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L’Unione non si fa con l’Europa delle nazioni

Troppo facile imputare all’Europa anni di decisioni mancate. Soprattutto se la responsabilità è dei singoli paesi, che con un sistema di veti incrociati possono paralizzare le riforme. Quando è l’Unione Europea a decidere, il meccanismo non si inceppa.

Come si decide in Unione europea

L’Europa così com’è non funziona. È uno slogan battuto dalle bandiere politiche più variegate, da destra a sinistra, che però nasconde gran parte della storia. C’è effettivamente un’Europa che non funziona ed è quella delle riforme mancate e incomplete, quella degli interessi particolari degli stati, che non riesce a decidere e che quindi si ferma. Ma l’Europa è anche fatta di meccanismi virtuosi, che hanno portato benefici tangibili nella vita dei cittadini. Qual è quindi la discriminante tra l’Europa che decide e l’Europa che si arena?

La Ue è un meccanismo complicato, risultato di una storia complicata e ancora in divenire. Si tratta di un’Unione imperfetta e soprattutto incompiuta che ha un margine di manovra ben delimitato dai Trattati, che ne stabiliscono rigorosamente obiettivi e campo di azione.

La funzione legislativa prende avvio dalla proposta della Commissione, organo indipendente e di controllo, ed è poi esercitata congiuntamente dal Parlamento europeo, che rappresenta gli interessi dei cittadini, e dal Consiglio, che invece tutela gli interessi dei singoli stati. Nonostante il ruolo delle ultime due istituzioni sia formalmente paritetico, di fatto le regole di voto del Consiglio rendono molte volte la sua azione ostativa. Questo perché il processo decisionale del Consiglio prevede ampie maggioranze per l’approvazione degli atti legislativi e, in molti casi (tutt’altro che marginali), l’unanimità. Spesso quindi i singoli stati si trovano fra le mani un sostanziale diritto di veto, che finisce per rallentare o addirittura bloccare il processo legislativo.

L’Unione che funziona…

Ciononostante, ci sono molti esempi da portare quando si parla di Unione europea che funziona. Non a caso si tratta di settori in cui la Commissione ha competenze esclusive, come la politica commerciale comune e la politica della concorrenza, segno che quando gli stati membri delegano all’Unione, il processo decisionale è più snello ed efficiente.

La politica commerciale comune ha ottenuto risultati importanti non solo per l’Europa in sé, ma anche per lo sviluppo di un più libero commercio internazionale. Attualmente la Ue è vincolata in 33 accordi commerciali e molti altri sono in negoziazione o in fase di ratifica. Gli ultimi entrati in vigore sono quello con il Giappone e quello con il Canada, mentre altri sono stati appena siglati con Vietnam e Singapore. Secondo la Commissione, grazie a tutte le iniziative europee di politica commerciale, circa il 76 per cento dei beni importati entra nella UE senza dazi, a beneficio dei consumatori europei che possono godere di prezzi più bassi. Il che ha consentito un risparmio pari a 60 miliardi all’anno a partire dagli anni Novanta.

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La politica della concorrenza è un altro esempio di Europa che funziona. La Dg concorrenza ha avviato molte azioni nel settore digitale, come le tre multe negli ultimi due anni a Google per abuso di posizione dominante e le indagini su Amazon, prima sugli accordi di distribuzione tra la società e gli editori ebook e più recentemente su un eventuale abuso di posizione dominante nei servizi di logistica. Nei settori più tradizionali, l’ultima azione altisonante della direzione concorrenza ha impedito la fusione tra la tedesca Siemens e la francese Alstom (segno che anche i francesi e i tedeschi sono soggetti alle regole europee). La fusione avrebbe infatti ridotto la concorrenza nel settore della segnaletica ferroviaria senza il contrappeso di una maggiore efficienza.

