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Nuovo accordo e vecchi problemi per la scuola

L’accordo politico tra sindacati e ministero tocca temi importanti per la scuola: lavoro, retribuzioni e autonomia regionale. Ma lo fa in modo molto generico e senza considerare la qualità dell’insegnamento. E per i precari si prepara una nuova sanatoria.

Intesa pre-elettorale

Il 24 aprile governo e sindacati hanno siglato un accordo sulla scuola. L’obiettivo del governo era scongiurare uno sciopero poco prima delle elezioni europee, che infatti è stato sospeso.

Da tempo si fanno accordi a ridosso di scadenze elettorali, dove lo scambio fra le parti trascura la qualità della scuola e l’interesse degli studenti: il 30 novembre 2016, poco prima del referendum, il governo Renzi riassegnò centralità alla concertazione sindacale nel pubblico impiego; il 9 febbraio 2018, un mese prima delle elezioni politiche, il governo Gentiloni firmò un contratto di lavoro della scuola, che fra le altre cose alleggeriva l’obbligo di formazione dei docenti. Non sarebbe male imporre una moratoria agli accordi nel pubblico impiego nei mesi precedenti gli appuntamenti elettorali.

Verso una nuova sanatoria

Il nuovo accordo non fa eccezione. Tocca temi importanti per la scuola – lavoro, retribuzioni e autonomia regionale – ma in modo assai generico, poco più di promesse.

La prima è la promessa del governo di agevolare l’immissione in ruolo degli insegnanti che hanno lavorato come supplenti per almeno 36 mesi: decine di migliaia, ma è difficile quantificarli, senza precisazioni sui criteri definitori del loro status. Dopo Matteo Renzi, che con la Buona scuola fallì lo stesso obiettivo, oggi anche l’esecutivo gialloverde scende in campo contro l’eccesso di “supplentite”, piaga storica della scuola italiana, che quest’anno segna un nuovo record: oltre 160 mila incarichi annuali.

La soluzione, che l’intesa per ora non indica in dettaglio, è una nuova sanatoria. Quanti hanno 36 mesi d’insegnamento, ma non l’abilitazione, godranno di percorsi fortemente agevolati – grazie ai minori titoli richiesti e un’ampia riserva di posti loro garantiti – nei due concorsi che il ministero dell’Istruzione, università e ricerca farà per il prossimo triennio, con 66 mila posti a disposizione. Ci saranno, inoltre, ulteriori percorsi “abilitanti e riservati” in via transitoria al di fuori dei concorsi.

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Quale che siano le procedure privilegiate, che saranno definite in nuovi incontri fra le parti, fin d’ora si può dubitare che garantiscano un’equa selezione di persone davvero qualificate: avere un’esperienza didattica, neanche troppo lunga, non è certo un surrogato alla verifica della qualità della preparazione didattica e disciplinare, che sarà invece richiesta agli altri candidati. Né ci si può attendere frutti a breve. Siamo a maggio, i concorsi – attesi per l’estate – e le procedure abilitanti richiedono molti mesi: se va bene porteranno persone in cattedra per il 2020-2021.

Quindi, nell’anno scolastico 2019-2020, alla luce delle uscite per normale turnover e a quelle per “quota 100” (non moltissime), si arriverà forse a 200 mila supplenti. Una cifra inaudita di fronte ai circa 700 mila insegnanti di ruolo, che testimonia il fallimento delle politiche di assunzione finora seguite. L’intesa, infatti, non affronta il vero problema: in Italia mancano – soprattutto in alcune regioni e in alcune materie, non solo in quelle scientifiche – docenti qualificati da mandare in cattedra perché da decenni manca un sistema di formazione iniziale e di reclutamento serio e stabile. In assenza di questo, i supplenti sono destinati a crescere; poi ogni 2/3 anni si risolve il problema con una sanatoria. Tutto già visto, purtroppo.

Retribuzioni e carriere

Gli aumenti retributivi sono un altro punto dell’accordo: secondo il ministro Bussetti, in tre anni i salari dovrebbero crescere in media di almeno 100 euro al mese, un incremento rispetto a oggi fra il 2,4 e il 3,8 per cento, a seconda della fase di carriera.

