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Autogol sui Pir: meno efficaci e più rischiosi

La legge di bilancio 2019 ha modificato gli investimenti ammissibili dei piani individuali di risparmio. L’obiettivo è condivisibile: convogliare il risparmio alle imprese più piccole. Ma i nuovi vincoli non permetteranno di ottenere i risultati sperati.

I Pir prima e dopo le modifiche

La legge di bilancio 2019 ha modificato gli investimenti ammissibili dei piani individuali di risparmio (Pir). Il decreto attuativo, pubblicato a maggio, ha sollevato il velo di incertezza che aveva sostanzialmente bloccato le sottoscrizioni di nuovi piani. Sebbene l’obiettivo delle modifiche – convogliare il risparmio alle imprese più piccole – sia condivisibile, le scelte sono poco efficaci e rendono i Pir più rischiosi e meno attraenti.

I Pir, introdotti con la legge di stabilità 2017, offrono importanti incentivi fiscali per favorire gli investimenti di lungo termine in imprese italiane medio-piccole. Nella formulazione originaria, dovevano soddisfare tre condizioni. Primo, un investimento di almeno cinque anni. Secondo, almeno il 70 per cento dell’investimento doveva essere in strumenti finanziari emessi da società italiane; e di questo 70, almeno il 30 per cento in strumenti emessi da società non quotate sugli indici azionari maggiori. Terzo, doveva trattarsi di un investimento non superiore a 30 mila euro l’anno e 150 mila euro in totale.

Dal punto di vista della raccolta, i Pir sono stati un grande successo. Nel 2018, i circa 70 fondi che rispettavano la normativa, con un patrimonio di circa 17 miliardi, hanno raccolto circa 4 miliardi di euro, ovvero il 40 per cento della raccolta netta del risparmio gestito italiano. Tuttavia, i Pir hanno acquistato soprattutto strumenti finanziari nel mercato secondario e non hanno contribuito, quantomeno direttamente, a dare nuove risorse alle imprese medio-piccole.

La nuova normativa, con l’obiettivo di favorire l’investimento diretto in queste imprese, prevede due ulteriori vincoli. I Pir dovranno impegnare almeno il 3,5 per cento del piano in fondi di venture capital (Fvc) che investano in imprese italiane medio-piccole, e un altro 3,5 per cento direttamente in strumenti di capitale emessi da queste imprese.

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Nuovi vincoli e nuovi rischi

I nuovi vincoli aumentano notevolmente sia i rischi che i costi dei Pir. Primo, gli investimenti in fondi di venture capital e nel capitale di imprese medio-piccole sono molto rischiosi. Per esempio, una recente ricerca mostra che negli Stati Uniti solo un terzo degli investimenti di venture capital ha successo. Sebbene i Fvc non investano in un solo progetto, diversificando quindi il rischio, restano comunque rischiosi. D’altronde, anche acquistare cento biglietti della lotteria consente di diversificare il rischio, ma non di ridurlo più di tanto.

Secondo, questi investimenti sono poco liquidi. Dal momento che i Pir sono offerti attraverso fondi aperti, e gli investitori possono in ogni momento liquidare la propria quota, vi è il rischio che, in un periodo di turbolenza sui mercati finanziari, tutti cerchino di farlo contemporaneamente, portando al crollo del valore degli investimenti.

Terzo, i costi di un fondo di venture capital, in termini di commissioni, sono elevati per coprire le spese di individuazione, e poi monitoraggio, degli investimenti.

È probabile che i nuovi vincoli portino a una forte riduzione della raccolta dei Pir. Peccato, perché anche se non sempre hanno fornito nuove risorse alle imprese medio-piccole, gli investimenti dei Pir hanno portato liquidità sul mercato secondario, riducendo il costo del capitale in caso di nuove emissioni di strumenti finanziari. In più, il grande successo dei Pir evidenzia la grande sensibilità del risparmio degli italiani a variazioni dell’imposizione fiscale. Una riduzione generalizzata, anche verso altri strumenti finanziari e con meno vincoli, porterebbe maggiori risorse alle imprese, grandi e piccole.

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Il Punto

  1. Camillo

    Buongiorno, l’obiettivo di convogliare il risparmio degli italiani verso il finanziamento delle PMI non può che essere ottenuto esponendoli al rischio. Quello che lei chiama “riduzione del costo del capitale” era l’inizio di una bolla speculativa (minor costo del capitale per l’impresa = minor rendimento atteso per l’investitore). Non vedo alcun aspetto interessante nei vecchi PIR né in quelli “riformati”. Si lamenta la scarsa cultura finanziaria degli italiani e poi li si incentiva ad investire in strumenti poco liquidi e poco diversificati …

  2. Michele

    La concezione base dei PIR è profondamente sbagliata . Serve solo a generare maggiori commissioni per i gestori con il miraggio dei risparmi fiscali.

  3. Federico Leva

    Questi nuovi limiti, e la prevista riduzione della raccolta, sono tali da ridurre l’attrattività delle nuove quotazioni su AIM Italia, che è stato forse uno dei risultati principali di questa spinta della raccolta verso le società quotate in Italia (insieme al sussidio fiscale per i costi di quotazione)?

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