…e quella che non sa decidere

La politica migratoria è invece l’esempio più emblematico dell’impasse in cui ristagna l’Unione europea quando l’ultima parola spetta agli stati membri. L’Italia ha fatto appello più volte al sostegno dei partner europei per fronteggiare l’emergenza sbarchi, ma l’ultimo quinquennio è stato caratterizzato da molte occasioni perse. La più vistosa è la mancata riforma del regolamento Dublino III, secondo il quale il paese di primo ingresso in Europa è automaticamente responsabile per il trattamento delle richieste di asilo. Dopo anni di negoziati, nel 2017 il Parlamento europeo aveva approvato una proposta di riforma assai coraggiosa, introducendo un sistema di quote per la gestione delle domande di asilo e condizionando i fondi europei al rispetto della responsabilità condivisa. Quel testo è stato respinto dal Consiglio europeo di giugno 2018, sotto la pressione del gruppo di Visegrad e con la sostanziale accondiscendenza del governo italiano. Eppure, l’assenza di progressi su Dublino costituisce un rischio molto maggiore per i paesi più esposti a una ripresa delle migrazioni irregolari via mare, Italia compresa.

L’Unione bancaria pone problemi analoghi. A sette anni dall’avvio, il bilancio è deludente: la realizzazione del progetto è lacunosa e incompleta, soprattutto per il nodo irrisolto del terzo pilastro, quello del Sistema europeo di assicurazione dei depositi, bloccato dai veti incrociati in Consiglio. Per realizzarlo, paesi come la Germania e l’Olanda vorrebbero introdurre limiti all’esposizione delle banche verso i titoli sovrani più rischiosi. Proposta fieramente avversata da altri paesi, con l’Italia in prima fila, restii a rivedere le regole senza un meccanismo di condivisione finanziaria dei rischi. La conclusione è inevitabilmente la paralisi.

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Quale direzione per il progetto europeo?

In un clima di generale sfiducia nei confronti delle istituzioni europee, è essenziale distinguere ruoli e responsabilità degli organi comunitari da quelle degli stati membri, ricordando che il Consiglio rimane l’organo più forte e che le decisioni al suo interno richiedono spesso l’unanimità o quantomeno un ampio consenso. Troppo facile imputare tutte le sciagure nazionali alla disfunzionalità dell’Europa, esentando i singoli governi da responsabilità vecchie e nuove. Guardando alle sole materie di cui l’Unione può occuparsi, l’esperienza di questi anni ha dimostrato che, nonostante le numerose proposte della Commissione e del Parlamento, i paesi membri non hanno saputo trovare un accordo su molte questioni decisive quando la palla era nella loro metà campo. È vero che il metodo intergovernativo è stato usato per materie divisive per le quali una governance centralizzata avrebbe rischiato di creare risultati indesiderati per alcuni paesi. Ma con l’ottava legislatura alle spalle, dobbiamo prendere atto che l’Europa delle nazioni e degli interessi particolari non funziona. Ripensare l’Unione significa necessariamente ridurre le occasioni in cui il Consiglio decide all’unanimità e andare oltre il metodo intergovernativo. Altrimenti, ognuno per sé.

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Il Parlamento è europeo, le leggi elettorali no

15 commenti

  1. Giuseppe De Arcangelis

    In realtà anche in materia di politica commerciale gli stati membri, addirittura i parlamenti regionali, mantengono un potere importante di veto. Si pensi a quanto accadde con il CETA da parte del parlamento della Vallonia. Da settembre 2017 il CETA è entrato in vigore in buona parte, ma non totalmente, aspettando la ratifica dei parlamenti nazionali. E alcuni parlamenti (incluso quello italiano) minacciano di non ratificare. Nonostante questo, è vero che per la politica commerciale la leadership europea è risultata più efficace, ma anch’essa è a rischio. Il che non depone bene per le negoziazioni prossime: chi si fiderà della parola del commissario per la politica commerciale?