La principale giustificazione per l’incremento è il basso livello retributivo dei docenti italiani. Come dicono i dati Ocse (figura 1), la retribuzione annua di partenza di un docente italiano è circa 31 mila dollari a parità di potere d’acquisto: meno della media europea, molto meno di quella tedesca. In verità, se si considera il più breve orario di lavoro degli insegnanti italiani (figura 2), il divario non appare enorme rispetto a molti altri paesi.

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Quel che, invece, davvero manca è una progressione salariale: una volta in ruolo, gli insegnanti hanno solo sei scalini, tutti per anzianità. Ma senza una prospettiva di carriera è difficile distinguere e premiare chi ha capacità e si impegna da chi è attratto solo dal posto di lavoro sicuro. Così non si attirano nella scuola i migliori laureati. Peraltro, gli aumenti sono esplicitamente subordinati ai vincoli di bilancio pubblico: se una parte (40 euro) è già coperta dalla legge di bilancio 2019, non sarà banale – è un eufemismo – trovare il resto a dicembre.

Vi è, infine, un impegno del governo sull’unità nazionale del sistema di istruzione, dopo le richieste di autonoma differenziata da parte delle principali regioni del Nord che includono il passaggio delle competenze sulla scuola. In particolare, nell’accordo si ribadisce l’unitarietà degli ordinamenti, dei curricoli e della governance del sistema, competenze che già la Costituzione affida allo stato. L’unica novità di interesse è l’affermazione che i criteri di reclutamento dei docenti non potranno essere diversi da regione a regione, limitando così i margini d’azione degli enti territoriali. Un punto rilevante, ma resta comunque difficile pensare che l’esito della partita sull’autonomia regionale dipenda da questo accordo preelettorale e non invece dal risultato delle elezioni europee.

Figura 1 – Retribuzioni docenti di ruolo, scuola secondaria II grado (in dollari a parità di potere d’acquisto)

Fonte: Ocse, Education at a Glance, 2018

Figura 2 – Ore contrattuali annue, scuola secondaria II grado

Fonte: Ocse, Education at a Glance, 2017

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15 commenti

  1. Giovanni Rossi

    L’accordo annunciato è in linea con la politica di questo governo : lo chiamerei accordo salvo intese . Al momento le risorse economiche messe sul piatto per i docenti sono 37,55 euro netti al mese; i sindacati hanno trionfalmente annunciato ai loro rappresentati (?) che il ministro ha preso impegni sulla copertura economica necessaria per risollevare gli stipendi più bassi d’europa ; dopodichè si può pacificamente affermare che in effetti, sia questo governo che i precedenti quando si parla di cultura e/o formazione scolastica hanno solo in mente una parola : ” Sanatoria “. La formazione degli insegnanti è pressochè inesistente a meno che si voglia chiamare ” formazione ” quella propinata dal MIUR . Dopo 34 anni di cattedra ( 2 concorsi vinti ) e dopo aver attraversato le varie riforme non vedo speranze all’orizzonte: l’aggiornamento e la formazione me li sono pagati per conto proprio presso associazioni professionali e/o corsi di specializzazione post laurea e ovviamente le tematiche erano inerenti alla disciplina insegnata, ma l’ho potuto fare, come Ingegnere che, oltre alla docenza, svolge attività professionale, mentre i colleghi che non hanno altro che la scuola, con gli stipendi da fame che si ritrovano non hanno queste possibilità. Sicuramente ci sono troppi fannulloni tra la categoria; laureati in discipline scientifiche e umanistiche non sanno usare il PC, troppi abilitati ope legis, ma così fa comodo per mantenere docenti di scarso valore a due lire

