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Qui ci vuole meno spazzatura in discarica

I recenti roghi di magazzini stipati di rifiuti hanno allarmato i cittadini. Per raggiungere gli obiettivi europei di economia circolare, occorre una rete di impianti di trattamento in grado di assorbire i flussi crescenti delle raccolte differenziate.

Così l’Italia tratta i suoi rifiuti

Negli ultimi mesi i roghi di magazzini stipati di rifiuti hanno riportato al centro del dibattito politico la questione degli impianti per il riciclo.
Ora l’annuale Rapporto Ispra sui rifiuti urbani fotografa alcuni importanti novità. Nel 2017 la produzione di rifiuto è diminuita. La raccolta differenziata è arrivata al 55,5 per cento, in aumento di 3 punti percentuali rispetto al 2016. Anche il riciclaggio è salito al 43,9 per cento. Ne consegue la riduzione del volume di rifiuto conferito in discarica (-6,8 per cento) e incenerito (-3 per cento).
Questi dati lasciano ben sperare perché indicano che la gestione dei rifiuti urbani sta cambiando; e che la direzione di marcia è coerente con la gerarchia dei rifiuti.

Vi sono tuttavia altri dati che sono in deciso contrasto con le raccomandazioni dell’economia circolare e sostenibile. Quasi un quarto dei rifiuti urbani raccolti (il 23 per cento) continua a trovare collocazione in discarica. Si tratta di 6,9 milioni di tonnellate, a cui si aggiungono circa 400mila tonnellate di rifiuti urbani esportati nei paesi del Nord Europa.
Di queste, una quota prevalente origina dalle regioni del Mezzogiorno. Ma l’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi non è raggiunta neanche in alcune regioni del Nord (Liguria, ad esempio).
Come spesso accade l’Italia riesce a racchiudere insieme le eccellenze in ambito europeo (la città metropolitana di Milano, il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Lombardia) con regioni, come la Sicilia, dove gli indicatori di sostenibilità ambientale del ciclo dei rifiuti sono più simili a quelli della Grecia.
È evidente che la pianificazione regionale, così come è stata impostata sinora, rappresenta spesso uno strumento di matrice più politica che tecnica, fondata su stime assai di sovente ottimistiche, non in grado di sostenere un percorso industriale coerente con l’autosufficienza.

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Gli obiettivi del pacchetto economia circolare

Per raggiungere gli obiettivi indicati dalle direttive UE che chiedono di raggiungere il 65 per cento di riciclaggio al 2035 e di scendere sotto al 10 per cento di rifiuti smaltiti in discarica, occorre un mix di politiche coerenti con la gerarchia dei rifiuti europea, che superino i tanti limiti delle pianificazioni regionali.
Lo scenario qui proposto, seppur ambizioso, offre uno spunto sul percorso da intraprendere nei prossimi anni.

Alla sua base ci sono tre assunzioni: 1) la produzione di rifiuti urbani rimane ferma ai livelli correnti, in esito alle politiche di prevenzione e al rinforzo della responsabilità estesa del produttore; 2) la raccolta differenziata raggiungerà il 75 per cento nel 2035; 3) la dotazione di impianti rimarrà costante.
Assumendo un’ipotesi di intercettazione della frazione organica pari a 140 kg/ab/anno, un valore ambizioso ma già superato da alcune delle migliori realtà del paese, si giungerà nel 2035 a un fabbisogno residuo di trattamento della frazione organica (Forsu) di circa 2,3 milioni di tonnellate/anno.
Per soddisfare il fabbisogno di trattamento che avremo da qui ai prossimi 20 anni vi sarebbe il bisogno “impellente” di avviare 53 nuovi impianti di digestione anaerobica, di cui 36 da realizzare nel Mezzogiorno e nelle Isole.

Tabella 1

Nel percorso di crescita delle raccolte differenziate, resta comunque un fabbisogno di trattamento della frazione residua del secco indifferenziato (Rur). A parità di capacità impiantistica, nel 2035 sarà di circa 1,7 milioni di tonnellate in più di rifiuto urbano indifferenziato da smaltire.

Se si mutua una declinazione del principio di autosufficienza su base di area geografica (Nord, Centro, Sud, le due Isole maggiori), da qui ai prossimi venti anni il deficit impiantistico richiederebbe la realizzazione di quattro nuovi impianti per il recupero di energia, due di taglia grande, collocati in Sicilia e Campania, e due di taglia media, in Sardegna e nel Centro Italia, al servizio di Umbria, Marche e Lazio.

Tabella 2

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Occorre una Strategia nazionale per l’ambiente

La violazione di una o più delle generose assunzioni che sono alla base delle quantificazioni proposte comporta un incremento del fabbisogno di trattamento.

Infatti:

  • qualora la produzione del rifiuto dovesse crescere in linea con il Pil o i consumi, vi sarebbe un fabbisogno aggiuntivo di trattamento della Forsu per 1,7 milioni t/anno e uno della Rur di 2 milioni t/anno;
  • se gli impianti di incenerimento oggi attivi e di cui si è annunciata la chiusura dovessero effettivamente chiudere, vi sarebbe un fabbisogno aggiuntivo di 800 mila t/anno;
  • se gli scarti delle raccolte differenziate dovessero rimanere quelli attuali vi sarebbe un fabbisogno aggiuntivo di incenerimento di 2,2 milioni t/anno.

