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È arrivata la mini recessione attivamente cercata

Nel quarto trimestre 2018 l’Italia è entrata in una (mini) recessione. Ma al contrario di quello che dice il premier Conte, i dati su aspettative e investimenti aziendali dicono che il calo del Pil è stato in parte autoinflitto dal governo.

L’economia italiana in (modesta) recessione

Tanto tuonò che piovve. L’Istat ha confermato quanto atteso alla vigilia e cioè che – secondo una stima preliminare – l’economia italiana si è contratta per il secondo trimestre consecutivo rispetto al trimestre precedente. La qual cosa porta a concludere che l’Italia è in recessione in senso statistico (si dice così quando il valore del Pil depurato dalle componenti stagionali e al netto dell’inflazione scende per due trimestri consecutivi). Dal punto di vista sostanziale, tuttavia, non ha poi torto il ministro Giovanni Tria che, parlando dell’economia italiana “non vedo una recessione ma una stagnazione”. In effetti una sequenza come quella osservata di due numeri solo leggermente negativi (-0,1 nel terzo trimestre e -0,2 nel quarto trimestre) non sprofonda certamente il nostro paese in una seria spirale recessiva. Nei 44 trimestri che si sono succeduti da inizio 2008, di trimestri negativi ne abbiamo visti di ben più gravi: un quarto (undici) dei trimestri totali hanno evidenziato riduzioni del Pil trimestrale più grandi di 0,2 punti percentuali.

Rimane però il fatto che dopo 14 trimestri di crescita congiunturale consecutiva l’economia si è contratta nei due trimestri del secondo semestre 2018.  Il peggioramento dei dati congiunturali ha progressivamente ridotto la crescita tendenziale (quella annua) fino a farle sfiorare lo zero: nel quarto trimestre siamo arrivati a un +0,1 per cento rispetto allo stesso trimestre del 2017, mentre nello stesso periodo del 2017 l’economia stava crescendo annualmente un po’ più dell’1,6 per cento, al ritmo di uno +0,3/+0,4 per cento trimestrale. Non sono bei dati.

Di chi è la colpa

Del resto sull’arrivo della recessione anche il premier Giuseppe Conte, parlando con un giorno di anticipo rispetto all’Istat, aveva manifestato la sua attesa di “un’ulteriore contrazione del Pil, nel quarto trimestre”. Con una postilla di spiegazione preventiva “Non dobbiamo girare la testa. Ma il dato positivo è che non dipende da noi ma dalla Cina e dalla Germania, che è il nostro primo Paese per l’export”.

Non tutte le affermazioni del premier sono però corroborate dai fatti. Sulla base dei dati disponibili si può certamente individuare una parte delle difficoltà dell’economia italiana con una più deludente dinamica dell’export. Dati alla mano, la crescita dell’export nei primi tre trimestri del 2018 rispetto allo stesso periodo del 2017 (il dato ufficiale del quarto trimestre arriverà solo ai primi di marzo) è stata di poco superiore all’1 per cento, con un picco negativo nel primo – non nel terzo – trimestre 2018. Il dato 2018 sfigura rispetto al +4,2 medio realizzato nel triennio 2015-17. Insomma, è vero: nel 2018 l’export ha smesso di trainare la ripresa. E lo ha fatto risentendo in modo particolare del parallelo rallentamento della crescita del Pil nei paesi dell’Eurozona (dove va a finire il 40 per cento dell’export italiano) e del resto della Ue (che assorbe un altro 10 per cento). Anche l’apprezzamento dell’euro del 2018 rispetto al 2017 (pari al 7 per cento nei primi nove mesi dell’anno) può avere pesato sulla dinamica dei volumi esportati fuori dall’Eurozona.

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Ma l’esame di qualche figura indica che la recessione italiana non è tutta colpa degli altri paesi o governi italiani, ma sembra essere trainato da un forte peggioramento delle aspettative delle imprese e da un parallelo calo degli investimenti (oltre degli acquisti di beni durevoli delle famiglie). I dati mostrano un’elevata correlazione simultanea tra l’evoluzione della crescita del Pil trimestrale e gli indicatori di fiducia delle imprese. Nella figura 1 si vede l’indice di fiducia delle imprese calcolato dall’Istat. Nella figura 2 è riportato l’indice Pmi calcolato dalla società Markit dalle interviste con i responsabili degli acquisti aziendali. Tutti e due gli indici mostrano un’elevata correlazione più o meno contemporanea (nel caso del Pmi, lievemente anticipata) tra quanto avviene al Pil e la fiducia delle imprese.

Figura 1 – Crescita del Pil e indice di fiducia delle imprese 

Figura 2 – Crescita del Pil e Pmi di Markit per l’intera economia

Infine la figura 3 mostra come la fiducia delle famiglie abbia retto meglio rispetto a quella delle imprese. La ragione è che la fiducia delle famiglie è – come indica il grafico – fortemente correlata con l’andamento della disoccupazione (che rispecchia la crescita passata, non quella attuale).

