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Italia-Francia, la partita comune

Lo scontro politico e diplomatico tra Italia e Francia può mettere a rischio i solidi rapporti economici tra i due paesi. Di mezzo ci sono miliardi di import-export e di investimenti finanziari e nell’economia reale. Insomma, il gioco non vale la candela.

I numeri dell’interdipendenza economica con la Francia

Il richiamo dell’ambasciatore francese a Roma, cosa che non accadeva dal 1940, è stato l’ultimo eclatante atto della disputa tra il governo giallo-verde e quello francese presieduto da Emmanuel Macron. L’incontro tra Luigi Di Maio ed esponenti dei gilet gialli è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso di una disputa fatta di colpi bassi da entrambe le parti. Di fronte all’inasprimento della crisi diplomatica si sono levati gli allarmi dei massimi esponenti di Confindustria, che hanno ricordato come l’economia italiana sia fortemente legata a quella francese.
La Francia è il secondo partner commerciale dell’Italia dopo la Germania. Nel 2017 l’export italiano verso la Francia ammontava a 46,3 miliardi di euro (il 25 per cento dell’export italiano nell’area euro). Negli ultimi anni la bilancia commerciale nei confronti della Francia è sempre stata positiva (figura 1), ovvero abbiamo esportato più di quanto importato, con conseguenti benefici sul Pil. L’Italia esporta soprattutto autoveicoli, macchinari e prodotti alimentari e chimici. E importa più o meno gli stessi prodotti, un chiaro esempio di commercio intra-industriale che dimostra quanto le catene di produzione siano intrecciate.

La stessa Francia è il secondo paese per esportazioni in Italia e il primo creditore straniero del debito pubblico italiano dopo la Spagna.

L’influenza sulle nostre imprese

Secondo i dati Ice relativi al 2017, il 12,7 per cento delle imprese italiane a partecipazione estera è controllato da francesi, per un totale di circa 1.700 imprese e 274 mila occupati. Davanti alla Francia in questa classifica ci sono solo Stati Uniti e Germania.
Molti importanti marchi della moda italiana sono passati negli ultimi anni in mano francese. Gucci, Pomellato e Bottega Veneta sono stati acquistati dal gigante del lusso Kering, mentre il gruppo Lvmh ha rilevato Fendi, Bulgari e Loro Piana. L’operazione più recente riguarda la fusione Essilor-Luxottica, con il delisting della multinazionale di Leonardo Del Vecchio (che è il principale azionista della nuova entità) da Piazza Affari e la quotazione rimasta solo a Parigi. Altre importanti transazioni sono state l’acquisto nel 2012 di Edison da parte dell’utility francese Edf, quello dei supermercati Gs a opera del colosso Carrefour, nonché il tentativo di scalata di Vivendi in Mediaset e Telecom. Per quanto riguarda il settore finanziario, nel 2006 Bnp Paribas ha acquisito il controllo di Bnl, nel 2007 lo stesso è avvenuto con Cariparma da parte di Crédit Agricole e in seguito con Pioneer passata da Unicredit a Amundi per 3,5 miliardi di euro.
Allo stesso tempo, la Francia è il secondo paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, per imprese a partecipazione italiana. Ad esempio, il Gruppo Lavazza è diventato leader nel mercato francese del caffè (il quarto al mondo per valore) con l’acquisto nel 2016 della francese Carte Noire. Numerose sono anche le joint-venture italo-francesi, come il colosso dei semiconduttori Stmicroelectronics, secondo produttore europeo dopo la tedesca Infineon, e Fincantieri, leader mondiale nella nautica, che ha siglato un’intesa con la francese Naval nella produzione per la marina militare.

Spostandoci verso il settore pubblico e la collaborazione fra paesi, sono tanti i progetti condivisi tra il governo italiano e quello francese. A partire dalla discussa ferrovia Torino-Lione (Tav) co-finanziata dall’Europa, che i due paesi dovrebbero costruire (chi lo sa…) per il trasporto merci. Ma non solo, vi sono anche i lavori comuni e cofinanziamenti per il rafforzamento dell’Autostrada ferroviaria alpina. E poi c’è il caso Fincantieri-Stx, affare che prevedeva l’acquisizione dei cantieri navali francesi da parte della nostra azienda a partecipazione pubblica e che era dato per concluso. Francia e Germania hanno però appena richiesto una verifica sul rispetto del regolamento UE sulle concentrazioni, accolta dalla Commissione europea. E così si è di nuovo bloccato il processo, scatenando tra l’altro piccate reazioni politiche. Stessa frizione sembrerebbe esservi nel caso Alitalia. Air France-Klm, che aveva manifestato disponibilità a far parte di una cordata con l’americana Delta e la low-cost britannica Easyjet per “salvare” l’ex compagnia di bandiera italiana, si starebbe sfilando per motivi politico-istituzionali (cioè, probabilmente, a causa dell’ultimo braccio di ferro in ordine di tempo).