 

Le conseguenze sarebbero emergenze, roghi spontanei e ordinanze urgenti e contingibili destinate a protrarsi, al pari dalla dipendenza dall’apertura di nuove discariche.

Affinché le ipotesi non rimangano auspici è necessario un impegno per:

  • prevenire la produzione di rifiuto (attuando la responsabilità estesa del produttore, disciplinando i sottoprodotti, promuovendo il riuso e così via);
  • dotarsi di impianti per il riciclaggio coerenti con lo sviluppo delle raccolte differenziate;
  • incentivare il riciclaggio, sostenendo l’industria del riciclo e il reimpiego delle materie prime seconde nei processi produttivi.

Si tratta di passare ai fatti e di tradurre le ipotesi nelle azioni di una “Strategia nazionale in materia ambientale” che sostenga la gestione industriale, capace di realizzare gli investimenti e gli impianti necessari al perseguimento degli obiettivi del pacchetto economia circolare.

L’alternativa è abituarsi a convivere a lungo con emergenze e roghi e ammettere che preferiamo le discariche.

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  1. Savino

    Andassero a controllare meno nel bidoncino della spazzatura della povera gente e controllassero di più se la differenziata la fanno davvero in sede di smaltimento.

  2. mauro zannarini

    Complimenti per la sintesi, e mi fa piacere notare che, finalmente, non si parla più di impianti di compostaggio, ma di redditiva produzione di biogas e conseguente compostaggio del solido, per aumentare l’umificazione dei terreni e la cattura di carbonio.
    Forse siamo sulla giusta strada per uscire dal problema rifiuti, finora sintomo della nostra ignoranza.

  3. Antonio

    In Italia la gestione dei rifiuti deve essere nazionalizzata. Data la coscienza degli attuali imprenditori che non si fa scrupolo di avvelenare irrimediabilmente il territorio e’ meglio sobbarcarci un carrozzone statale.

    • Massimo Rosati

      La gestione integrata (raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento) dei rifiuti urbani è già prevalentemente “pubblica”, con tre grandi operatori (Iren, Hera ed A2A) che “fanno” il mercato proprio nelle Regioni “eccellenti”. Gli amministratori di queste società sono espressione delle amministrazioni locali, che partecipano il capitale, ed attuano un puntuale spoils system ad ogni tornata elettorale. Non so se una nazionalizzazione migliorerebbe la situazione, peraltro il dibattito sulla necessità di liberalizzare questo settore economico importante è stato anche vivace a seguito di proposte di legge poi finite nel dimenticatoio, ed oggi, vista la dimensione notevole assunta dalle predette 3 multiutility, vedo difficile un riequilibrio in un senso – nazionalizzazione – o nell’altro – liberalizzazione. I rifiuti speciali, compresi quelli pericolosi, hanno altro destino: su base annua sono circa il quadruplo rispetto a quelli urbani, ma gran parte viene riciclato/riutilizzato in svariate filiere produttive, non penso – quindi – che per questi possa parlarsi di nazionalizzazione se non a rischio di paralizzarle.

      • bob

        io tra due mali: nazionalizzazione e regionalizzazione preferisco il primo! Quanto meno in termini di risparmio economico. Regioni “eccellenti”: il virgolettato spiega meglio di ogni altra dibattito di cosa parliamo! Due giorni fa uno “studio” ha definito Milano prima per qualità della vita , ieri un altro “studio” ha sostenuto che la periferia di Milano cioè Brescia è il sito più inquinato d’ Italia o forse del mondo. Non più un Paese ma guerra tra bande

  4. bob

    “…racchiudere insieme le eccellenze in ambito europeo (la città metropolitana di Milano, il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Lombardia)”. Il sito più inquinato al mondo è a Brescia (Caffaro) ( http://www.bresciaoggi.it/territori/brescia-un-sito-contaminato-ogni-4-paesi-1.6172039 ) però si preferisce parlare di terra di fuochi con lo stesso metodo con cui nel medioevo si parlava di streghe, appiccicarti addosso un etichetta per coprire mille altre malefatte. La polvere c’è: nel Sud sopra il tappeto nel Nord sotto
    La vera emergenza di questo Paese è la cultura

  5. F.Mario parini

    Economia circolare e raccolta differenziata .Questi due termini sono collegati ad altri due: senso civico ed educazione civica.Una raccolta differenziata spinta dell’umido permette prima la digestione anaerobica del materiale per produrre biometano e poi la stabilizzazione con il compostaggio . Qualunque raccolta alla circolare avrà degli scarti che o si bruciano o smaltiscono in discarica. Le ceneri inertizzate possono essere riutilizzate. Tutto si basa su una efficiente e, soprattutto, capillare raccolta.

  6. Andrea A.

    Oggi ho letto un virgolettato di Costa che criticava gli inceneritori affermando che se inizia la costruzione oggi saranno ammortizzati fra 27 anni(dice lui). Si potrebbe fare uno studio simile a quello dell’articolo sul fabbisogno di incenerimento al 2045 ?

    • Donato Berardi

      Un fabbisogno residuo di trattamento esisterà sempre. Solo realizzando nuovi impianti potremo permetterci di chiudere quelli più vecchi e inquinanti. Non farli vuol dire preferire la discarica. Prepariamoci ad altri buchi …

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