  2. Savino

    Presto le patriette e i patriottini saranno spazzati via dagli eventi che riguardano tutti gli esseri umani. Il colonialismo imperiale del passato è già un boomerang, così come la centralità della finanza. Altro che Malthus, sarà l’istinto della fame a fare la differenza.

  3. umberto

    A processi transnazionali(in ecologia,in economia,in sicurezza) non si può pensare a soluzioni nazionali ma arrivare a un Governo federale tramite una riforma istituzionale dove sia eliminato il voto all’unanimità.Un Parlamento Europeo con due Camere:una dei cittadini(attuale Parlamento)e una degli Stati(attuale Consiglio).Potere legislativo vincolante per tutti gli Stati dell’UE.

  4. U G-M Tamburini

    quel 25 marzo freddo e piovoso (come oggi) ero il piu’ giovane di quella ventina di illusi che -essendo in pochi- speravano di essere invitati ad assistere alla cerimonia.
    decisamente sono deluso perche’ la mia vera idea si e’ trasformate nella chaptalisation controlee e nel Gebot der Reinheit des Auspuffs, ie., nella piu’ banale vergognosa tragedia dei beni comuni.
    l’errore dei padri fu quello di credere che le dichiarazioni d’intenti espesse con chiara enfasi non sottintendesse la grettapolitica di chi alla chetichella provvedeva al meschino interesse: per l’Italia si trattava della svalutazione della lira verde alla ricerca di voti che non venivano e col timore che il PCIrealizzasse politiche alle quali -a parte qualche baggiano di Coverciano- nesuno credeva (che il sequibaggiano si chiami Bersani poi ….)
    ora e’ “poco e tardi” per riprendere il cammino perche’ “la forza del destino” ha riportato le vecchie nazioni al concerto di suonatori stonati protesi al dispetto reciproco, che -ancora!- non si rendono conto di aver mangiato gratis il cibo in scatola degli SU per 70 anni.
    Si potrebbe ricominciare, ma non con quella donnetta di Pankow o quel poveretto che ha evitato la gogna capitata al fanciullo di pistoia.
    Il chock e’ alle porte, ed e’ politico; sara’ spaventoso
    in cauda domanda oscena: quale stato ha recuperato il debito contratto col deficit spending di JMK fama?

  5. LUCIANO PONTIROLI

    Tutto vero, ma … l’UE non è uno stato federale classico, piuttosto un’entità sui generis, che ha poteri sovrani nelle materie espressamente attribuite dai trattati e che, nella sua storia non breve ha spesso tentato di espandere in maniera indiretta le sue competenze: la tacita cooperazione tra Commissione e Corte di Giustizia ha, infatti, portato all’affermazione della superiorità del diritto dell’UE sul diritto nazionale, cui ha fatto seguito un’intensa produzione legislativa non sempre giustificata dai Trattati ,,, quanto meno, il cui fondamento in essi è controvertibile. Valga l’esempio dei tentativi di introdurre un parziale codice civile comune, portati avanti dalla Commissione nel primo decennio del secolo, posti nel nulla dalla contrarietà dei maggiori Stati membri. Ciò nonostante, prima di buttare il bambino insieme con l’acqua sporca, meglio tenersi anche questa …..

  6. Piero

    Non ci puó essere 1 moneta sola ed 1 politica monetaria sola quando dentro € c’è un Marco Svalutato del 25% ed una lira Sopra Valutata del 20% (numeri che variano a seconda delle case che li stimano, ma sostanza è quella). Non ci puó essere 1 moneta sola con Tutti i Paesi che x 10 anni fanno Deficit Primario Keynesiano di 3/5% punti (ora Portogallo lo stà chiidendo, dopo molti anni ed aiuti pari al 30% del suo Pil) eccetto 2 in Austerity (Surplus Primario) cioè Italia e Germania. Dovete trovare il Coraggio di aprire gli occhi e domandarvi: perchè la gente comune col diploma preferisce degli straccioni populisti ignoranti alle elite con il master ?