Figura 3 – Fiducia delle famiglie e tasso di disoccupazione

Cosa è successo in questo periodo agli investimenti aziendali e alla spesa per le famiglie in beni durevoli, le due voci più direttamente connesse con gli indici di fiducia? Sul fronte della spesa delle famiglie (il 60 per cento del Pil italiano) i dati indicano un calo del consumo di beni, durevoli e non durevoli. Il calo dei beni non durevoli – pari a meno 0,5 per cento su base annua nei primi nove mesi del 2018 – è la prosecuzione di una tendenza strutturale in atto da tempo: durante la ripresa 2015-17 si è registrato un modesto +0,7 per cento annuo. Invece la recente brusca frenata del consumo di beni durevoli (+1,6 per cento su base annua, -0,1 per cento sul trimestre precedente) contrasta nettamente con la loro eccellente performance dei tre anni precedenti (+6,4 per cento annuo nel 2015-17). Lo stesso vale per gli acquisti di mezzi di trasporto aziendali – in crescita a doppia cifra nel 2015-17 – i cui acquisti si sono fermati nel terzo trimestre 2018, facendo scendere il dato annuo a un +18 per cento.

È possibile che una parte di questo brusco rallentamento sia il risultato dell’esaurimento degli acquisti di rimpiazzo di alcuni beni durevoli come le automobili (la parte del leone del mercato in un mercato maturo come l’Italia). Ma è improbabile che tale esaurimento e il correlato ridimensionamento della crescita dei beni durevoli sia avvenuto in modo così drastico in un solo trimestre. A cavallo tra il terzo e il quarto trimestre, invece, c’è stata una rilevante novità, cioè la presentazione di un disegno di legge di bilancio che, almeno fino a Natale, è stato male accolto dall’Europa e dai mercati. Durante questo periodo di tempo lo spread è salito a un massimo di 350 punti base e il Ftse-Mib (l’indice della borsa italiana) è sceso dal valore “estivo” di 22 mila a un deludente 18 mila a fine anno (-18,2 per cento).

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E ora che succede?

Sempre ad Assolombarda Giuseppe Conte ha parlato del futuro, che è poi quello che conta ora: “Se nei primi mesi di quest’anno stenteremo, ci sono tutti gli elementi per sperare in un riscatto, di ripartire con il nostro entusiasmo, soprattutto nel secondo semestre”. A documentazione delle affermazioni del premier, “fonti di Palazzo Chigi” hanno fatto sapere che “la manovra è entrata in vigore meno di un mese fa. Reddito di cittadinanza e quota 100 produrranno i loro effetti da aprile. È evidente a chiunque che la recessione tecnica del terzo e quarto trimestre 2018 è il risultato di fallimenti del passato”. E sottolineano: “Noi siamo qui per invertire la rotta, e lo stiamo facendo”.

In effetti, mentre la congiuntura internazionale rimane nuvolosa, almeno la versione finale della legge di bilancio 2019 frettolosamente rabberciata a fine anno ha tranquillizzato i mercati e l’Europa. Udite, udite: il bilancio 2019 prevede un andamento decrescente del deficit negli anni a venire (2 per cento per il 2019, 1,8 per il 2020 e 1,5 per il 2021): una cosa che forse neanche Padoan avrebbe scritto così in un periodo di recessione! Un’assunzione di responsabilità fiscale (solo sussurrata sui social network) che comunque arriva troppo tardi per aggiustare i dati 2018, ma in tempo per un buon inizio d’anno sia in Borsa che sul mercato dei titoli pubblici: lo spread è ritornato a 250 già a fine anno mentre in gennaio la Borsa ha fatto segnare un bel +10,5 per cento. Il cambio di rotta verso un maggiore rispetto delle compatibilità macroeconomiche così odiate da Lega e M5s quando erano all’opposizione sembra dunque avere un dividendo sui mercati. Come indicato nella figura 2, anche l’indice Pmi che misura la fiducia dei responsabili degli acquisti ha svoltato in su nel mese di dicembre. Una rondine non fa primavera, ma l’evidenza di un segno più dopo tanti mesi di segni meno è di buon auspicio. È quindi possibile che almeno la parte dei venti recessivi che il governo italiano ha autoinflitto all’Italia nei mesi precedenti sia in fase di riassorbimento. Rimane la componente internazionale che è largamente fuori del controllo dell’Italia. Ma riuscire nell’impresa di non infliggerci altro malessere economico da soli sarebbe già un grande risultato per affrontare le sfide dei mesi che vengono.

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41 commenti

  1. Savino

    Si è votato quasi un anno fa e la campagna elettorale, però, non è mai finita. Ancora stamattina, il sottosegretario Garavaglia prometteva “la flat tax per l’anno venturo”. L’instabilità politica, l’indecisione ed il dilettantismo su tutte le tematiche più importanti da parte del governo gialloverde hanno creato, inevitabilmente, sfiducia per chi dovrebbe investire. La prospettiva di crescita economica è sparita del tutto dall’agenda, lasciando ampio spazio ad argomenti bagatellari, fantasiosi o di costume. Questo è il governo che vuole chiudere i negozi la domenica, punire il sistema bancario, essere disumano verso poche decine di disperati, creare il far west con la sua idea di legittima difesa, impedire l’apertura dei cantieri, tassare le vecchie combustioni nell’habitat dell’automotive. Per di più, in una fase recessiva, aumenta il deficit per spesa di puro assistenzialismo. E’ questo il momento più sbagliato per mandare la gente in pensione sotto la soglia della naturale aspettativa, coi giovani che non rimpiazzeranno gli anziani e che, con le carriere discontinue, faranno fatica a pagare la caterva di neo baby pensionati che si annunciano. Così come i furbi e i nullafacenti intascheranno i soldi del reddito di cittadinanza che lo Stato prende in deficit per buttare nel cestino del voto di scambio m5s. Tutto questo viene fatto “in nome del popolo”, che si è fatto illudere, ma che, in verità, per il suo ostinato analfabetismo è il vero responsabile di questo scempio.

