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Quell’Italia abusiva che resiste alle ruspe

I dati sull’abusivismo edilizio in Italia raccontano un fenomeno radicato da Nord a Sud, seppur con rilevanti differenze. Negli ultimi dieci anni la situazione è peggiorata per l’immobilità della politica rispetto al ripristino della legalità.

I numeri sulle abitazioni abusive

La piaga dell’abusivismo edilizio torna a campeggiare sui giornali ogni volta che si verifica un dissesto idrogeologico. Il sindaco di Casteldaccia, Giovanni di Giacinto, ha infatti dichiarato che sulla villetta del suo paese, travolta dal fango e dall’acqua il 3 novembre, pendeva da anni una sentenza di demolizione passata in giudicato. Demolizione che però non è mai stata eseguita. E non si tratta di un caso sporadico: secondo un recente dossier di Legambiente, sarebbero oltre 71 mila gli immobili interessati da ordinanze di demolizione, e più dell’80 per cento non sono state ancora eseguite.

Ma quanti sono gli edifici abusivi in Italia? Secondo l’Istat e il Cresme (Centro ricerche economiche sociali di mercato per l’edilizia e il territorio) non esistono dati ufficiali e completi, ma soltanto stime parziali.

Per fiutare l’estensione del fenomeno possiamo però affidarci all’indice di abusivismo edilizio, un indicatore riportato dall’Istat nel suo Rapporto annuale sul benessere equo e sostenibile (Bes), che segnala il numero di nuove costruzioni abusive a uso residenziale per ogni 100 costruzioni autorizzate dai comuni. Come sottolineato recentemente da Agi, l’indicatore ha almeno due punti deboli, che circoscrivono il quadro dell’abusivismo: anzitutto, non indica il numero delle case abusive rispetto al totale presente nel comune preso in esame, ma considera il rapporto tra quelle abusive e le costruzioni autorizzate dal comune in un determinato anno; in secondo luogo, inserisce nel computo soltanto le nuove costruzioni, che costituiscono una porzione limitata del totale.

Tenendo a mente i due limiti, se consideriamo la serie storica dell’indice di abusivismo edilizio per il periodo 2004-2017 (figura 1), vediamo dal 2004 al 2015 un aumento quasi costante dell’indice, che passa da 13 a 19,9 abitazioni abusive per ogni 100 abitazioni legali costruite annualmente. Nel triennio 2015-2017 si registra per la prima volta dal 2008 una riduzione dell’indice che si attesta nel 2017 su 19,4, in lieve calo rispetto alle 19,6 nuove abitazioni abusive dell’anno precedente.

Figura 1 – Indice di abusivismo edilizio, periodo 2004-2017

Secondo quanto riportato nel Bes 2017, la leggera flessione potrebbe suggerire un cambiamento strutturale dopo una stagione particolarmente critica, durante la quale, sia pure nel contesto del crollo della produzione edilizia, l’incidenza di quella illegale è più che raddoppiata rispetto agli anni precedenti. Da notare infatti come nel 2007, alla vigilia della crisi economica, la proporzione fosse di 9 nuove abitazioni abusive per ogni 100 autorizzate, per arrivare poi a sfiorare le 20 nel 2015.

La mappa delle case fuorilegge

Come si osserva nella figura 2, per la prima volta negli ultimi anni l’indice di abusivismo edilizio non è aumentato in misura significativa in nessuna macro-regione; cionondimeno, la disaggregazione territoriale segnala una notevole variabilità fra le tre ripartizioni geografiche. In particolare, l’indicatore registrato al Sud si mantiene su livelli sempre notevolmente più elevati rispetto a quello registrato al Nord e al Centro. L’entità del fenomeno resta comunque preoccupante anche nelle regioni del Centro, dove si stima che nel 2016 le nuove costruzioni residenziali abusive equivalgano a quasi un quinto di quelle autorizzate, mentre nel Mezzogiorno la proporzione sfiora il 50 per cento secondo l’ultimo rapporto Bes.