  2. Luca Cigolini

    Dalla figura 2 risulta che un docente in Italia se la caverebbe con 696 ore all’anno. Ma in effetti manca il cosiddetto lavoro “sommerso” dell’insegnante, che è comunque dovuto (da contratto), che non può essere evitato (nella pratica), che non viene né normato né controllato e che presumo sia almeno in parte conteggiato nelle “altre ore” dei paesi esteri considerati. Ma provate a non ricevere i genitori, a non correggere le verifiche o ad entrare in classe senza programmazione o senza preparazione: semplicemente non è possibile! O per lo meno non lo è per un docente di lettere come me. Sarei molto interessato a conoscere la quantità di ore effettivamente lavorate in un anno dai docenti italiani ed esteri, per un confronto credibile. L’unico dato a mia disposizione è l’esperienza personale (da un minimo di 1290 ore annuali ad un massimo di 1580), ma capisco che non può avere alcun rilievo statistico. Mi piacerebbe anche sapere se ritenete che l’impegno di un docente che deve correggere prove scritte (p. e. lettere, lingue o matematica) debba essere riconosciuto economicamente più di quello di chi queste prove le può anche fare, ma non vi è tenuto (p. e. scienze motorie o religione cattolica) : attualmente non è così.

  3. Giorgio capon

    Non capisco i 616 giorni di lezione in Italia.18 ore da lunedì a venerdì corrispondono a 3.6 ore al giorno. moltiplicate per i 200 giorni obbligatori danno 720 ore all’ anno.

  4. Stefano De Stefano

    Non c’è molta trasparenza nei dati OCSE: bisognerebbe capire che cosa si intenda con “altre ore” perché la differenza fondamentale sta lì, visto che le ore di lezione, ad eccezione di UK, sono tutte attorno alle 600 ore.E comunque, in termini di retribuzione, siamo sotto anche alla Finlandia che ha una quantità oraria simile alla nostra!

  5. Markus Cirone

    La Figura 2 non dice tutta la verità: le altre ore indicate (80) sono solo quelle esplicitate nel contratto. Il contratto non quantifica, invece, tutte le ore dedicate ad attività funzionali all’insegnamento (preparazione delle lezioni, preparazione e correzione delle verifiche, stesura dei sempre più numerosi documenti che i docenti devono preparare, ecc.), che sono molto più di 80. Spesso queste attività sono svolte a casa, a qualsiasi ora, non di rado la sera o di domenica (basta chiedere ai parenti di un docente per conferma) mentre i colleghi tedeschi o finlandesi, per esempio, lo fanno a scuola e, una volta terminato l’orario di servizio, interrompono, posano tutto e vanno a casa, a fare altro.

  6. Luca Neri

    Per confrontare gli stipendi degli insegnanti tra paesi occorre calcolare il salario orario. Il conto è presto fatto. Dati alla mano, gli insegnanti italiani (44 euro/ora) hanno stipendi orari largamente superiori alla media europea (21 euro/ora) e sono secondo solo alla Finlandia (quasi 60 euro/ora). La Germania è solo terza, con 36 euro/ora. Le lamentele degli insegnanti italiane sono pretestuose e prive di fondamento. Di fatto prendono uno stipendio full-time per un lavoro part-time

    • Markus Cirone

      Suppongo che come numero di ore abbia conteggiato solo le ore in classe e le 80 “altre” ore riportate nella figura 2. Come dicevo nell’intervento sotto il suo, una buona parte del monte ore di lavoro di un docente italiano è “sommerso”, nel senso che non viene quantificato dal contratto.

      • Luca Neri

        Converrà caro Cirone, che tutto ciò che non è contrattualmente formalizzato non può essere preteso? Questo è quello che accade nella realtà. Ad esempio, una quantità consistente di insegnanti offre lezioni private al pomeriggio o nel periodo estivo. Sarebbe possibile se avessero un orario di 8 ore per 5 giorni settimanali per 44 settimanali? Ovviamente no, perchè sarebbe in palese ed evidente conflitto con l’attività contrattuale. Eppure la situazione è così endemica che il governo giallo-verde ha proposto di normarla. Questo è solo un esempio. Se lei è insegnante come credo, saprà certamente che a fianco di insegnanti dedicati e appassionati che lavorano più delle 3 ore di didattica quotidiana esistono, colleghi che si limitano di fatto al “compitino”. Che gli insegnanti onesti pretendano che le ore necessarie a svolgere la professione in maniera dignitosa vengano contrattualizzate e pretese. Che si offrano servizi al pomeriggio degni di una scuola seria. Che si pretenda che le prestazioni professionali offerte da tutti gli insegnanti siano dignitose, adeguate, e che rispettino standard moderni. Poi parliamo di stipendi. Invece, nessuno parla di come moltissimi insegnanti oltraggino con la loro impreparazione e pigrizia la dignità di una professione centrale per lo sviluppo del paese. Ci si lamenta a sproposito e si negano le evidenti inadeguatezza del corpo insegnante. Non è serio.

