Dopo mesi di annunci, l’intervento sulle pensioni d’oro si riduce a un contributo di cinque anni, mal congegnato e con un gettito di 130 milioni. Verrà richiesto a poche migliaia di pensionati e non muterà l’assetto distributivo del sistema pensionistico.
Obiettivi ridimensionati
Alla fine, la montagna ha partorito un topolino. Verificata l’impossibilità tecnica di effettuare un ricalcolo retroattivo sugli importi delle pensioni d’oro e, forse, anche la difficoltà di realizzare una sintesi politica sull’adesione al principio contributivo che ne stava alla base, l’esecutivo sembra aver molto limato i propri obiettivi. In pratica si limita a piantare una simbolica “bandierina” nel campo delle politiche di riequilibrio tra pensionati ricchi e poveri. Dal ricalcolo della pensione si passa infatti al contributo temporaneo (5 anni pare) di solidarietà. Verrebbero interessate dal provvedimento solo le quote di pensione superiori ai 90 mila euro secondo uno schema a scaglioni con aliquote crescenti. Si parte dal 10 per cento per la parte della pensione compresa tra 90 a 130 mila euro e si arriva a un massimo del 40 per cento sulla quota che eccede i 500 mila euro. Le aliquote intermedie sono del 20 per cento tra i 130 e 200 mila euro; del 25 per cento tra i 200 mila e i 350 mila euro e del 30 per cento tra i 350 e i 500 mila euro.
Prelievo a danno dell’Irpef
Due aspetti meritano di essere sottolineati. Il prelievo colpisce solo la parte della pensione che eccede i 90 mila euro. Significa che sulle quote inferiori alla soglia il contributo è nullo e sulla parte immediatamente superiore a questo valore la sua incidenza è molto bassa, mentre la struttura fortemente progressiva delle aliquote rischia di prefigurare tagli sensibili solo alle pochissime prestazioni decisamente alte. Ad esempio, per il percettore di una pensione di 90.100 euro il prelievo sarebbe pari a 10 euro. Saranno infatti solo i 100 euro in eccesso alla soglia a entrare nella formula di computo del contributo. Al contrario, uno dei pochissimi pensionati con importo pari a 200 mila euro pagherebbe un contributo lordo di 18 mila.
Il secondo aspetto attiene all’interazione tra contributo di solidarietà e tassazione del reddito. L’aliquota marginale d’imposta dell’Irpef su queste pensioni è pari al 43 per cento. L’introduzione del contributo sottrae base imponibile all’imposta personale proprio in proporzione a quell’aliquota e questo erode significativamente le entrate nette per l’operatore pubblico, che incassa il contributo, ma vede ridursi il gettito Irpef.
La figura 1 riporta graficamente il valore unitario del contributo e la dimensione della riduzione della pensione netta in relazione al suo valore lordo. Il contributo e la riduzione della pensione sono molto piccoli per redditi vicini a 90 mila euro, mentre, al contrario, sono molto importanti solo quando gli importi lordi crescono in maniera significativa.
Figura 1
Chi paga
Per azzardare un giudizio sul provvedimento e valutarne l’efficacia, è importante sapere dove stanno effettivamente le pensioni di importo più elevato. I dati degli archivi Visitinps sono a questo riguardo molto utili. Ci dicono che i pensionati potenzialmente interessati dal provvedimento sarebbero circa 40 mila. Il contributo di solidarietà descritto darebbe risorse per 130 milioni. Però provocherebbe anche una riduzione del gettito Irpef di 56 milioni. L’effetto netto sul saldo del bilancio pubblico sarebbe dunque positivo per 74 milioni. Somme simili, una volta utilizzate a fini redistributivi, non possono avere effetti significativi sugli importi delle pensioni basse, anche se è proprio questo il motivo che ha spinto l’esecutivo ad agire. Ad esempio, se immaginiamo che i beneficiari siano i percettori di integrazioni al minimo e di maggiorazioni sociali, circa 5 milioni di soggetti, otteniamo un trasferimento pro capite dell’ordine di 26 euro all’anno, 2 al mese.
Ma chi pagherà il contributo? Alla domanda si può rispondere ordinando i pensionati d’oro dal più “povero” al più “ricco” e aggregandoli in dieci gruppi crescenti, ognuno composto da circa 4 mila individui. La tabella 1 mostra, per ogni decile, il valore medio e minimo della pensione lorda, l’importo medio del contributo, la riduzione media nella pensione al netto dell’Irpef e la quota del gettito complessivo.
Tabella 1 – Distribuzione del contributo per decili di pensione
Nota: ogni decile comprende circa 3.900 pensionati.
Le due colonne della tabella relative agli importi minimi e medi delle pensioni mostrano che, all’interno della popolazione dei pensionati d’oro, vi è una forte concentrazione tra i 90 mila e i 100 mila euro. Vi si addensa la metà della popolazione esaminata. Data la struttura del provvedimento, il contributo medio risulta qui molto basso, così come la quota del gettito. Sommati tutti insieme i primi 20 mila pensionati ricchi contribuiscono per il 9,5 per cento al gettito del contributo. Per i decili successivi al quinto, il contributo comincia a diventare un po’ più consistente, almeno in valore assoluto, ma è solo per gli ultimi 4 mila soggetti che assume valori relativamente importanti. Ne è una conferma il fatto che l’ultimo decile della popolazione dei pensionati ricchi produce da solo il 54 per cento del gettito lordo totale.
Dopo mesi di annunci e proclami, si scopre che l’intervento sulle pensioni d’oro è un contributo per solo cinque anni e mal congegnato, che verrà richiesto a poche migliaia di pensionati e che non sarà in grado di mutare significativamente l’assetto distributivo del sistema pensionistico. È una montagna, i 260 miliardi di euro di spesa previdenziale, che partorisce un topolino, i 130 milioni del contributo di solidarietà.
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