Figura 2 – Indice di abusivismo edilizio per ripartizione geografica, periodo 2004-2017

Fonte: Istat – Cresme

Scorporando l’indice di abusivismo edilizio per regione, osserviamo che il Molise domina la classifica, con oltre 70 abitazioni abusive per ogni 100 autorizzate dai comuni (figura 3). Seguono Campania (64,3), Calabria (64,1), Sicilia (57,7) e Basilicata (55,8), tutte con indici ampiamente superiori alla media del Mezzogiorno, che si attesta su 48,2 costruzioni abusive. Al Centro spicca l’Abruzzo, con quasi 33 abitazioni abusive su 100 legali. La regione più virtuosa, invece, è il Trentino Alto-Adige, con un indice pari a 2, seguito da Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Valle d’Aosta.

Figura 3 – Indice di abusivismo edilizio per regione, 2016

Le (mancate) demolizioni

Senza sottovalutare la metratura del “nuovo” abusivismo, a tenere in ostaggio il territorio è soprattutto quello vecchio che non viene demolito. In Italia l’abbattimento degli edifici abusivi è un obbligo previsto dalla legge, e tuttavia, come ricorda il dossier di Legambiente Abbatti l’abuso, dal 2004 a oggi su 71.450 ordinanze di demolizione solo 14.018 sono state eseguite. Ciò significa che più dell’80 per cento degli abusi edilizi rimane impunito.

La percentuale varia da regione a regione (tabella 1): se ci limitiamo a esaminare il rapporto tra ordini di demolizione e abbattimenti, il Friuli-Venezia Giulia è in testa (65,1 per cento delle ordinanze di demolizione eseguite) e la Campania è fanalino di coda (solo il 3 per cento di esecuzioni). Se si considera invece il numero assoluto di ordinanze in ogni regione in relazione al dato nazionale, allora la prospettiva cambia: il Friuli-Venezia Giulia ha un tasso di demolizioni per un numero basso di ordinanze (l’1,1 per cento a livello nazionale), mentre la Campania detiene il record di ordinanze, oltre il 23 per cento del totale nazionale. Tuttavia, è bene sottolineare che il numero di ordinanze emesse è positivamente correlato alla popolazione delle regioni e all’indice di abusivismo e ciò che conta, in definitiva, è la percentuale di quelle che sono poi effettivamente eseguite.

Tabella 1 – Numero di ordinanze di demolizione emesse ed eseguite (2004-2018)

Fonte: Legambiente

La legge prevede che se il proprietario di un immobile abusivo non rispetta l’ingiunzione alla demolizione entro 90 giorni, lo stesso entri automaticamente in possesso del comune. Il passaggio di proprietà deve essere formalizzato attraverso la trascrizione nei registri del patrimonio pubblico, affinché il comune provveda a demolire l’immobile o, eccezionalmente, a destinarlo a usi di pubblica utilità. Sempre il dossier di Legambiente mostra come, nello stesso periodo 2004-2018, solo 1.850 immobili abusivi siano stati trascritti su ben 57.432 ordinanze di demolizione ancora da eseguire. La regione con il maggior numero di trascrizioni è la Sicilia, che ha acquisito formalmente il 16 per cento degli immobili abusivi; nelle altre regioni la percentuale varia dal 3,7 per cento allo 0,1 per cento. La mancata trascrizione dell’acquisizione da parte degli uffici comunali, oltre a essere una grave omissione di atti d’ufficio, comporta anche una responsabilità per danno erariale. Tuttavia, solo in pochi casi la Corte dei conti e le procure hanno citato in giudizio gli enti locali inerti di fronte all’abusivismo e alle prescrizioni di legge.

Tabella 2 – Numero degli immobili abusivi non demoliti e delle trascrizioni nel registro degli immobili pubblici

Fonte: Legambiente

Una storia di cattiva politica, e non solo

C’è un’Italia abusiva, scrive Legambiente, che resiste alle ruspe. È evidente infatti che alle radici dell’abusivismo edilizio si nasconde la sostanziale inerzia degli amministratori locali rispetto alle procedure sanzionatorie e al ripristino della legalità. L’esempio emblematico è rappresentato dal sindaco di Licata Angelo Cambiano, sfiduciato nel 2017 dal suo consiglio comunale per la sua intransigenza nella lotta contro l’abusivismo, una delle pagine più buie della democrazia italiana.

