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In Abruzzo un voto dalle molte conseguenze

Nel primo test elettorale dopo le politiche 2018, la Lega trascina alla vittoria il centrodestra, il M5s perde consensi e il centrosinistra ottiene un risultato discreto. Quali saranno gli effetti del voto in Abruzzo sul governo e dentro i partiti?

Più tensioni nel governo?

Domenica 10 febbraio si sono tenute le elezioni regionali in Abruzzo. Si è trattato del primo vero test elettorale per i partiti dopo il voto del 4 marzo 2018 (escludendo le scarsamente partecipate elezioni suppletive a Cagliari), in attesa del voto regionale in Sardegna di fine mese, delle elezioni europee che si terranno a fine maggio 2019, nonché delle elezioni amministrative. E il test ha fornito alcune indicazioni molto interessanti. La prima è che il Movimento 5 stelle ha perso parecchi consensi rispetto alle politiche del 2018. La seconda è che la Lega conferma il suo trend di crescita in tutto il paese. La terza indicazione è che anche il centrosinistra sembra aver retto bene. Si conferma anche la scarsa voglia di partecipare al voto da parte dei cittadini: quasi un elettore su due ha deciso di non andare alle urne.

I risultati del voto dicono che la Lega diventa il primo partito in Abruzzo, con oltre il 27 per cento dei consensi. La coalizione di centrodestra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e alcune formazioni minori) sfiora il 50 per cento. Il Movimento 5 stelle si ferma a poco meno del 20 per cento. Più distaccati Pd e Forza Italia, entrambi intorno al 10 per cento dei consensi, anche se il primo è inserito in una coalizione che, sfruttando l’attrattiva del candidato presidente Giovanni Legnini, oltrepassa il 30 per cento. Curioso come, a causa del sistema elettorale regionale, la (molto ampia) coalizione di centrosinistra abbia diritto solo a 6 consiglieri su 30, mentre il Movimento 5 stelle ne ha ben 7.

Per avere un termine di paragone, undici mesi fa, alle elezioni politiche, il M5s aveva ottenuto circa il 40 per cento dei voti sia alla Camera sia al Senato, mentre il Centrosinistra circa il 18 per cento. Alle regionali del 2014, il Movimento 5 stelle aveva ottenuto all’incirca la stessa percentuale di consenso di oggi; mentre centrosinistra e centrodestra si sono praticamente scambiati i voti. La Lega, nel 2014, non era nemmeno presente, mentre rispetto alle politiche 2018 ha addirittura raddoppiato i propri consensi, perlomeno su base percentuale. L’affluenza è infatti risultata in forte calo: 53 per cento, contro il 75 per cento delle politiche 2018 e il 61 per cento delle ultime regionali.

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Il voto certifica una tendenza che, all’interno della compagine governativa, era già indicata da diversi sondaggi. I rapporti di forza all’interno del governo si sono ribaltati rispetto a un anno fa. Ciò potrebbe mettere a disagio il Movimento 5 stelle, interessato a smarcarsi dall’alleato per non perdere ulteriori consensi, soprattutto al Sud. Ma potrebbe mettere a disagio la stessa Lega che, sempre più partito nazionale, potrebbe cominciare a vedere sotto una luce diversa le istanze delle (tre) regioni del Nord che chiedono maggiori poteri. Questo duplice effetto rischia quindi di far saltare nuovamente le trattative sul cosiddetto federalismo differenziato. E, soprattutto, potrebbe segnare una prima frattura interna alla stessa Lega: i leader locali (il lombardo Attilio Fontana e soprattutto il veneto Luca Zaia) potrebbero decidere di staccarsi e formare un proprio movimento.

Una speranza per il centrosinistra?

Nonostante il crollo rispetto al 2014 – e per il Pd anche rispetto al 2018 – il centrosinistra può comunque trarre qualche insegnamento dal round elettorale abruzzese. Vale a dire, un progetto politico, se basato su un’ampia condivisione e imperniato intorno al giusto candidato, potrebbe risultare di nuovo vincente o perlomeno competitivo. Ogni riferimento al progetto “Siamo europei” di Carlo Calenda non è qui puramente casuale. Tuttavia, le elezioni europee saranno proporzionali, quindi lo sforzo di unità richiesto al centrosinistra sarà particolarmente impegnativo. Da questo punto di vista, le elezioni in Sardegna dovrebbero dare indicazioni ancora più precise.

In casa centrodestra, invece, e sempreché a livello nazionale una simile coalizione esista ancora, sembra non esserci più battaglia per quanto riguarda la leadership, ovviamente ormai in mano leghista. I moderati del centrodestra dovranno accettare, ancora per un po’ di tempo, di portare l’acqua al mulino di un movimento dai caratteri populisti e non sempre europeisti.