    • Francesco

      E’ vergognosa la faccia tosta di questo Governo. Sempre nel dare ad altri le responsabilità di accadimenti nefasti. Le valutazioni dell’ISTAT riguardano il 4° trimestre 2018 (e loro stanno da 7 mesi) ma è colpa di quelli che c’erano prima; la recessione è dovuta a calo di domanda interna e calo investimenti, ma la colpa è dell’economia globale ….. salvo il fatto che la componente export è l’unica con segno positivo. Che disperazione!!!!!!

  2. Davide K

    Rinnovo la domanda: che andamento ha avuto il differenziale di crescita italiana rispetto alla media europea?
    Pienamente d’accordo sul non gradire irresponsabilità fiscale e quant’altro, però bisogna anche valutare oggettivamente se il comportamento relativo dell’Italia sia peggiorato, oppure no.

    • francesco daveri

      Oggi (q4 2018) la crescita annua dell’Italia è a 0,1 conto 1,2 dell’eurozona. un anno fa (q4 2017) era 1,6 contro 2,7. due anni fa (q4 2106) era 1,3 contro 2,1 cioè il delta era 0,8, cioè un po’ più bassa ma di poco. insomma, siamo sotto di un punto percentuale rispetto all’eurozona da 25 anni circa.

      • Massimo GIANNINI

        Con questa risposta lei rinnega la conclusione del suo articolo dove si è “inventato” al solito correlazioni (fiducia/aspettative e PIL) e relative colpe. Se il differenziale con l’eurozona rimane lo stesso significa invece una correlazione vicino a 1 con la congiuntura internazionale ovvero il nostro PIL cresce se cresce quello europeo e quasi indipendentemente dal governo. Per il resto i suoi grafici mostrano che il trend delle aspettative/fiducia si è deteriorato già da gennaio 2018 mentre il grafico pubblicato dall’Istat mostra variazioni congiunturali e tendenziali del PIL in ribasso da metà 2017 ( https://www.istat.it/it/files//2019/01/FLASH_2018q4f.pdf ).

        • francesco daveri

          Guardi qui la domanda è molto semplice: cosa ha fatto andare il paese in recessione nel secondo semestre 2018. nei trimestri precedenti c’era stato un rallentamento ma niente che facesse preludere a quello che è avvenuto negli ultimi mesi. Una cosa che ho dimenticato di scrivere è che l’Istat scrive “Dal lato della domanda, vi è un contributo negativo della componente nazionale (al lordo delle scorte) e un apporto positivo della componente estera netta”. Non è tutta colpa della Germania e della Cina, probabilmente.

        • Fabrizio Ferrari

          @Massimo Giannini Mi scusi, ma che ragionamento è? Secondo lei, è indice di uguale capacità del governo ed adeguatezza della politica economica il fatto che l’economia italiana acceleri di 1/12 o 3/5 rispetto a quella dell’Eurozona? Cioè: un governo che ottiene una crescita dell’1% quando l’Eurozona cresce del 2% ha attuato, a suo avviso, una politica economica efficace come quella di un governo che ottiene una crescita del 4% quando l’Eurozona cresce del 5%, solo perché il delta è pari all’1%? A me non sembra filare molto…

        • Filippo Ottonieri

          Ma la matematica non è fatta solo di addizioni e sottrazioni. Se l’Italia ha una minore produttività del resto d’Europa (il “se” è pleonastico), sarebbe semmai più logico che ci sia un fattore moltiplicativo che “scali” la crescita italiana (e “gonfi” la decrescita), piuttosto che un “differenziale”. Poi è chiaro che la nostra crescita in realtà è fatta di fattori interni ed esterni, ma il segno meno di questo trimestre è fatto dalla somma di un contributo positivo delle esportazioni e uno negativo della domanda interna.
          Il problema, ahimè, è che non sono solo i nostri governanti a negare l’evidenza.

      • Davide K

        La ringrazio per la risposta celere e precisa e per la disponibilità.
        La mia opinione è che, se cresciamo stabilmente un punto meno dell’eurozona, sia difficile incolpare i provvedimenti degli ultimi mesi per l’attuale recessione. Almeno a prima vista, perchè dovremmo parametrare il tutto anche ai deficit fatti. E’ certamente più facile avere numeri migliori nel breve termine, con politiche di manica larga. Anche su questo, però, occorre attenzione, perchè pure il deficit stesso risente del ciclo generale.
        Il punto, per me, è un altro: perchè cresciamo sempre un punto meno? Quello che si è fatto e si sta facendo è utile o controproducente allo scopo? Penso che tra irresponsabilità fiscale ed irrigidimento del mercato del lavoro non si vada di certo nella giusta direzione.
        Però c’è da riflettere anche su quanto visto in passato: la presunta responsabilità fiscale di Monti, ad esempio, è stata un completo fallimento, perchè sbilanciata fortemente sulle entrate (alcune delle quali demagogiche e controproducenti, come il superbollo auto) – coerentemente con il recente articolo di Favero sul lavoro di Giavazzi ed Alesina.
        Ultimi anni con Padoan meglio, ma la domanda è inevitabile: è un lavoro che ha dato risultati, in termini di crescita (rispetto agli altri), oppure no? O forse ci stiamo dimenticando altre cose, tipo la tutela dei diritti di proprietà, di chi investe, della caccia alle streghe dell’evasione, dell’iper regolamentazione, della concorrenza, e via dicendo?

