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Un futuro di magre pensioni

Le pensioni del futuro avranno un importo adeguato? La bassa crescita e l’alta disoccupazione dell’ultimo decennio le hanno già decurtate rispetto a quanto immaginato nel 1995. E la promessa riforma del sistema pensionistico non migliorerà la situazione.

Effetti di lungo termine

Dei provvedimenti di riforma del sistema pensionistico promessi dal governo si enfatizzano, in queste settimane, i possibili effetti di breve termine e, in particolare, la riduzione dell’età di pensionamento per consentire l’uscita anticipata a chi ha avuto carriere contributive lunghe. Poco o nulla si dice invece sulle implicazioni di lungo termine della proposta e soprattutto su quanto i lavoratori oggi giovani potranno attendersi dal sistema contributivo.
In un lavoro recente abbiamo cercato di allargare lo sguardo e ci siamo chiesti quali saranno gli effetti della bassa crescita economica e dell’alta disoccupazione che caratterizzano la nostra economia in questi anni sull’importo della pensione per coloro che sono entrati nel mercato del lavoro dopo il 1995, anno di introduzione del sistema contributivo in Italia.

La formula contributiva correla l’importo della pensione: i) alla crescita reale del Pil; ii) all’aspettativa di vita al momento del pensionamento; iii) alla somma dei contributi versati durante il periodo lavorativo. I tre elementi sono strutturati in modo da garantire la sostenibilità del sistema e sono le variabili chiave per comprendere se gli assegni pensionistici saranno adeguati in futuro.
I dati del recente passato su crescita e occupazione sono noti: la crescita economica italiana è risultata sino a oggi inferiore a quanto il legislatore aveva immaginato nel 1995, mentre la disoccupazione è salita sopra i valori fisiologici, soprattutto per la parte più giovane della popolazione. Quanto al futuro, le previsioni di crescita potenziale dell’economia italiana sono state riviste verso il basso dalle istituzioni di ricerca private come da quelle pubbliche. Lo scenario centrale di Prometeia stima la crescita media reale del Pil nei prossimi tre decenni intorno all’1 per cento, un valore inferiore a quello previsto negli scenari ufficiali del governo, ma in linea con quanto indicato, ad esempio, dal Fondo monetario internazionale.

Le stime

Sulla scorta di queste informazioni abbiamo stimato due indicatori per i lavoratori che hanno iniziato la loro attività dopo il 1995: il livello della pensione futura e il tasso di copertura della pensione pubblica rispetto all’ultima retribuzione.

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Figura 1 – Livello della pensione contributiva futura rispetto a quanto atteso al momento dell’introduzione del sistema contributivo nel 1995, anno di entrata nel mercato del lavoro

Nota: Rapporto tra pensione calcolata sulla base dei dati storici per il passato e dello scenario Prometeia in previsione e pensione calcolata con scenario di crescita pari all’1,5 per cento annuale. Le tre righe indicano il valore centrale, 5° e 95° percentile della distribuzione ottenuta simulando 1000 storie contributive in cui in cui la probabilità di rimanere senza lavoro è stata calibrata sulla base della media dei dati Istat di disoccupazione per classi di età negli ultimi venti anni.

Il messaggio principale della figura 1 è che la bassa crescita e l’elevata disoccupazione dell’ultimo decennio hanno già ridotto l’importo futuro della pensione rispetto a quello immaginato nel 1995 (che ipotizzava una crescita media pari all’1,5 per cento reale). Ad esempio, un lavoratore che ha cominciato a lavorare nel 1995 e ha una carriera senza interruzioni deve aspettarsi una pensione del 30 per cento più bassa di quella che avrebbe avuto nello scenario di crescita all’1,5 per cento. Per chi ha cominciato a lavorare più tardi, ad esempio nel 2006, il calo è ancora più forte perché gli anni successivi alla crisi del 2008, che hanno registrato in media tassi di crescita negativi, pesano maggiormente. La riduzione è ancora più marcata quanto maggiore è il numero di anni trascorsi senza lavoro (linea blu). Per coloro che hanno cominciato a versare contributi per la pensione nel corso degli ultimi anni le prospettive appaiono leggermente migliori, a patto però che l’economia italiana sia in grado di crescere almeno all’1 per cento nei prossimi decenni. In tutti i casi, comunque, il livello della pensione contributiva futura risulta sempre inferiore almeno del 25 per cento, e in alcuni casi anche di oltre il 40 per cento, rispetto a quello immaginato quando il sistema contributivo è stato introdotto.

