale amministrativo del Lazio ha respinto la richiesta di sospendere temporaneamente gli effetti del divieto (senza però rigettare il ricorso, come hanno erroneamente fatto trapelare fonti del Viminale), i legali della Ong tedesca si sono appellati alla Cedu. I ricorrenti, cioè il capitano della Sea Watch 3 e i migranti a bordo, hanno invocato gli articoli 2 (diritto alla vita) e 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, chiedendo di essere sbarcati subito con un provvedimento provvisorio d’urgenza.
Come si legge sul sito della Cedu, la Corte può stabilire misure provvisorie obbligatorie per uno stato soltanto in casi eccezionali; in particolare, quando considera che il ricorrente sia esposto al rischio di un danno grave e irreversibile in assenza delle misure in questione. Sempre sul sito si legge altrettanto chiaramente che gran parte delle domande di misure provvisorie sono generalmente rigettate.
Nel caso della Sea Watch 3, si intende dal comunicato, la Corte ha rivolto alcune domande alle parti. Al governo è stato chiesto quante persone erano state già sbarcate dalla nave, il loro possibile stato di vulnerabilità, le misure previste, nonché la situazione attuale a bordo della nave. Dopo aver esaminato le risposte ricevute, martedì 25 giugno la Corte ha respinto la richiesta di applicare un provvedimento provvisorio di sbarco, come del resto aveva già fatto a gennaio.
Ma cosa significa esattamente? Come scrive anche il Foglio, i giudici di Strasburgo hanno accertato che già dal 15 giugno tutte le persone che avrebbero potuto subire un deterioramento delle loro condizioni di salute erano state sbarcate e adeguatamente assistite. La Corte ha quindi appurato come non fosse presente, in quel momento, alcuna circostanza eccezionale che esponesse al rischio di un pregiudizio irreparabile la salute e la vita dei migranti. Si tratta semplicemente, dunque, di una valutazione circostanziale sulle condizioni a bordo dell’imbarcazione, che niente ha a che vedere con il beneplacito alla politica dei porti chiusi di Matteo Salvini. Tra l’altro, la decisione cautelare della Corte resta valida soltanto fino a che le condizioni non dovessero mutare.
Oltre a questo, la Cedu ha sottolineato l’obbligo dello stato italiano di continuare a fornire assistenza ai passeggeri della nave; e ha affermato che questa decisione non pregiudica alcuna valutazione futura in ordine alla ammissibilità e alla fondatezza del ricorso. In altre parole, la verifica dell’eventuale inadempimento dell’Italia agli obblighi discendenti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo è rimandata alla fase di merito del giudizio, mentre a questo stadio la Corte si è soltanto limitata a respingere la necessità di un intervento tempestivo.
Ancora più fantasiosa è l’interpretazione di Giorgia Meloni, secondo la quale la Cedu avrebbe affermato che “l’immigrazione non è un diritto degli esseri umani”. Nulla del genere è ravvisabile nel pronunciamento della Corte. A ben vedere, il “diritto a migrare” è in qualche modo sancito dall’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, attualmente firmata da tutti gli stati aderenti alle Nazioni unite: ogni individuo ha infatti diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni stato, ma ha anche il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di farvi ritorno.
Il verdetto
Con la sua decisione sulla Sea Watch 3, la Cedu non “conferma la scelta di ordine, buon senso, legalità e giustizia dell’Italia”, come affermato da Matteo Salvini. Né tantomeno stabilisce che l’immigrazione non sia un diritto degli esseri umani. La Corte si limita a respingere, per il momento, la richiesta di applicare un provvedimento provvisorio di sbarco. Si capisce però con facilità perché anche una decisione cautelare come questa sia comodamente spendibile sui social network. Per queste ragioni, le affermazioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono nel complesso FALSE.
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