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Sbloccare la programmazione, non solo i cantieri

In Italia le infrastrutture di trasporto non ripartiranno solo grazie a un pur condivisibile decreto sbloccacantieri. È necessaria la ripresa della programmazione di settore, metodologicamente fondata, che ponga le basi di una crescita di lungo periodo.

Le norme dello sbloccacantieri per il trasporto

L’Italia soffre da tempo di una significativa stagnazione degli investimenti pubblici in infrastrutture , dovuta a evidenti e riconosciuti vincoli di bilancio e a una forte pressione amministrativa che finisce col rallentare i meccanismi di spesa per opere di costruzione e riqualificazione già approvati.
Ora, il cosiddetto “decreto sbloccacantieri” intende rendere più snella la normativa di settore in modo da velocizzare le procedure di spesa per raggiungere gli obiettivi macroeconomici definiti nel Documento di economia e finanza di una crescita reale pari allo 0,1-0,2 per cento del Pil.Il decreto vuole rendere più leggera la regolazione degli appalti pubblici, pur comportando alcuni rischi e senza incidere sulla vera questione del settore degli investimenti pubblici, che continua a essere una programmazione ancora lacunosa.
Per il settore delle infrastrutture di trasporto, vi sono due norme che paiono essere di particolare rilevanza.
Innanzitutto, una maggiore flessibilità nel ricorso al subappalto, eliminando la previsione di legge di segnalarne almeno una terna al momento dell’offerta e l’innalzamento della soglia subappaltabile al 50 per cento.
In secondo luogo, l’innalzamento della soglia per l’affidamento diretto dei lavori, previa consultazione di almeno tre operatori, da 40 mila a 200 mila euro, e addirittura fino a 5 milioni in alcuni casi, aumentando il numero di imprese invitate alla gara. Sui subappalti, naturalmente, il pensiero corre subito alla permeabilità del settore delle costruzioni rispetto alla criminalità organizzata: il rischio potrebbe, però, essere gestito attraverso la definitiva attuazione del dettato normativo relativo al sistema di rating delle aziende, già previsto dal Codice degli appalti, ma non ancora pienamente adottato. L’innalzamento della soglie per l’affidamento diretto dei lavori, norma che di fatto si applicherebbe in misura maggiore ai lavori di progettazione, è invece assimilabile a un’estensione dell’area di discrezionalità da parte dell’amministrazione pubblica che se da un lato potrebbe garantire un beneficio in termini di una maggiore fluidità di spesa, dall’altro comporterebbe il rischio (e questa sarebbe la parte di costo) di una cattiva selezione delle imprese e una distribuzione inefficiente dei fondi pubblici.

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Come selezionare gli interventi

Nel commentare positivamente il decreto sbloccacantieri, la Corte dei conti, nell’audizione dei giorni scorsi ha segnalato che “Scarsa attenzione, invece, appare dedicata al procedimento interno attraverso il quale l’amministrazione perviene alla decisione di realizzare l’opera” (pagina 16). Il decreto, infatti, si pone l’obiettivo di rendere più veloce la spesa pubblica, nel tentativo di aumentare la crescita dello 0,1 per cento attraverso l’incremento della domanda aggregata, ma non sembrano esserci ancora indirizzi chiari su come selezionare gli interventi da finanziare, oggi come nel futuro, indirizzi invece in grado di influenzare la crescita di lungo periodo.
Il Codice degli appalti, nel prevedere la valutazione (l’analisi costi-benefici) dei grandi progetti di investimento, chiariva la necessità di definire “scenari di traffico” in capo al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in modo da:

  1. a) evitare l’inflazione di progetti derivante da una domanda stimata in maniera inconsistente;
  2. b) ridurre, per quanto possibile, l’arbitrarietà che spesso caratterizza la valutazione (o la giustificazione) degli investimenti.

Naturalmente, la definizione di macro-scenari di traffico non passa solo per la calibrazione e validazione di un opportuno modello, ma anche attraverso la stesura di un Piano dei trasporti, documento che manca nel panorama italiano da 18 anni (l’ultimo risale al 2001), sostituito negli ultimi anni dall’“Allegato infrastrutture” del Def.

