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Tutti i numeri della disuguaglianza

Il rapporto Oxfam sulle disuguaglianze certifica una sempre maggiore concentrazione della ricchezza. Eppure, alcuni risultati nella lotta alla povertà ci sono stati. L’arma migliore è l’accesso universale a servizi pubblici come educazione e sanità.

Disuguaglianza in crescita

Citando i dati del World Inequality Report, Oxfam certifica che tra il 1980 e il 2016 l’1 per cento più ricco della popolazione mondiale ha percepito il 27 per cento dell’aumento del reddito globale, mentre al 50 per cento più povero è andato solo il 13 per cento (figura 1). È il cosiddetto elefante di Branko Milanovic che spiega chi ha più beneficiato della crescita negli ultimi decenni. Viceversa, i principali perdenti sono tra il 50esimo e il 90esimo percentile della distribuzione globale, ovvero le classi medie dei paesi più sviluppati.

Figura 1 – Incremento del reddito per percentile, 1980 – 2016

Fonte: Elaborazione Oxfam su dati del Wealth Inequality Report derivanti da dichiarazioni fiscali

La disuguaglianza nei redditi è generalmente più ridotta rispetto a quella nei patrimoni (figura 2 e 3), alimentata soprattutto dai redditi da capitale. In entrambi i casi, per confrontare i vari paesi si usa come unità di misura il valore espresso in dollari a parità di potere d’acquisto (Ppp).

Figura 2 – Quota della ricchezza totale detenuta dall’1 per cento più ricco

Fonte: Global Wealth Report

Le statistiche sulla ricchezza di Oxfam si basano sui dati del Global Wealth Report di Credit Suisse che misura la ricchezza netta, ovvero il patrimonio personale al netto dei debiti. Questa metodologia può quindi far apparire più povero chi si finanzia a debito. Anche per questa ragione l’Italia, dove molte famiglie a medio-basso reddito sono comunque proprietarie della casa, risulta avere una distribuzione meno diseguale di altre nazioni dove le famiglie sono fortemente indebitate, come gli Stati Uniti. Dalla crisi del 2007, in quasi tutti i principali paesi la quota percentuale della ricchezza detenuta dall’1 per cento più ricco è aumentata. Una tendenza simile si è verificata dal 1980 a oggi per quanto riguarda i redditi, con i livelli maggiori di disuguaglianza nei paesi emergenti come India, Russia e Brasile.

Figura 3 – Quota di reddito del 10 per cento più ricco sul totale nazionale

Fonte: World Inequality Report

La povertà estrema

Come la stessa Oxfam riconosce, le statistiche ufficiali della Banca mondiale ci dicono che il numero di persone che vivono in povertà estrema (meno di 1,9 dollari al giorno) si è più che dimezzato negli ultimi decenni, nonostante la crescita della popolazione, passando da 1,9 miliardi nel 1990 a 736 milioni nel 2015. Tuttavia, al di là dei progressi fatti, e che è bene sottolineare, vanno tenute in considerazione alcune questioni. La stessa Banca mondiale ritiene inadeguata la soglia di 1,9 dollari al giorno per misurare la povertà nella sua multidimensionalità. Applicando le nuove soglie di 3,2 dollari per i paesi a reddito medio-basso e di 5,5 dollari per i paesi a reddito medio-alto, le persone in povertà assoluta risulterebbero 2,37 miliardi nel 2013 (tabella 1). Circa metà della popolazione mondiale vive ancora sotto i 5,5 dollari al giorno perché gran parte di chi è uscito dalla povertà estrema negli ultimi anni tuttora non riesce a garantire alla propria famiglia un futuro diverso dalla mera sussistenza.

Tabella 1 – Censimento della povertà globale in base alle nuove soglie della Banca mondiale, 2013

Fonte: Elaborazione Oxfam su dati Banca mondiale

Negli ultimi anni grandi progressi sono stati fatti nella lotta alla povertà in America Latina e Asia, ma la povertà assoluta è cresciuta nell’Africa subsahariana, dove il 65 per cento della popolazione non ha ancora accesso all’elettricità, e in molti paesi occidentali in seguito alla crisi.

E la risposta qual è?