Ma anche la politica nazionale ha fatto poco per contrastare l’abusivismo edilizio. Anzi, ha finito per approvare ben tre condoni, nel 1985, nel 1994 e nel 2003, a cui si aggiunge la recente sanatoria su Ischia e altri comuni del Centro Italia. Fino al 2016 risultavano raccolte più di 15 milioni di domande di condono edilizio, di cui 5,4 milioni ancora da evadere; di queste ultime, la maggior parte (3,5 milioni) risalgono al condono del 1985. Ne emerge lo spaccato di una politica che, per il quieto vivere, spesso ha preferito protrarre situazioni di illegalità che, per giunta, comportano anche un consistente danno erariale per mancata riscossione degli oneri concessori, dell’Imu, della tassa sui rifiuti e così via.

Per fortuna esistono realtà nel nostro paese in cui gli abusi edilizi vengono, seppur gradualmente, abbattuti. E laddove l’amministrazione locale e la procura si mostrano presenti, sono talvolta anche i proprietari delle case abusive a provvedere alla demolizione senza dover aspettare di risarcire lo stato per i costi dell’abbattimento.

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  1. Riccardo

    E’ ovvio che un sindaco o un qualsiasi amministratore locale eletto non ha nessun incentivo a far demolire le case degli elettori.
    Il tutto dovrebbe passare nelle mani dei prefetti.

    • odile

      Analizzando la situazione italiana dell’abusivismo edilizio, mi sono sempre chiesta come mai una casa abusiva potesse ottenere gli allacci ENEL, gas ecc… Non sarebbe di facile implementazione proporre che gli allacci fossero condizionati alla presentazione di regolare licenza edilizia?

    • Rodolfo

      Non sono d’accordo. Per disincentivare la costruzione di fabbricati sprovvisti della concessione edilizia occorre non allacciarli alle pubbliche reti del gas, elettrica, idrica ecc..e punire severamente il funzionario che autorizza tali allacciamenti. Mi pare che la legge 47/85 prevedesse qualche cosa del genere.

    • Andrea

      Dovrebbe avere un solo incentivo: la legge

  2. Alberto

    Scusate, perchè non avete integrato le tabelle numeriche con i relativi valori percentuali?
    a mio avviso questi avrebbero aiutato di molto la lettura dei dati.

  3. giorgio

    Quello che sorprende e amareggia è il fatto che ,pur essendo molto chiari i motivi delle mancate demolizioni( l’inerzia dei Sindaci e la scarsità di fondi)e i possibili rimedi( trasferimento delle competenze ai Prefetti con adeguate risorse),nessun provvedimento in tal senso venga adottato dai governi e dal Parlamento. Segno evidente che alla politica combattere l’abusivismo non interessa!
    Meriterebbe poi un approfondimento capire come, mentre solitamente gli enti erogatori dei servizi per attivare una nuova utenza richiedano i dati catastali, in certe aree persino gli stessi enti prescindano da questo requisito e concedano allacciamenti a unità immobiliari non accatastate.Perché nessuno chiede conto di questo diverso comportamento?
    Si legge anche di immobili abusivi che avrebbero formato oggetto di compra vendita e ci si chiede come sia stato possibile stipulare un atto notarile e di alloggi abusivi dati in locazione che sfuggono al controllo del fisco. Ma, ancora prima, risulta difficile accettare che ,mentre in gran parte del Paese qualsiasi attività edilizia anche marginale non sfugge a permessi, controlli e sanzioni, se irregolare, in certi Comuni sia possibile mettersi a costruire interi edifici prescindendo da qualsiasi autorizzazione senza che nessuna autorità mostri di accorgersene e intervenga per fermare il cantiere.
    La sensazione è che in troppe zone del nostro Paese l’abusivismo non sia percepito come fatto negativo né dalle autorità, ne dai cittadini.

  4. Toni

    Non si può dimenticare che all’origine del fenomeno dell’abusivismo edilizio in Italia c’è la mancanza di una politica pubblica dell’abitare. Quando nel secondo dopoguerra milioni di persone si sono trasferite dalle campagne alle città, attratte dalle possibilità occupazionali migliori, si sono scontrate con la penuria di alloggi a basso prezzo e hanno dovuto provvedere “in proprio” a risolvere il problema costruendosi l’abitazione su terreni che i piani regolatori destinavano prevalentemente ad aree agricole, acquistati pertanto a poco prezzo. Ancora oggi, il paese sconta questo deficit di abitazioni a basso prezzo, anche da dare in locazione e il fenomeno dell’abusivismo non cesserà.

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