E invece gli investimenti?

Anche per quanto riguarda gli investimenti, il rapporto con la Francia è molto importante. Infatti, il 50 per cento degli investimenti delle nostre imprese in Europa vanno in territorio francese, dove si contano circa 1.700 imprese per 67mila impiegati. Secondo il rapporto annuale di Business France 2017, l’agenzia nazionale per l’internazionalizzazione dell’economia francese, l’Italia è il terzo paese per numero d’investimenti in Francia (7 per cento del totale), dopo Stati Uniti e Germania, e l’ottavo per posti di lavoro creati (1.504). Anche se è da segnalare una forte flessione rispetto al 2016: -32 per cento dei progetti e -53 per cento degli impiegati. È aumentato però il valore totale degli investimenti, da 15,6 miliardi nel 2014 ai 18,7 nel 2017. La maggiore quota d’investimenti è destinata ai siti di produzione, principalmente nel settore agroalimentare, metallurgico e di componenti meccaniche. Sempre al terzo posto a livello mondiale, l’Italia costituisce il 12 per cento degli investimenti stranieri in Francia per ricerca e sviluppo. A livello finanziario, nel 2017 le imprese italiane hanno mosso più di 800 miliardi per operazioni di fusione e acquisizione in territorio francese.

Dall’altro lato della bilancia, gli investimenti diretti netti francesi in Italia nel 2017 ammontavano a 66,5 miliardi, quasi 15 miliardi in più rispetto a due anni fa, divisi principalmente tra attività finanziarie e assicurative, l’industria manifatturiera e quella alimentare. Andando a prendere la consistenza degli investimenti diretti tra il 2013 e il 2015, la Francia risulta il terzo paese al mondo come presenza in Italia, dietro a Paesi Bassi e Lussemburgo, a fronte dei 18,7 miliardi di investimenti italiani oltralpe.
Alla luce di tutti questi dati è chiaro come il deterioramento dei rapporti con un partner storico quale la Francia non sia nell’interesse dell’Italia, né della controparte francese. Le interrelazioni economiche sono moltissime, ma la politica e la ricerca del consenso ci hanno abituato a viaggiare su binari diversi.

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In Abruzzo un voto dalle molte conseguenze

  1. Henri Schmit

    Tutto giusto, ma è una partita asimmetrica. Da un lato un paese forte e strutturato, con alcuni grossi operatori privati altrettanto strutturati, dall’altro un paese debole, caotico e instabile, poco può di un’espressione geografica, ipotecato dalla peggiore incompetenza e spregiudicatezza politica, ma con numerose aziende eccellenti, imprenditori molto capaci, che si devono arrangiare spesso ostacolati dai poteri pubblici, e che quando vendono rami d’azienda hanno poche ragioni per reinvestire nel loro paese. Dire che ci sono interessi per non rovinare i rapporti esistenti è debole come diagnosi. Serve qualcosa di più: un quadro favorevole per investire a lungo termine in Italia, delle condizioni che si creano con impegno constante e condiviso se va bene in un decennio. Qua da circa 25 anni si fa l’opposto. PS Non capisco come la Francia, governo e servizi, possa tollerare che un’impresa pubblica italiana, con i vertici nominati da chi sappiamo, possa controllare il produttore francese di navi militari e sommergibili (12 venduti due giorni fa per 35 milliardi all’Australia). Sarà una partita asimmetrica, speriamo.

  2. Gaudenzio Benghi

    La Francia teme l’Italia che invece l’adora da un paio di secoli. Non sono gli unici e il furto delle opere d’arte per possedere quello che non hanno saputo fare lo dimostra. Però non basta, l’Italia rimane dov’è con Venezia, Firenze, Pompei, Gubbio. Non sono gli unici ad avere questo complesso di inferiorità. Lo hanno anche i tedeschi, i paesi del Nord. Nei nostri riguardi usano spesso colpi bassi, sono dei traditori. Il complesso non lo hanno gli asiatici che non sanno che stanno diventando greci come noi per via del Rinascimento.

    • Henri Schmit

      Una parte è vera: l’Italia ha la storia, la cultura, l’arte dalla sua parte; ha inoltre pregi geografici non comuni. Il resto mi sembra discutibile: i Francesi e i Tedesci, gli Inglesi e gli Americani non invidiano l’Italia, l’ammirano. Temono, non i tesori cuturali e naturali, né le capacità individuali, ma l’incapacità collettiva di gestire e preservare quello ricevuto in eredità. Ma è davvero solo degli Italiani? Il resto del commento è proprio brutto, pieno di rancore e di cattiveria. Per fare l’Europa (e un’Italia efficiente) ci vuole una mente ben diversa! Speriamo che i giovani non la pensino nello stesso modo!

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