  3. Marcomassimo

    la recessione era del tutto prevedibile per due motivi:
    1) il calo delle esportazioni pe rallentamento globale;
    2) le beghe con l’europa e l’aumento dello spread; beghe in cui l’Italia per antica mellenaria tradizione è sempre vaso di coccio tra vasi di ferro; se vuoi fare il vaso di ferro devi semplicemente fare una tassa patrimoniale terrificante e ricomprarti quanto meno la metà del debito publico; ma gli italiani non hanno tradizionalmente il fegato per gli slanci patriottici estremi;e il governo non ha la forza e la faccia per azioni radicali, preferisce tirare a campare.

    Vedremo se i due fattori si accentueranno o verranno meno; per quanto riguarda il secondo incideranno ovviamente i risultati delle elezioni europee prossime venture; sicuramente l’economia, come tutti sanno è fatta pure di lume di naso e di emozioni; e le varie emozioni in gioco nono state certo positive;

  4. Michele

    Niente di nuovo sotto il sole: 1) la voglia di tanti – anche dell’articolo – di leggere i numeri in chiave di propaganda politica, perché la prima manovra timidamente redistributiva da decenni da fastidio a molti, che ora quindi sono felici di vedere numeri macro negativi 2) da 10 anni e forse più l’economia italiana cresce la metà dell’europa quando le cose vanno bene, rallenta/decresce più dell’europa quando c’è stagnazione/crisi. 3) tutti i governi che abbiamo avuto dal 2007 in poi non sono riusciti ad incidere neanche minimamente su questo andamento strutturale. Lo si può fare in 6 mesi? 4) la componente della domanda aggregata che più manca all’appello sono gli investimenti privati – ancora inferiori di più del 20% rispetto al 2007 – malgrado decine di miliardi di incentivi vari (soldi buttati dallo stato e tesaurizzati dalle imprese che ci hanno pagato dividendi) 5) malgrado tutta la flessibilità (sarebbe meglio dire precarizzazione) introdotta nel mercato del lavoro, la produttività è stagnante, smentendo tutti i cantori del libero mercato del lavoro 6) ci sono poi dettagli congiunturali per nulla legati allo spread: il rallentamento del mercato dell’auto a cui non sono estranei i problemi strategici della societa USA – unico produttore di auto in Italia – e politiche/annunci masochistiche sull’auto elettrica e sui futuri blocchi della circolazione alle auto diesel che certo non invogliano gli acquisti delle famiglie 7) sugli andamenti della borsa italiana hanno inciso gli andamenti mondiali dei mercati borsistici molto più che la legge di bilancio o lo spread 8) sulle aspettative delle imprese e sul calo di fiducia delle famiglie ha inciso una campagna di comunicazione decisamente ostile a questo governo, perché la redistribuzione non piace a chi ha più possibilità di far sentire la propria voce.

    • francesco daveri

      Lei approfitta della disponibilità al dialogo e al confronto che è tipica di questo sito con la libertà di offesa. La propaganda politica la fa qualcun altro, non noi. io personalmente ho sempre assunto su posizioni critiche sulle finanziarie di TUTTI i governi precedenti, quindi se vuole continuare a vedere pubblicati i suoi commenti la prego di smettere con le offese. detto questo, ho due osservazioni al suo commento. la prima è che il suo commento omette di considerare che gli annunci hanno un effetto piuttosto rapido sulle decisioni delle persone e delle imprese, molto prima che le politiche annunciate siano attuate. La seconda cosa è che redistribuire il reddito facendo deficit cioè facendo pagare a quelli che vengono dopo è facile così come la cosa più facile (non solo in politica economica ma anche nella vita professionale e personale) è dare la colpa agli altri. I problemi invece li risolvono le persone che se ne fanno carico, non quelli che danno la colpa agli altri.

      • Michele

        La propaganda politica è cosa assolutamente lecita. Non ci vedo nessuna offesa nel dire a qualcuno che sta supportando le proprie idee politiche. Detto ciò, se non gradisce leggere opinioni diverse dalle sue, ben volentieri esprimerò le mie opinioni da qualche altra parte. Cordiali saluti.
        Ps: le sue due osservazioni non toccano la sostanza di quanto ho scritto e cioè che tra l’andamento del GDP nel Q3 e Q4 del 2018 e le politiche di questo governo il legame è assolutamente labile

        • francesco daveri

          Mi pare che non ci intendiamo. Io adoro leggere e controbattere opinioni diverse dalle mie. E infatti le sue opinioni diverse dalle mie le discuto, mentre mi ribello alle sue offese. Le ripeto che fare propaganda politica su un sito come lavoce non va bene, non vogliamo farla e facciamo di tutto per non farla noi e per non farla fare ai nostri collaboratori. tant’è che quando un redattore ha un incarico istituzionale esce temporaneamente o permanentemente dalla redazione. E quando uno che scrive un pezzo ha un incarico che potrebbe configurare un conflitto di interessi mettiamo un asterisco di fianco al suo nome per indicarlo ai lettori. Sulla sua valutazione di “labilità” delle relazioni che indico, non sta a me a giudicare. è però curioso che i mercati siano saliti e lo spread sia sceso dopo l’approvazione di una finanziaria meno sconsiderata di quella che era stata proposta. A me sembra una conferma del fatto che gli annunci e le aspettative contano.