        • Markus Cirone

          “Tutto ciò che non è contrattualizzato non può essere preteso”, dice Lei. Ma le attività funzionali all’insegnamento (preparazione lezioni, correzione verifiche, ecc.) sono contrattualizzate. Il punto è che non sono quantificate.

        • Luca Cigolini

          Il contratto obbliga ad alcune prestazioni che non quantifica (p. es. i rapporti con i genitori e la correzione delle verifiche): le assicuro che a buona parte di questi impegni è impossibile sottrarsi; aggiungo che negarlo senza prove, appellandosi alla categoria morale della pigrizia, è uno sport purtroppo diffuso, ma poco corretto (pigri e zelanti li troviamo in qualunque categoria di lavoratori, ma in altri ambiti per fortuna nessuno si appella alla pigrizia di alcuni per sminuire anche gli altri). Concordo con lei sulla necessità di maggior controllo e repressione delle inadempienze, ma prima di tutto, a mio parere, bisognerebbe quantificare quello che nell’altro mio commento ho definito lavoro sommerso, tenendo conto anche delle differenze tra le discipline ed i tipi di scuola (Cicero pro domo mea: la correzione di circa 500 scritti all’anno, ineludibile da contratto per professori di lettere e poche altre materie nei licei, ma non conteggiata, non aumenta il mio carico di lavoro rispetto a chi a questo non è tenuto? A parità di compenso).
          Le 80 ore (40+40) inserite in modo arbitrario nella tabella si riferiscono solo ad alcune riunioni ed indicano un tetto che spesso non viene raggiunto (è il mio caso e quello della maggior parte dei docenti di lettere alle superiori): significa, per esempio, che un insegnante di religione (che ha poche ore per classe, quindi tante classi), raggiunte le 40 ore di Consigli di Classe può chiedere di astenersi dal farne altri.

          • Luca Neri

            Alla fine confermate il mio punto centrale. Nessuna delle attività che voi indicate come obbligatorie sono quantificate. Sono funzioni che dovrebbero essere svolte nell’orario di lavoro, ma l’orario obbligatorio, in cui l’insegnante è tenuto a lavorare, include solo le ore di lezione e le ore di attività collegiali (max 80). Ne deriva che alcuni insegnanti solerti (o afferenti a particolari discipline) svolgono attività lavorative ben più intensa di altri. E chi decide di lavorare il minimo (ovvero fare solo le ore di lezione e, addirittura, 40 annuali di attività collegiale), non può essere obbligato da nessuno a lavorare di più. In queste condizioni, gli obblighi che voi indicate come ineludibili, sono solo obblighi fittizi. Ma l’incongruenza di quello che affermate con la realtà è evidente perchè vi è una resistenza fortissima del corpo insegnante e dei suoi sindacati a contrattualizzare un orario effettivamente full time. Se già fate queste famose 40 ore settimanali per 44 settimane, come tutti i lavoratori, perchè gli insegnanti non lo scrivono nel contratto (con tutti gli obblighi derivanti)?

        • Giovanno

          Gentile Luca
          per effettuare le 8 ore di lavoro a scuola gli insegnanti avrebbero bisogno di un ufficio adeguatamente attrezzato, riscaldato o climatizzato a seconda della stagione. Inoltre, la correzione dei compiti va fatta con un adeguato livello di concentrazione, dopo un po’ ci si stanca, si perde lucidità e bisogna smettere per riprendere poi con calma, magari dopo cena o la domenica (almeno così era per me quando insegnavo). Non dico che questa esigenza sia esclusiva per la professione di insegnante, per questo si sta diffondendo la possibilità di lavorare a casa anche in altri settori.