Le molte critiche che si sono sollevate pochi mesi fa a proposito dell’analisi costi-benefici della Torino-Lione spesso rimarcavano la necessità di considerare il progetto come calato in un programma di investimenti più vasto (le reti europee), così che anche la valutazione possa assumere un ruolo molto diverso: non più limitata a giudicare l’opportunità del singolo intervento, sarebbe chiamata a partecipare al processo di pianificazione, andando a fornire informazioni circa l’interazione tra progetti e tra politiche, oltre che a stimare gli effetti economici di area vasta.

In definitiva, l’Italia delle infrastrutture di trasporto si sbloccherà non tanto grazie a un pur condivisibile sbloccacantieri, quanto grazie a una ripresa della programmazione di settore, che sia metodologicamente fondata.

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Il Punto

  1. Savino

    Rivoluzionare completamente, anche come generazione, il personale degli uffici statali, parastatali e locali che si occupano di opere pubbliche. Ci vuole una ventata di aria fresca in ambienti dove da decenni si afferrano solo mazzette per affidare, in cambio, appalti, grandi e piccoli, dal contenuto scadente ed inutile. La riduzione dei progetti inflazionati e dell’arbitrarietà negli affidamenti la possono solo fare i ragazzi appena usciti dal Politecnico e non certo dei geometricchi (anche di bassa qualifica) che hanno avuto la fortuna, nei tempi d’oro dello sperpero di spesa pubblica, di entrare nella p.a. Sul ponte Morandi di Genova già si sta sbagliando di nuovo, affidando parte progettistica e futuri collaudi alla vecchia guardia e non alle idee innovative, tecnicamente ed eticamente, dei giovani.

  2. giovanni vetritto

    Caro Marco, il nostro amato Nitti a inizio 900 scriveva pagine fondamentali su strade e ferrovie inutili. Serve una programmazione di settore ma anche una programmazione integrata di territorio, strategica, che si fa in tutto il mondo tranne qui.

  3. Pasquale

    Condivido pienamente l’analisi fatta dal prof. Percoco e mi permetto di aggiungere che, oltre ad una programmazione metodologicamente fondata (e basata sulla conoscenza reale del territorio), è indispensabile un aumento della produttività dell’apparato burocratico, senza alcuna eccezione. Sono pertanto d’accordo (anche se solo parzialmente) sul commento fatto dal sig. Savino e sulla necessità di un rinnovamento del personale degli uffici. Ma, pur partendo da una considerazione giusta “scade” quando colpevolizza unicamente i geometri, utilizzando un termine dispregiativo da ominicchio! La programmazione, la progettazione delle opere pubbliche (che hanno deturpato il nostro territorio e le nostre città) é stata realizzata da fior di ingegneri, architetti e urbanisti ( o prof. ing, prof. arch.), tutti dipendenti pubblici (dirigenti e figure apicali della P.A.) a tempo pieno o parziale. Lo ZEN di Palermo (arch. V.Gregotti), il quartiere Scampia di Napoli ( arch. e urbanista F. Di Salvo), sono esempi (e purtroppo non gli unici) su cui ogni commento è superfluo. Comunque, un aspetto su cui andrebbe fatta più di una riflessione è rappresentato dal numero eccessivo delle leggi che, oltre ad essere fatte male, non vengono applicate per impossibilità oggettiva o per mancanza dei provvedimenti attuativi (il codice degli appalti pubblici su cui interviene lo sblocca cantieri è l’esempio attualissimo). Il livello della corruzione è altissimo proprio a causa delle moltissime leggi(Tacito)

    • Savino

      Molti dirigenti di cui lei parla non hanno neanche la laurea, cioè non hanno neanche i titoli per essere dirigente. Abbiamo dirigenti ominicchi non laureati il cui lavoro è prendere tangenti e giovani plurilaureati a spasso o in cerca di fortuna all’estero. Vergogna.

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