          • Michele

            Gentile Prof. Daveri, capisco quello che scrive e mi verrebbe da dire che ci mancherebbe altro. Non devo però ricordarle io il dibattito sulla cosiddetta “neutralità” epistemologica delle scienze, figuriamoci dell’economia politica. Per sdrammatizzare chiudo con una celebre frase del grande Banksy: «If we wash our hands of the conflict between the powerful and the powerless, we side with the powerful – we don’t remain neutral.» Un cordiale saluto

    • Henri Schmit

      Firmi questo commento fazioso almeno con il nome intero. Il mondo digitale è pieno di troll. Ha ragione, signor innominato, di evidenziare il problema degli investimenti privati in un’economia che descresce e dove la produttività è ferma. Non molto peggio rispetto a prima, insomma. Mancano gli investimenti domestici, esteri o esterovestiti e fuggono pure i capitali. Tutto colpa – come durante la precente legislatura – di una congiutura internazionale sfavorevole e di troppi vincoli esterni, causa della recessione, dei fallimenti aziendali e delle sofferenze bancarie. Diamo altri dodici mesi al governo del rinnovamento attraverso un reddito sociale incoherente ed inefficace e una quota 100 delle pensioni molto onerosa e senza effetto sui consumi, e tutto cambierà! Temo di sì, ma sarà molto molto peggio. L’Europa ha paura dell’Italia e gli Italiani hanno paura per i loro figli.

    • bruno puricelli

      Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire: se si ha fede non si dubita!
      Dopo Copernico e Galileo c’è chi resta legato a Tolomeo. Invece, salvo un miracoloso coniglio dal cilindro, bisognerebbe confidare di più nei dati ufficiali.
      Di Maio dice che ci sono soldi da spendere, circa 150 mlds in 3 anni. Solo se li troverà avrà avuto ragione !!!

    • Fabrizio Ferrari

      Caro Michele, è troppo comodo sparare a zero nascondendosi nell’anonimato; se vuoi metterti in gioco con le tue idee ci devi mettere la tua identità, assumendoti la responsabilità e la paternità delle tue affermazioni. Detto questo, la tua lettura della realtà mi sembra molto ideologica e poco resistente al controllo empirico e logico. Sul punto 5), la flessibilizzazione del mercato del lavoro non è volta ad incrementare la produttività del paese (per quello ci vogliono investimenti in istruzione e capitale umano, riforme delle scuole, eliminazione delle piccole e micro-imprese, ecc.: tutti elementi che vanno pensati e concepiti come variabili-stato, su cui le variabili-scelta delle policy adottate di anno in anno possono avere effetti solamente graduali e di lungo periodo; 30 anni perduti non si recuperano facilmente…), ma ad incentivare le assunzioni ed a provare a ridurre il CLUP: se non possiamo competere sulla produttività, dobbiamo competere sui salari. Sul punto 7), o scrivi senza cognizione di causa o menti in mala fede: i valori medi del mercato azionario (ho preso questi dati OECD https://data.oecd.org/price/share-prices.htm) tra maggio e dicembre sono calati di più in Italia (-18,8%) che in Francia (-17%), USA (-8%), Germania (-17%), Eurozona (-14,8%) e Spagna (-13,4%); quindi, come vedi, è sì vero che la situazione è peggiorata un po’ per tutti, ma per noi maggiormente rispetto agli altri.

    • Fabrizio Ferrari

      Errata Corrige: Francia (-14,4%) (ho fatto i conti di fretta, mi scuso. Gli altri dovrebbero essere corretti, in ogni caso c’è il link per controllare).

      • Michele

        Indice Dow nel 2007 sotto 15.000 punti; 2019 sopra i 25.000
        FTSEMIB: nel 2007 circa 45.000 punti; 2019 circa 20.000

        Ne è responsabile l’ultimo governo italiano?

        Un cordiale saluto

        • Fabrizio Ferrari

          Guarda che aggiungere una verità non ne cancella un’altra: tu hai scritto che “sugli andamenti della borsa italiana hanno inciso gli andamenti mondiali dei mercati borsistici molto più che la legge di bilancio o lo spread”, e io ti ho dimostrato che è una verità parziale: la nostra borsa, da quando si è insediato questo governo, ha perso più di quelle analoghe del resto del mondo. Poi si può anche sostenere che la situazione attuale del paese non sia tutta colpa di questo governo (e su questo concordo con te, come credo faccia anche il prof Daveri), ma che il presente governo stia peggiorando un trend macroeconomico che potrebbe essere gestito altrimenti è un fatto (come i numeri di Daveri e quelli del mio commento precedente dimostrano). E, di nuovo, ti esorto ad uscire dall’anonimato, perché così è troppo comodo: io, se sbaglio, ci rimetto con un nome ed un cognome identificabili (per quanto non sia nessuno di celebre, ma comunque intervengo saltuariamente su questo sito), mentre tu (in teoria) puoi scrivere quello che vuoi impunemente, senza alcuno stigma o perdita di reputazione.

          • Michele

            Gentile signore, lei non ha dimostrato proprio niente, ha espresso le sue opinioni personali, con quattro numerelli. Qui ne vede di simil e divertenti: http://www.tylervigen.com/spurious-correlations. E in ogni caso io non l’ho accusata di “scrivere senza cognizione di causa” o di “mentire in mala fede” come invece ha fatto lei, peraltro qualificandosi da solo, pertanto tenga per lei le sue raccomandazioni. Un cordiale saluto

  5. Dario

    Andamento decrescente del deficit per gli anni a venire, nell’ipotesi di un’IVA al 25% però. Non c’è da star tranquilli

    • francesco daveri

      Che dire, all’Europa e ai mercati è andato bene così. Che l’equilibrio di bilancio 2020 e 2021 sia affidato a aumenti di imposte indirette che nessuno vuole.

