L’economia italiana è in stallo. Migliorerà grazie all’avvio di reddito di cittadinanza e quota 100? Le stime dicono che l’effetto sui consumi è modesto. E non compensa i costi di spread in rialzo e calo di fiducia innescati dall’annuncio delle due misure.
Dagli annunci solo costi
Reddito di cittadinanza e “quota 100” sono i due principali provvedimenti contenuti nel “contratto di governo” del maggio 2018, poi inclusi nella manovra finanziaria. Nel complesso, per il triennio 2019-2021, vi sono stati destinati 38 miliardi di euro, con dubbi sulla loro effettiva copertura, a meno di aumenti della tassazione, specialmente a partire dall’anno prossimo.
Nel valutare l’impatto macroeconomico delle due misure, la tentazione è di partire da oggi in avanti: d’altronde, questo mese sono previsti i primi pensionamenti anticipati con Quota 100 e a maggio dovrebbero essere erogate le prime carte Rdc.
Le misure, tuttavia, hanno già avuto un effetto tutt’altro che trascurabile. Nel più ampio contesto di forte incertezza sull’orientamento delle politiche economiche e di bilancio, il loro annuncio ha contribuito al marcato e persistente rialzo dei rendimenti sui titoli di stato e al crollo della fiducia delle imprese registrati dalla scorsa primavera.
Tenendo in considerazione i vari canali di impatto (aumento della spesa per interessi, incremento dei costi di raccolta per le banche, maggiori difficoltà di prendere a prestito), in un recente esercizio di simulazione (Box pag. 23) abbiamo stimato che l’aumento dei tassi di interesse sui titoli di stato rispetto ai primi quattro mesi del 2018 (oltre 100 punti base), se dovesse persistere sui livelli attuali, causerebbe una riduzione della crescita del Pil di quasi 0,5 punti percentuali cumulati in tre anni. Ne conseguirebbe anche un peggioramento dei conti pubblici, con un rapporto debito/Pil di oltre 2 punti più alto alla fine del periodo. Se si tenesse conto anche della caduta della fiducia, l’effetto sarebbe ancora più negativo.
L’avvio vero e proprio delle misure darà ora una spinta al Pil sufficiente a compensare gli effetti negativi sulla crescita innescati dal loro annuncio? La risposta è verosimilmente no: rispetto a uno scenario base, il Pil registrerebbe al terzo anno un +0,24 per cento cumulato per effetto del reddito di cittadinanza e un +0,20 per effetto di quota 100. I risultati delle nostre simulazioni sono sostanzialmente in linea con quelle incluse nel Documento di economia e finanza , pubblicato nei giorni scorsi, seppur i modelli econometrici e le assunzioni siano diversi.
Impatto del reddito di cittadinanza
L’effetto del reddito di cittadinanza avviene principalmente attraverso due canali: 1) l’impulso sui consumi derivante dai trasferimenti: si assume che i fondi stanziati per la carta acquisti Rdc (3,7 miliardi di euro per il 2019 e circa 5 miliardi per ciascuno degli anni successivi, in aggiunta ai 2,1 all’anno già destinati al reddito di inclusione) vengano tutti impegnati e che il conseguente aumento del reddito disponibile delle famiglie si traduca tutto in consumi; 2) la creazione di posti di lavoro nel settore pubblico, per coloro che dovranno attuare la misura: si assume che i fondi stanziati per il rafforzamento dei centri per l’impiego, oltre che di Anpal e Inps (quasi 900 milioni in ciascuno dei primi due anni, che scendono a 200 dal 2021), siano principalmente destinati a spesa per il personale.
Vi sono poi altri due potenziali canali di trasmissione: 3) l’ampliamento dell’offerta di lavoro (ipotizzato pari a 400 mila unità nel 2020 e 2021, la metà nel 2019); e 4) uno stimolo alla domanda di lavoro derivante dagli sgravi contributivi sulle assunzioni dei beneficiari (ipotizzato trascurabile a causa degli stringenti vincoli di accesso ed erogazione e della fase di debolezza congiunturale).
Sulla base di queste ipotesi, l’effetto complessivo stimato sulla crescita del Pil al terzo anno è quasi interamente ascrivibile all’aumento dei consumi privati (+0,8 punti percentuali; una sovrastima, se effettivamente si avranno risparmi di spesa, come dovrebbe accadere almeno per quest’anno, dato il numero inferiore alle attese di domande di reddito di cittadinanza pervenute e accettate). Non tutta la maggiore spesa è soddisfatta da maggiore produzione, perché aumentano anche le importazioni. Cresce il tasso di disoccupazione (+1,3 punti rispetto a uno scenario base), dato che l’aumento degli occupati non è sufficiente ad assorbire quello della forza lavoro. Con una spinta al Pil lontana dal compensare la maggiore spesa, l’impatto sui conti pubblici è negativo, con un rapporto debito/Pil di circa 0,6 punti più alto alla fine del periodo (tabella 1).
Tabella 1– Rdc e “Quota 100”: modesta la spinta al PIL, conti in peggioramento
(Differenze rispetto a uno scenario base, valutate al terzo anno dall’implementazione)
Impatto di quota 100
Per quanto riguarda quota 100, la variabile chiave è il ricambio occupazionale. Ci si aspetta che i consumi dei “quotisti” calino poco, perché presumibilmente gli individui decideranno di pensionarsi in anticipo solo se sono in grado di mantenere un tenore di vita simile. Per i sostituti al lavoro è probabile, invece, una propensione al consumo elevata. Il ricambio occupazionale è, tuttavia, ipotizzato ben al di sotto del 100 per cento, più basso nel settore privato, ma comunque incompleto anche nel settore pubblico.
Ne consegue un aumento dei consumi di 0,6 punti percentuali al terzo anno. Il tasso di disoccupazione diminuisce di 0,3 punti, principalmente per il calo della forza lavoro (-350mila unità). Molto ampio l’impatto sul debito: +1,1 punti in rapporto al Pil.
Quali lezioni per il futuro?
La fretta di sostituire, per ragioni di consenso politico, strumenti di politica economica già esistenti causa incertezza, oltre ad allungare i tempi di attuazione e quindi le ricadute sull’economia reale. Per contrastare la povertà in Italia sarebbe stato più efficace darsi il tempo per condurre una seria valutazione degli effetti del Rei (ma anche della pluralità di misure assistenziali preesistenti) e, sulla base di questa, apportare i necessari miglioramenti, in primo luogo ai meccanismi di attivazione sociale e lavorativa. Nel frattempo, si sarebbe potuto avviare un ampliamento graduale della platea e dell’entità del beneficio, diluendo così l’impatto sulla finanza pubblica.
Si è deciso di aggiungere un nuovo canale di pensionamento anticipato nella speranza di innescare una staffetta intergenerazionale, in un’ottica che presuppone una quantità di lavoro fissa. Al contrario, indirizzare risorse alla riduzione del cuneo contributivo sul lavoro avrebbe stimolato l’occupazione, anche quella incrementale.
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