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Che fare? A meno di immaginare improbabili aumenti per legge del loro importo, le pensioni future potranno risultare più elevate solo grazie a una crescita economica più robusta; o con un aumento del risparmio privato, convogliato verso la previdenza complementare; oppure a seguito di un più lungo periodo di attività, determinato a sua volta da una riduzione della disoccupazione o da un aumento dell’età di pensionamento.
La figura 2 mostra che con un’età di pensionamento fissa a 67 anni il tasso di copertura della pensione pubblica è destinato, nei prossimi decenni, a ridursi di oltre 10 punti percentuali. L’aumento dell’aspettativa di vita al pensionamento è il fattore che spiega l’andamento decrescente dell’indicatore nel tempo.

Figura 2 – Tasso di sostituzione tra pensione e retribuzione nello scenario centrale della figura 1. Età di pensionamento costante a 67 anni.

Il sentiero attraverso il quale i lavoratori attuali potranno trovare la strada per una pensione adeguata si annuncia molto stretto. Da un lato, la bassa crescita economica e la disoccupazione dell’ultimo decennio hanno già messo in discussione i valori futuri della pensione immaginati al momento dell’introduzione della riforma contributiva. Dall’altro, prospettive di crescita di lungo periodo modeste per i prossimi decenni e un’età di pensionamento che non potrà ragionevolmente crescere molto più di quanto già indicato con la riforma del 2011, rischiano di rendere ancora più grave il problema.
Purtroppo, gli interventi in discussione in questi giorni sembrano più utili per catturare il consenso nel breve termine che per dare risposte alla domanda di adeguatezza delle pensioni nel medio lungo periodo.

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10 commenti

  1. Savino

    E’ evidente come agli italiani baby boomers il benessere sia stato immeritatamente regalato, a discapito di tutte le generazioni successive. Se non si interviene con urgenza sul tema, il riequilibrio potrà essere effettuato solo dalle cause naturali.

    • rossetti maria adele

      ricalcoliamo tutte le pensioni con il contributivo soprattutto quelle ella pubblica amministrazione.
      risolveremo il debito e equità tra generazioni

      • Gianni

        Perché mai quelle dei dipendenti pubblici? Occorre invece riconsiderare la contribuzione figurativa non coperta da effettivo versamento. Ci sono dipendenti del settore privato che tra cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga, mobilità, disoccupazione, maternità e malattia, arrivano alla pensione avendo lavorato ben poco. Perché dovrebbero avere la stessa pensioni del dipendente pubblico che non ha goduto di alcuna contribuzione figurativa ed e andato a lavorare tutti i giorni della vita?

        • pan

          Caro Gianni, ho capito bene????
          Il dipendente pubblico ha lavorato tutti i giorni della vita??? NON HO PAROLE!!!!!!
          Il dipendente pubblico non ha goduto di contribuzione figurativa??? E QUANDO MAI LA PA HA VERSATO I CONTRIBUTI DEI 3,5 MILIONI DI DIPENDENTI CHE SONO SEMPRE AUMENTATI DI NUMERO NONOSTANTE CRISI E DISOCCUPAZIONE ETC ETC.
          INFATTI L’ INPDAP LO HANNO ACCORPATO ALL’INPS COSì PAGHIAMO TUTTO NOI, DIPENDENTI PRIVATI.
          cordialmente

  2. Aldo

    i baby-boomers (categoria alla quale non appartengo, chiariamo subito) hanno lavorato duro nel dopoguerra. Hanno lavorato duro anche per far studiare persone come Savino. I risultati purtroppo son quello che sono, ma tant’è.