  6. Pietro Brogi

    Propaganda propaganda propaganda!!! Ma nessun economista serio che cerchi di essere fuori dall’agone politico e dica chiaramente che una gran parte dell’andamento economico non è influenzato dalla politica?
    Se poi vogliamo soffermarci sulla porzione di economia che è stata influenzata dalla attività politica sarebbe interessante sapere se l’influenza negativa sia stata causata più dalle sparate giustificate o meno sui provvedimenti talora approssimativi ma probabilmente mediamente non peggiori di quelli a cui eravamo storicamente abituati o dagli stessi provvedimenti, ancora non in funzione……
    Certo che alcuni provvedimenti sono poco equi, ed a questo proposito sarebbe interessante studiare un indice di equità con cui valutare quanto l’azione di un governo abbia inciso sulla iniquità e quindi contro la Costituzione….invece di fare propaganda sarebbe un interessante contributo da dare alla Società e spero che qualche professore universitario raccolga questo stimolo. Se poi qualcuno del Governo raccogliesse il suggerimento di lavorare sul coinvolgimento delle imprese nella formazione di nuovo lavoro coperto dal Reddito di Cittadinanza fino al valore del costo del lavoro sui versamenti IVA, forse si potrebbe determinare una influenza positiva maggiore sul PIL. Speriamo poi in una Europa che sviluppi la unione finanziaria estendendo a tutti i paesi i vantaggi di interessi bassi, eliminando lo spread tramite eurobond garantiti con precedenza di rimborso.

    • francesco daveri

      Signor Brogi, nel mio articolo mi pare di aver fatto un’analisi dettagliata, puntuale e il più possibile comprensiva dei dati e dei problemi che lei solleva. Se a lei è parsa propaganda, la invito a leggere la mia risposta a “Michele”

      • Pietro Brogi

        Signor Daveri, il ripetuto termine propaganda iniziale si riferisce ad un antipatico e poco produttivo sistema con cui si approcciano all’economia non solo i politici ma ormai spesso anche gli economisti, cioè approcciare spesso le sensazioni più che gli incontrovertibili dati. Mi piacerebbe per esempio che si cercasse di capire quanto il valore numerico dato all’indice di fiducia sia imputabile ad una insoddisfazione per le politiche del governo e quanto alle situazioni economiche contingenti, nella mia esperienza di dirigente industria ho assolutamente privilegiato nella compilazione dei forecast le situazioni congiunturali. Comunque nell’analisi visiva dei grafici di corrispondenza tra indici di fiducia ed andamento PIL vedo anche delle significative divergenze, forse si potrebbero analizzare le variazioni delle funzioni derivate delle due curve per avere più indicazioni sui periodi temporali significativi.
        Mi piacerebbe anche che lei intervenisse con lo stesso metro con cui ha risposto ad un precedente commento anche ad altri commenti che vedevano le cose da parte politica opposta e con termini dispregiativi che non aggiungevano alcun contributo al dibattito.
        Mi piacerebbe anche un commento sulle proposte da me sommariamente indicate: forse troppo utopistiche?
        Credo che abbassare i toni sia sempre il modo migliore di affrontare i problemi. Mi scuso di non esserci riuscito.
        Buon lavoro!

    • Henri Schmit

      Ottima idea! Cogliamola al volo! Che abdichi l’Italia dal governo delle sue finanze e della sua economia! Non potrebbe andare peggio di adesso. Basta trovare un principe straniero che accetti il ruolo. Non l’UE (le autorità dell’eurozona), che purtroppo non ha potere di decidere la politica fiscale dei suoi partecipanti. Può solo fissare linee direttive per chi intende convergere. E l’Italia ha dimostrato di non stare a quelle regole flessibili. Serve quindi la costrizione. Purtroppo manca il principe (nonostante i tanti sovranisti).

    • Aram Megighian

      Premetto che non mi intendo di economia, ma mi intendo di quello che alla fine governa l’economia: la decisione. E la decisione la prende un cervello, anzi la regione frontale di un cervello associata ad altre regioni anche profonde e più “antiche” evolutivamente da essere presenti anche in un insetto, che prende anch’esso le sue decisioni, nel contesto ecofisiologico in cui vive.
      Data questa premessa è quindi indubbio che una componente “cerebrale” sia presente, la qual cosa rende affascinante per qualche economista (o preoccupante per altri) l’indagare la natura intima e il “codice” neurale che porta alla decisione (Neuroeconomia). Ed è quindi altrettanto indubbio che anche semplici parole, attese, proposte o nuovi fattori messi in campo per migliorare la decisione, hanno un effetto, positivo o negativo che sia.
      La decisione presa ha degli effetti e delle conseguenze. Un processo simile è quello che interessa l’atto medico. Posso osservare un malato, prendere atto che ha una patologia, considerare, sulla base delle mie conoscenze ed esperienza, che quella patologia porterà a determinate conseguenze più o meno gravi sulla base dei dati fisiologici del malato stesso. Non è una certezza assoluta (matematica) ma probabilistica (statistica). Posso non fare niente, oppure somministrare un trattamento con l’idea di migliorare la salute del malato, basandomi sul fatto che quel trattamento, probabilisticamente, ha migliorato la patologia in altri malati. Rendo l’idea ?