  7. Henri Schmit

    Dissento. Pur condividendo gli obiettivi delle autrici (maggiore convergenza), penso che il metodo per risolvere i problemi (nazionali o di dissenso su quelli comuni) non possa e non debba essere una “maggiore unione” senza “le nazioni”. 1. Formalmente il problema dell’UE, una confederazione per alcuni settori fra stati sovrani, è il seguente: da un lato gli stati membri sono doppiamente sovrani in quanto anche titolari del potere supremo nell’UE (il Consiglio che decidendo o a maggioranza ponderata o all’unanimità e condividendo il potere legislativo con il PE non ha un però “ruolo … formalmente paritetico” bensì determinante); dall’altro le norme europee prevalgono su quelle nazionali. In caso di dissenso (grave e persistente) fra uno stato e una decisione comune (per esempio in materia fiscale) esistono due rimedi: l’uscita volontaria (art. 50) o la sospensione forzata (art. 7). Questo vale informalmente anche per materie non comuni, ma coordinate separatamente come l’immigrazione. Solo che senza procedure vincolanti, in caso di dissenso non si fa niente (di vincolante).

  8. Henri Schmit

    2. Sostanzialmente non è l’UE che l’Italia che non funziona. Prendiamo quattro materie. 1. L’unione bancaria: vale unicamente se non consiste in un trasferimento di problemi nazionali alla comunità; la gestione dei rischi deve essere comune, ma la responsabilità rimarrà specifica. 2. L’immigrazione è il punto più dolente; ma è in gran parte colpa dell’Italia se non esiste maggiore solidarietà; mi riferisco alle politiche passate di far passare i clandestini fino ai confini con altri stati; le statistiche non sono favorevoli all’Italia; con governi come quelli di destra fino al 2011 e quello attuale non ci può essere una solidarietà che fra altri paesi di buona volontà (D, BeNeLux, F, P, E) esiste da tempo. 3. Le politiche fiscali. Nessuno vieta ai paesi di convergere, di adottare politiche rigorose di riforma e di sviluppo; quasi tutti lo fanno da decenni; è l’Italia che non riesce a tenere il passo, soprattutto da quando da beneficiario è diventata contribuente netto. 4. La difesa. Come possono i governi già menzionati ispirare fiducia per politiche degli armamenti e della sicurezza internazionale (in Africa) comuni. Non se ne parla, ma l’Italia rema contro, anche con il governo Renzi, facendo il cavallo di Troia degli USA, della Russia e ora pure della Cina. Penso quindi che serva meno nazionalismo furbo, meno nativismo, ma più sovranità (= consapevolezza, decisione, responsabilità) italiana, per il bene dell’UE.

    • Lorenzo

      Concordo con lei e soprattutto sulla necessità di superare l’unanimità. L’alternativa, per l’Italia, già in fase di attuazione, è di seguire il destino della Turchia.

      • Henri Schmit

        Non dico che bisogna superare l’unanimità. A prescindere dalle regole di decisione UE (unanimità, maggioranza, PE, Commissione, Consiglio, materie incluse o rimaste fuori etc), L’ITALIA E’ SOVRANA. Lo è nel Consiglio UE, lo è nelle istituzioni nazionali (condizionata però dalle SUE decisioni ed impegni pregressi, fra cui quello di sottostare alle regole UE), lo è per fare politiche eoconomiche, fiscali, sociali divergenti, fino ad essere punita dai mercati sullo spread, lo è per rischiare una procedura di infrazione che può condurre in extremis alla sospensione forzata decisa dal Consiglio conformemente all’articolo 7 del Trattato, e lo è per invocare se lo ritene l’articolo 50 per un poco conveniente Italexit, dall’UE o solo dall’euro. L’errore del dibattito pubblico (non solo italiano) è l’uso ideologico della sovranità. Ricordo che in Italia il tema del sovranismo è stato scoperto quando nel 2014 il giornale della Lega nord la Padania lo ha invocato come un diritto del Veneto all’autonomia, all’indipendenza o alla secessione. Ma quello era un altro problema, quello della messa in discussione (in teoria legittima) della sovranità (assoluta o vigente) dello stato su una sua frazione. Quel problema ha numerose sfaccettature, dall’Irlanda del N, alla Scozia e alla Catalogna, che rinviano ineluttabilmente alla teoria fondante del costituzionalismo. I moderati continueranno a perdere credibilità fin quando non si riapproprieranno del concetto complesso, dinamico della sovranità.