Nonostante i progressi registrati, quindi, il problema della disuguaglianza è tutt’altro che risolto. Ma in che direzione andare per invertire alcuni trend e combatterla ulteriormente? Secondo l’Oxfam, la risposta risiede nei servizi pubblici, dalla salute all’educazione, passando per il welfare e le pensioni. Occorre migliorarne non solo la qualità, ma anche l’equità.

Nel corso degli anni alcuni risultati sono stati incoraggianti: dall’accesso alla scuola di primo grado alla mortalità infantile. Se prendiamo i dati Unicef sull’accesso all’acqua potabile, la percentuale mondiale di persone che ne può usufruire senza spostarsi per più di 30 minuti è di recente aumentata dall’81 all’89 per cento.

Figura 4

Tuttavia, il problema è ancora grande e le disparità fra singoli paesi e all’interno di ciascuno di essi parlano spesso meglio dei dati globali. Ad esempio, mentre in Rwanda e Tailandia (che hanno da poco adottato un sistema sanitario universalistico) le madri di ceti sociali diversi hanno quasi la stessa probabilità di far nascere i propri figli con un’assistenza medica professionale, in Indonesia e in Ghana chi nasce da una madre povera avrà la metà delle possibilità assistenziali. E non a caso nei paesi a basso-medio reddito 3,6 milioni di morti ogni anno sono attribuibili alla mancanza di accesso ai servizi sanitari.

Tabella 4 – Percentuale di nascite con assistenza medica professionale per fasce di reddito (20 per cento più ricca e 20 per cento più povera)

È per questo che l’accesso universale a sanità ed educazione, ma anche l’accesso gratuito all’acqua potabile, sono fondamentali. Innanzitutto, si abbattono così i costi a carico delle famiglie povere. Poi ci sono benefici sul lato della disuguaglianza di genere. Investire sull’educazione universale permette alle donne di ridurre il divario salariale e aumentare il proprio potere decisionale, e nello stesso tempo di abbattere le barriere tradizionali legate al ruolo della donna. Per esempio, l’Unesco ha recentemente stimato che garantire a tutte le donne l’educazione secondaria porterebbe a una riduzione del 64 per cento dei matrimoni forzati e infantili nel mondo.

Quali devono essere le caratteristiche di un servizio pubblico efficace e di qualità? Secondo l’Oxfam innanzitutto l’universalità. Più un sistema di welfare ha come obiettivo solo i più poveri, più si corre il rischio che chi ne ha effettivo bisogno sia lasciato fuori. Poi dev’essere gratuito. Infatti, per esempio, ogni anno cento milioni di persone cadono in povertà estrema per pagare le proprie cure sanitarie. E il numero è in crescita, in particolare in Africa. Deve anche essere a gestione pubblica, perché così è più efficace in dimensione e impatto sulla riduzione di povertà. E deve essere rendicontabile, trasparente e inclusivo.

Figura 5 – Relazione tra percentuale di popolazione coperta da sistemi di protezione sociale e beneficiari qualificati lasciati fuori

C’è poi la questione della tassazione. Secondo l’Oxfam, la parte più ricca della popolazione non paga la giusta proporzione di tasse a livello globale e in moltissimi paesi l’aliquota più alta sui redditi è stata più che dimezzata nel corso dei decenni, insieme alla tassazione d’impresa. A ciò va aggiunto che dalla crisi a oggi gli incrementi di gettito più rilevanti sono stati ottenuti ai danni di fasce più deboli della popolazione (per esempio, con gli aumenti dell’Iva).

Figura 6 – Variazione del gettito fiscale in percentuale del Pil (2007-2015)

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  1. LUCIANO PONTIROLI

    Interessante. Però, a mio avviso, si dovrebbe aggiungere qualcosa in merito a due questioni: 1 – se si cambia il parametro di definizione della povertà, si dovrebbe applicarlo anche al dato di confronto per apprezzare le variazioni rispetto alla rilevazione precedente; 2 – la ricerca della “giusta” imposizione è compatibile con l’aspirazione ad un’ulteriore crescita che permetta minore povertà?

  2. Stefano Stracuzza

    Non ritenete che si debba però partire dalla metodologia con cui è svolto il report? Da più parti è criticato per questo e altri fattori

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