  7. Luca Ba

    Tutto ampiamente prevedibile già questa primavera, nell’azienda dove lavoro ci stavamo già preparando a questo scenario almeno da aprile. Un ovvio rallentamento dell’economia mondiale a causa di vari fattori associata ad una sostanziale incapacità nella gestione economica di questo governo. Vediamo che faranno il tempo per dare una sterzata per ora c’è ma non sprechiamolo, ripensiamo la manovra e l’impostazione economica senza criticare chi parla dei problemi ma affrontandoli.

  8. Paolo

    “Tutti e due gli indici mostrano un’elevata correlazione più o meno contemporanea (nel caso del Pmi, lievemente anticipata) tra quanto avviene al Pil e la fiducia delle imprese.”
    Ma le aspettative delle imprese tengono solo conto delle dichiarazioni di Salvini o cercano di analizzare le prospettive di domanda dei loro prodotti. Se prevedo una contrazione di vendite è ovvio che non faccio investimenti, indipendentemente dal governo che c’è, no? Aspettative negative che si ampliano e si auto realizzano.

  9. Carlo Barontini

    Venti recessivi in assorbimento? Non mi sembra proprio con il PMI di gennaio a un drammatico 47.8 con tutti gli altri paesi europei in salita. Nienti happy ending, ahimè E altresì sonora smentita a chi afferma che la recessione abbia carattere esogeno… E non per niente spread e borsa hanno cominciato ad andar male e in controtendenza (rendimenti e spread a 10 anni +13bps ma soprattutto a 2 anni +14 interrompenso una discesa di settimane). Sarà interessante leggere un aggiornamento!

  10. Stefano Asterino

    Questo articolo è una chiara evidenza perché la gente non si fida più dei c.d. competenti. Perché ormai sono talmente schierati da aver perso autorevolezza. Ormai dall’introduzione dell’euro in poi tutti gli stati europei puntano all’export per crescere e noi stiamo vivendo la prima guerra commerciale tra USA, Cina e Europa. La politica di dazi comporterà che per mantenere lo stesso tasso di crescita occorrerà puntare sulla domanda interna. Questo spiega le politiche redistributive (e con i vincoli di bilancio non potrebbero essere altrimenti). Peraltro non si dice che la Francia sta aumentando il proprio deficit per incrementare il proprio reddito minimo, che la Spagna ha fatto la politica di bilancio più di sinistra degli ultimi 10 anni. Però il pezzo forte dell’articolo è che la crisi del 2018 non è colpa delle politiche di bilancio 2018 (decise dal precedente governo) bensì del nuovo che ha adottato un decreto collegato in vigore da ottobre e un legge di bilancio in vigore dal 2019.. E per giustificare le tesi POLITICHE si utilizza il dato della fiducia delle imprese. E facile immaginare che le imprese avranno ridotto gli investimenti non perché non gli piace il governo ma perché con le tensioni internazionali in atto rischio di trovarmi con il magazzino invenduto salvo indebitarsi ulteriormente con le banche. E’ il profitto che li guida non le preferenze politiche..Si candidi, non è più un economista neutrale. Altri lo hanno fatto (Bagnai). Lo faccia anche Lei.

    • francesco daveri

      Caro Asterino, quante correlazioni date per scontate nel suo commento, complimenti per le granitiche certezze! Non so cosa intenda per “economista neutrale”. forse ha in mente la vecchia frase disperata del presidente Truman che – per stigmatizzare l’abitudine dei suoi consiglieri di dargli opinioni equilibrate accompagnate dall’espressione “on the one hand …., on the other … ” pregava di dargli un economista con una mano sola. Nella critica che mi fa lei dimentica che l’economia è una scienza sociale che fa fatica a fare gli esperimenti di laboratorio delle altre scienze. Quindi l’economista neutrale non esiste. Esistono invece gli economisti e i commentatori prezzolati al soldo di qualche finanziatore o partito, ma io non sono tra questi. Come mi è già capitato di ricordare ad altri miei estimatori come lei, da anni scrivo articoli di commento critico delle misure dei vari governi: anche di quelli prima, si informi ad esempio su questo sito e sul corriere. e lo faccio in completa libertà e senza nessuno che me ne detti il contenuto: è un grande privilegio. Posso sbagliare come tutti ma lo faccio in totale indipendenza e buona fede. In più svolgo con piacere e passione il mio lavoro in università e quindi non vedo la ragione di cambiare per candidarmi a farne un altro. Lo hanno fatto altri (lei cita Bagnai) e avranno avuto le loro ragioni, io non le ho.

    • Henri Schmit

      Non sono economista, ma neutrale. L’unione doganale, il mercato comune poi la moneta unica hanno creato un’economia di mezzo milliardo di persone, consumatori e risparmiatori. L’opportunità è immensa per chi è libero di produrre e vendere prodotti e servizi all’interno. Questo io l’ho studiato QUASI 40 ANNI FA all’università (giurisprudenza e finanze dell’UE-CEE), non è una novità. Tutti i paesi (con governi efficienti) da almeno tre decenni adottano misure per favorire l’investimento (e quindi l’export) sul loro territorio. Chi in questi anni ha parlato di altro (mani pulite, federalismo, liberismo, riforme costituzionali, leggi elettorali, flat tax etc), invece di pensare a quello che conta prima di tutto, un economia efficiente e crescente che procura lavoro e risorse per i servizi pubblici, non può svegliarsi ora contestando i vincoli esterni (violati) e promuovere la crescita attraverso improbabili stimoli alla domanda interna: festeggiano gli importatori! Nel 2005 (circa) l’Italia doveva contestare lo sforamento di D e F, ma ha fatto l’opposto; tutti (anche IlS24Ore, Ceretelli) gridavano “allora anche noi!” senza rendersi conto che con questo il paese si stava scavando la fossa per una morte lenta; non sono bastati i pochi ministri valorosi come Padoa-Schioppa. Certo, durante la legislatura precedente sono state commesse errori clamorosi (imu, 80€), per le stesse ragioni demagogiche di adesso, ma non per questo bisogna tacere ora l’inaudita perserveranza nell’errore.