        • Raffwizard

          Quando si modifica la costituzione per adeguarla ai dictat di Bruxelles, cosa che altri paesi, tra cui la Germania, si sono ben guardati di fare, cosa significa secondo lei? L’Italia è sovrana nei limiti imposti dall’UE, parole sue, e quindi sovrana di fare ciò che l’UE impone. Questa UE è solo l’anticamera di uno stato autoritario e illiberale. Prima dello sfascio prossimo venturo.
          Si legga (o rilegga) Orwell, forse imparerà qualcosa.

  9. enzo

    Sono molto pessimista sulla possibilità che si vada verso una maggiore integrazione, quindi più parlamento meno consiglio o almeno meno unanimità. Questo non è dovuto al sorgere dei populismi sovranisti ma al persistere degli interessi delle elites politiche ed economiche.nazionali, Facciamo il caso della difesa: come si fa a parlare di politiche comuni quando francia e italia hanno interessi contrapposti in libia, quando i rispettivi governi cercano di favorire le proprie industrie nazionali e danneggiare quelle dei partners. Vediamo la mitica brigata multilingue, una, ma con 28 stati maggiore, 28 ministri della difesa ,28 ambasciate in ogni paese ecc ecc , tutta gente che non mollerà il posto, non importa se la piccola globalizzazione costringe lavoratori ungheresi e romeni a cercare salari accettabili ad ovest ed industrie occidentali ad aprire stabilimenti ad est in cerca di manodopera a basso costo

    • Henri Schmit

      L’Italia è la Francia NON hanno interessi contrapposti in Libia, ma l’Italia pensa di essere più tutelata mettendosi bella scia degli USA che non collaborando con la Francia in tutto il Sahel.

  10. Henri Schmit

    Faccio una scommessa: entro il 2019 i partiti moderati al governo bei paesi che dettano il tono nell’UE si riappropriano il concetto di sovranità nazionale (limitata dai trattati) nell’UE. Sovranità significa potere legittimo di decidere, capacità di esercitarlo e responsabilità politica (elezioni) e patrimoniale (debito). Tutto questo è evidente ma rimosso dal discorso pubblico, ovunque (a causa dell’ideologia “europeista” che è ingenua) ma soprattutto nei paesi inadempienti (che provano a ignorare i loro problemi, a rimuovere i loro traumi. Appuntamento a settembre/dicembre!

  11. Tebaldo

    le nazioni europee sono il vero problema, con il loro carico di incomprensioni, superbie e guerre di aggressione, gli Stati Uniti d’Europa sono la soluzione, le regioni sono lo strumento politico e amministrativo per rendere fattibile la federazione europea. Un presidente, una sola capitale, una sola lingua ufficiale, un parlamento ( c’è già), ma bicamerale. Alla federazione la difesa, gli esteri e le linee di comunicazione continentali, il coordinamento economico e giuridico. Alle regioni tutto il resto.
    Con un unico apparato di difesa e unica catena di comando, gli USE prenderanno finalmente il posto che spetta loro a livello mondiale. I nostri valori costituenti : stato di diritto, libertà per le persone e i commerci, pace e rispetto per tutti gli stati, troveranno finalmente la possibilità di una difesa e diffusione universale.

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