          • Luca Neri

            Certo, gli insegnanti avrebbero bisogno di luoghi dove lavorare nel pomeriggio. Ma questo non può essere la scusa per non quantificare e contrattualizzare (anche in maniera differenziata a seconda delle esigenze organizzative) il lavoro svolto. Come dice lei, il problema degli spazi di lavoro è talvolta risolto con l’utilizzo dello smart working (che comprende, lavorare da casa). Ma il lavoro da casa, non è deregolamentato e volontario come accade oggi per l’insegnamento. Chi lavora da casa è controllato, (tra le varie opzioni, valutato tramite tramite key performance indicators misurabili). L’argomento secondo il quale la correzione dei compiti richiederebbe grandi pause e quindi il lavoro serale o domenicale è risibile. Esistono molte professioni che richiedono un impegno intellettuale ben più elevato (medici, infermieri, analisti, data scientists, professioni tecniche, ingegneri, etc) e nessuna gode dei privilegi concessi agli insegnanti. Nessuna organizzazione lavorativa in questi ambiti professionali prevede che le funzioni non siano in qualche modo quantificate e regolate. Non si può neanche dire che la correzione dei compiti debba occupare il 60% del tempo di lavoro complessivo (come sembrerebbe suggerire lei), perchè questo indicherebbe una elevatissima inefficienza del sistema di valutazione dell’apprendimento. Perchè parlare di regolazione, misurazione e quantificazione sono taboo quando si parla di insegnamento?

  7. Luca Neri

    Una ulteriore integrazione: il confronto più sensato tra gli stipendi degli insegnanti nei vari Stati non può prescindere da una comparazione con il PIL pro-capite a parità di potere d’acquisto. I dati relativi a questo indicatore sono facilmente reperibili su Wikipedia, che riporta i valori del fondo monetario internazionale (https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_PIL_(PPA)_pro_capite). Il full time equivalent salary (40 ore settimanali per 44 settimane all’anno) degli insegnanti Italiani è oltre il doppio del PIL pro-capite a parità di potere d’acquisto (ovvero guadagnano circa il 104% in più della media nazionale). In Francia, gli insegnanti guadagnano invece circa il 23% in meno della media nazionale; in UK il 6% in più; in Germania il 27% in più, in Spagna il 40% in più, mentre in Finlandia, l’unico Stato più generoso dell’Italia, il 137% in più. Lo stipendio deve essere valutato in relazione ai risultati della formazione. I dati di riferimento internazionale PISA per la matematica (http://pisadataexplorer.oecd.org/ide/idepisa/report.aspx) indicano che l’Italia è (dopo la Finlandia) il paese meno efficiente con ca 159 PPP dollars spesi per ogni punto PISA. In UK, lo stato più efficiente, si spendono circa 68 PPP dollars per ogni punto PISA. Al posto che concedere aumenti ed assunzioni, lo stato Italiano dovrebbe pretendere maggiore produttività, ore di lavoro e competenza dal corpo insegnante

  8. Markus Cirone

    Risposta a Luca Neri (08/05): Lei ignora che un docente ha solo in parte un orario di lavoro: quello in classe e il totale delle 40+40 ore di riunioni. Le attività accessorie all’insegnamento non hanno un orario, né come inizio e fine, né come durata complessiva (come potrebbero, del resto?). Se Lei pensa che 100 docenti (numero minimo dei docenti di una scuola) possano preparare le loro lezioni nelle scuole italiane, vuol dire che non ne ha mai vista una. Se invece propone che il Governo stanzi diversi miliardi per mettere in sicurezza le scuole italiane e costruirne di nuove in modo che ogni docente abbia una sedia confortevole, un tavolo, un PC e una mensola per i libri per lavorare a scuola fino alle 17, firmo subito la sua petizione, anche se andrò in pensione prima di vedere queste cose realizzate (e di anni me ne mancano più di 10). E ora torno a correggere, alla scrivania di casa mia, uno dei 700-800 compiti annuali, visto che insegno matematica e fisica in un liceo scientifico.

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