    • Savino

      Chi ha sudato sono i genitori dei baby boomers, i quali, invece, hanno giocato a fare i rivoluzionari col portafoglio pieno del boom degli anni ’60, per cui, pur di avere una posizione sociale e una poltrona sotto il sedere, veniva giustificato persino lanciare una bomba molotov.

  3. Silvestro De Falco

    Che fare? Cari professori dovete parlare chiaramente, non dire le cose fra le righe e poi mettere un grafico che dà l’idea di un tasso di sostituzione che passa dal 75% a poco più del 60%, indorando la pillola. Il problema è a monte. Chi ha fatto la riforma nel 1995 sapeva benissimo che il problema era demografico e che, quindi, la fonte di finanziamento si sarebbe assottigliata. Nonostante tutto si son guardati bene dall’agire sul sistema a ripartizione, ben sapendo che per tenerlo in vita così com’era si dovevano trasferire i rischi sui futuri pensionati.
    Gli italiani pagano la seconda aliquota previdenziale del mondo – 33%, seconda solo a quella dell’Ungheria del 34% – per un tasso di sostituzione di circa il 50%, se va bene.
    Che dite vogliamo cominciare ad ammettere quello che è ovvio? Magari studiando studiando si arriverà pure a capire che questo sistema a ripartizione brucia risorse che potrebbero essere impegnate più proficuamente nell’economia, permettendoci di uscire da questa impasse.

  4. RR

    Domanda. Esistono moltissimi sistemi per temperare un sistema contributivo, pur restando ben lontani dal sistema retributivo.
    Per esempio, si può immaginare un sistema che, per tutti gli assegni sotto una certa quota (esempio: 1000€ mensili) pesa i soli 25 migliori anni di contributi fino al raggiungimento dei 1000€. Politiche di questo tipo tra l’altro sarebbero molto utili per le donne, che hanno carriere discontinue.
    Sarebbe interessante calcolare il costo di una policy di questo tipo.

  5. Michele

    I problemi sono strutturali e hanno radici molto lontane nel tempo: in primo luogo il sistema a ripartizione, una specie di Ponzi scheme legalizzato. In secondo luogo la bassa crescita da più di 20 anni senza che i governi Berlusconi, Monti, Renzi etc abbiano fatto nulla per invertire la tendenza. Terzo la precarizzazione del lavoro iniziata a fine anni 90 che ha ridotto la contribuzione e reso le carriere continue e i tassi di sostituzione dei concetti da archeologia industriale

  6. Silvestro De Falco

    Non vorrei sbagliarmi ma penso che il tasso medio di crescita immaginato nel 1995 era più alto, tanto è vero che, almeno fino al 2010, la Ragioneria di Stato calcolava i tassi di sostituzione applicando un tasso di crescita reale del PIL del 3,5%, un tasso di inflazione del 2% e un tasso di crescita reale dei salari dell’1,5%.
    Che l’1,5% reale sia stato utilizzato come tasso “tecnico” per attualizzare i flussi futuri nel calcolo dei coefficienti di trasformazione, come indicato anche nello studio di Prometeia, è probabilmente dovuta al fatto che prima gli aumenti delle pensioni erano legati agli aumenti salariali, quindi i riformatori hanno pensato di continuare ad usare l’1,5%, magari solo per inerzia.
    Ecco l’origine dell’ottimismo sui tassi di sostituzione, peraltro ancora presente nel calcolatore utilizzato dall’INPS, che consente al cittadino medio di “fare proiezioni” sulla sua pensione futura.

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