      • Stefano Asterino

        Sig Schmidt, in questa replica ha dimostrato di aver compreso più di tanti economisti che scrivono su la voce.. Nel 2005 alcuni Paesi europei sforarono le regole di bilancio per assicurarsi un vantaggio competitivo (vedi riforma lavoro tedesco e costi delle politiche del lavoro) ed oggi con colpevole ritardo cerchiamo di fare la medesima cosa per recuperare lo svantaggio (con politiche della domanda o offerta non cambia) ci dicono che non possiamo perché abbiamo i vincoli di bilancio. Nel 2005 eravamo tutti drogati di bassi tassi di interesse la bolla immobiliare è nessuno dei nostri economisti (Daveri Lei dove era?) ci ha avvertito che i tedeschi stavano adottando una svalutazione competitiva cioè una manovra economica ostile in un sistema di cambi fissi finanziata peraltro in deficit. E invece che protestare abbiamo pensato a fare un altra plusvalenza immobiliare. Ed oggi come gli spagnoli ci troviamo con immobili invenduti mentre le nostre quote di mercato sono passate ad altri. Tutti i Governi passati invece che protestare con vincoli di bilancio che favorivano i Paesi vittoriosi da questa guerra commerciale strisciante hanno solo rinviato la resa dei conti per il nostro Paese. Quindi questo Governo ha solo ereditato il compito di gestire il processo di liquidazione avviato da altri..

        • Henri Schmit

          Non so se io ho compreso, ma so che Lei non ha compreso me: io sono perfettamente d’accordo con il prof. Daveri, e non solo per questo articolo. Non mi ritrovo invece nelle sue affabulazioni. Critico tutte le politiche demagogiche italiane degli ultimi 20 anni. Le misure promosse durante la precedente legislatura tendevano spesso verso queste deviazioni di breve respiro. Quelle dell’attuale governo stanno portando il paese verso il disastro, una ripetizione in peggio del 2011.

          • Stefano Asterino

            Caro Schmit il disastro del 2011 lo intende riferito alle politiche del Governo Berlusconi o quelle del Governo Monti? Perché le famose misure di Monti distrussero la domanda interna del nostro Paese (es. l’incremento dell’IMU sui negozi si tradusse in un conseguente aumento delle locazioni commerciali ai danni delle attività economiche). La riduzione del reddito disponibile per le famiglie migliorò la bilancia commerciale con l’estero (furono drasticamente ridotte le importazioni), ma peggiorò il PIL. Nel 2012 Governo Monti il nostro PIL crebbe solo dello 0,4% a confronto di una media europea dell’1,5%. Il tasso di disoccupazione passò dal 8,6% del 2011 al 10,6% nel 2012 con un incremento di 2.2% rispetto al 2011 (mentre per il resto di europa il peggioramento nel 2012 fu solo di 0,7%). La produzione industriale nel 2012 scese di 6,1 punti percentuali rispetto al 2011 (rispetto ad una media europea di -2,1%). E tali misure di austerity non produssero effetti sul rapporto debito pubblico/PIL che passò nel 2012 dal 120,8% al 127% (con un peggioramento di 6,2 punti percentuali rispetto al 2011 a fronte di un peggioramento medio in Europa di 2,8 punti percentuali). L’unico risultato positivo fu la riduzione del rapporto deficit/PIL dal 3,8% al 3,0%. Di fatto per rispettare i vincoli europee, a fronte della nostra spesa interessi, dovremmo conseguire avanzi primari così elevati da abbattere il nostro PIL. L’operazione è riuscita ma il paziente è morto. Come avvenuto con la Greci

          • Henri Schmit

            Intendo le poltiche del governo Berlusconi che hanno portato il paese al baratro. Lo spread a 550 era l’indice dell’inadeguatezza. Il governo Monti supportato da una maggioranza trasversale ha dovuto adottare – come rimedio – misure di rigore, di austerità, per evitare la fine della Grecia. La causa profonda della recessione che seguiva sono quindi (oltre la crisi mondiale del debito fasullo) le politiche italiane pregresse che favorivano un debito pubblico eccessivo e privato fasullo (cf. npl). Anche su questo sono – modestamente – in perfetta sintonia con quanto affermato negli ultimi giorni dal prof. Daveri alla tv. Chiudo.

  11. Michele

    Prima tifavano per lo spread, sperando che fermasse il brutto e cattivo governo votato dagli elettori. Purtroppo la speranza è fallita. Allora si facero voti alla Commissione Europea e alla procedura di infrazione, ma anche qui niente. Ora ci si applella alla recessione, sperando che almeno quella faccia tornare i bei tempi passati degli incentivi per investimenti e per assunzioni alle imprese che poi regolarmente non investivano e anzi licenziavano o magari finivano con la vendita a investitori stranieri, ovviamente senza pagare tasse grazie alla pex e a rivalutazioni varie.

  12. Maurizio Sbrana - Lucca

    Ma siamo proprio certi che data la ‘complessità’ del SOMMERSO in Italia…, le nostre statistiche sul PIL siano esatte ???

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