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Il Punto

  1. Henri Schmit

    Difficile criticare una descrizione asciutta come questa. Ci provo lo stesso. Giusta l’affermazione circa la lezione per la SX, anzi per il PD. Una proposta INCLUSIVA imperniata su una persona “giusta” (serve una definizione) come l’ottimo candidato abruzzese. Fin qua ci siamo. Continuare l’argomento con Siamo Europei e Calenda mi sembra un po’ azzardato, non perché la procedura elettorale alle europee è diversa, ma perché non è detto se il candidato “testa di lista” sia quello giusto; lo sapremo solo a maggio. Per il momento è wishfull thinking. Se poi conta davvero anche l’altro criterio, l’inclusione, allora la proposta è sin d’ora sbagliata. Ma essendo la logica proporzionale, se si può (o deve?) accontentare anche di meno del 20%.

  2. bob

    il gioco dei bambini a fare i grandi ha ragione chi oggi titola su un quotidiano “tanto clamore per una territorio che ha gli stessi abitanti di un quartiere di Roma” aggiungo con oltre il 40 % di astenuti. La sinistra deve solo riconquistare quell’elettorato che vuole avere una sistema- Paese all’avanguardia ed è una percentuale significativa in tutta Italia. Contro una deriva localistica – provincialotta che tende solo a fare posti e doppioni inutili oltre che costosi

    • Maurizio Angelini

      Per Savino. I brigatisti rossi degli anni 70 volevano fare la rivoluzione per costruire la dittatura del proletariato contro lo stato delle multinazionali, e a parte quello che dicevano, conta quello che facevano. Paragonare a questi, sconfitti in pimis dalla mobilitazione del proletariato, ii 5 stelle è del tutto diffamatorio per i 5 stelle dei quali si può pensare, come io penso, molto male, ma fare questo paragone è infame. I brigatisti neri facevano le stragi, Brescia, Piazza Fontana, i treni, in accordo con pezzi dello stato deviato, servizi segreti, pezzi delle cd forze dell’ordine. Anche qui il paragone è folle e diffamatorio.

      • Savino

        Quando Di Maio vola a Parigi e si accompagna con le frange estreme dei gilet gialli è sulla strada giusta per l’eversione. Ieri questi fenomeni erano strettamente politici, ora sono in prevalenza di odio sociale. M5s è il partito della rabbia che si fa violenza sociale.

  3. Savino

    La deriva venezuelana, nata con l’esultanza di Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi dopo aver creato ulteriore deficit, ha provocato reazioni. Questa era l’essenza del m5s. Non un movimento di “protesta”, ma il propulsore della decrescita, neanche così felice. La narrazione “no TAV” del tipo “si viaggiava meglio sull’asino” rende chiara l’idea. L’appoggio a Maduro e gli attacchi antistorici stile Di Battista alla Francia segnano definitivamente il passo, mostrandoci tutta la visione autoritaria. Faccio solo una domanda: Chi erano i 5 stelle degli anni ’70? La mia risposta è che i 5 stelle degli anni ’70 erano i brigatisti, rossi e neri. Dalla stella a 5 punte a 5 stelle. Gli italiani non hanno compreso a chi stavano affidando il Paese.

  4. Davidino

    PD+Europa si confermano partiti delle elite progressiste, cosmopolite ed anti-nazionali. Il loro ”appeal” per le masse per parlare in linguaggio globalista è pari a zero. La lista ”pro-Europa” ad ogni costo verrà pesantemente sconfitta alle europee ed anche in quel caso solo lo scarso risultato dei 5 stelle sarà motivo di consolazione. Ciò che sta avvenendo in Italia è semplicemente un decennio di necessario cambiamento della classe dirigente. Chi ha governato dal 1990 al 2017 ha fallito nel proteggere l’interesse nazionale, preferendo quello delle oligarchie transnazionali.

    • Henri Schmit

      Non mi piace il gergo nazional-sovranista, ma temo che il commentatore anonimo abbia ragione. La proposta Siamo Europei è triste revanchismo. Ho sentito il 12 febbraio Sandro Gozzi intervistato da 2 giornalisti su France24. Fa la sua bella figura perché in terra gallica è giustamente considerato come rappresentante della parte più illuminata, più razionale, più affidabile della scena politica italica. Gozzi prima confessa che il governo di cui faceva parte ha commesso 2 errori di tempismo: invece di promuovere delle politiche sociale (REI) e dell’immigrazione (Minniti) forti nel 2014, hanno aspettato fino al 2017. Aggiunge che per riformare l’UE ci vorrebbe proprio quello, una politica sociale e una politica dell’immigrazione comuni. Cioè (interpreto io maliziosamente) là dove l’Italia ha fallito si dovrebbe supplire con nuove politiche europee. Già che ci siamo, aggiungerei allora anche la sorveglianza bancaria. Spero che ci sia qualcuno che si renda conto dell’incoerenza del discorso di Gozzi. Questo ragionamento è il denominatore comune di tutti i programmi politici e governi italiani: non siamo capaci (perché voi ci limitate), quindi fate voi (con i soldi di tutti). Infine alla domanda sul sistema elettorale ormai sostanzialmente proporzionale, il simpatico Gozzi, grato per la domanda, risponde che se al referednum avesse vinto il sì allora di sicuro non ci sarebbero i problemi italo-italiani, italo-europei e italo-francesi di adesso. Con questo li vedo male alle europee.

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