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Quei soldi europei che non riusciamo a spendere

L’Italia rischia di perdere quasi un miliardo del Fondo sociale europeo per spese non effettuate nel 2014 e nel 2015. Eppure, si tratta di risorse essenziali per orientare e mantenere le nostre politiche sociali. Cosa fare per accelerare i processi.

Uno strumento essenziale per le politiche attive del lavoro

Il fondo sociale europeo (Fse) è il principale strumento a disposizione delle regioni per finanziare “politiche attive” del lavoro, ossia interventi che favoriscono l’inserimento o il reinserimento nel mondo lavorativo. Sono politiche complementari a un sostegno al reddito che in Italia è sempre mancato, almeno in forma diffusa. Il Fondo sociale è quindi utilizzato per sostenere l’occupazione, aiutare i cittadini a trovare posti di lavoro migliori e assicurare opportunità più eque per tutti. Complessivamente, il budget dell’Fse, nel periodo 2014-2020, è pari a circa 120,6 miliardi di euro, di cui 83,6 miliardi di contributi UE e il resto risorse nazionali. Il Fondo investe nel capitale umano dell’Unione europea: i lavoratori, i giovani e chi è alla ricerca di un impiego, migliorando le prospettive di vita di milioni di cittadini, in particolare di coloro che incontrano le maggiori difficoltà a inserirsi.

Nell’attuale periodo di programmazione, l’Italia può contare su oltre 10 miliardi di Fse, quasi 1 miliardo e mezzo l’anno. La spesa procede molto lentamente, come osservato anche su lavoce.info, e i pagamenti totali dell’Unione, per spese sostenute a valere sul fondo, sono pari ad appena il 12 per cento del totale, ben al di sotto della media europea vicina al 20 per cento (figura 1). È un problema che riguarda anche il fondo per lo sviluppo regionale (Fesr), il fondo pesca (Feamp) e il fondo per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (Feasr).

Figura 1– Pagamenti totali UE in rapporto alle risorse allocate per fondo

Fonte: Commissione europea, cohesiondata.ec.europa.eu, al 4 ottobre 2018.

La regola del disimpegno automatico

Per velocizzare la progettazione e favorire il monitoraggio dei flussi finanziari, le somme stanziate in un dato anno vengono disimpegnate automaticamente dalla Commissione europea se le amministrazioni nazionali e regionali non presentano domande di pagamento entro la fine del terzo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio. L’Italia rischia il disimpegno automatico di un ammontare significativo di risorse se, entro la fine del 2018, non spinge il piede sull’acceleratore.

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La situazione dell’Italia è tanto critica da aver spinto i servizi della Commissione europea, responsabili del Fondo sociale, a inviare di recente una lettera di avvertimento alle amministrazioni regionali e nazionali in ritardo, esortandole a intraprendere azioni immediate per scongiurare la perdita di risorse.
In totale, i fondi a rischio alla fine del 2018, relativi a impegni del 2014 e 2015, sono circa 733 milioni di euro.
La situazione per programma operativo è riportata nella figura 2. Si tratta di un dato parziale in quanto mancano i programmi multi-fondo (Fse e Fesr), oltre che i numeri relativi agli altri fondi europei.
I programmi operativi che rischiano di perdere le somme maggiori sono quelli nazionali (Po Iniziativa occupazione giovani, Po Scuola, Po Governance e capacità istituzionale, Po Inclusione, Po Politiche attive per l’occupazione). Questi investono prevalentemente nelle regioni meno sviluppate, dove anche i programmi regionali rischiano di perdere risorse cospicue.

Figura 2– Risorse Fse a rischio (milioni di euro per programma operativo – Po)

Nota: il programma Iniziativa occupazione giovani è finanziato sia dal Fondo sociale che dalla Garanzia giovani
Fonte: Commissione europea, fine agosto 2018.

Le cause delle lentezze sono varie. Per esempio, obiettivi troppo ambiziosi e poco concreti, limitata capacità progettuale e insufficiente capacità di confrontarsi con la complessa gestione dei fondi europei, lungaggini nelle gare di assistenza tecnica, ritardo nell’avvio dell’attuale ciclo di programmazione e così via.

Che fare?

Nonostante le lentezze, va detto che il Fondo sociale europeo ha già dato una mano a oltre 1 milione e 200 mila beneficiari, tra disoccupati di lunga durata, Neet (persone non impegnate nello studio, né nel lavoro né nella formazione), varie categorie di emarginati, persone con disabilità o minoranze, spesso con esiti positivi per l’occupazione (per esempio, con corsi di formazione e tirocini). Si tratta di risorse essenziali per orientare e tenere in piedi le politiche sociali in Italia e perderle sarebbe un peccato.

È dunque urgente accelerare i processi, trasmettendo alla Commissione le domande di pagamento relative a qualsiasi spesa già effettuata ma non ancora dichiarata. È altresì fondamentale accelerare l’esecuzione finanziaria dei programmi. Da questo punto di vista, a partire dal 2019, le scelte sociali del governo Conte – sulla cui opportunità e sostenibilità non intendiamo qui dare un giudizio – potrebbero rappresentare una utile sponda se il Fse sarà utilizzato in modo attento e complementare al sostegno del reddito, per finanziare politiche attive e supportare i centri per l’impiego. Questi ultimi, vale la pena ricordarlo, soffrono di un’inadeguatezza strutturale(ad esempio, il personale è circa un decimo di quello del Pôle Emploifrancese) e necessitano di investimenti significativi e non estemporanei se si vogliono adeguare i servizi forniti agli standard europei.

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  1. Cristiano Paolini

    Ringrazio gli autori dell’articolo per aver focalizzato l’attenzione su questa situazione così assurda. Personalmente non saprei dare una valutazione all’utilità in generale di queste risorse (sono tante?, sono poche?), ma sapere che esiste un ammontare stanziato, che non viene utilizzato, in un periodo in cui le risorse economiche sono così difficili da reperire è davvero un delitto. Penso che se ognuno di noi avesse a disposizione una quantità di risorse da utilizzare non se lo farebbe ripetere. Impossibile per me capire come tale evenienza sia possibile.

  2. Marco Spampinato

    La logica emergenziale è costruita ad hoc, altro che obiettivi troppo ambiziosi e poco concreti. Si ripete, ad ogni ciclo di programmazione, questo andazzo; e la preoccupazione principale diventa, già a metà ciclo di programmazione, ‘non perdere le risorse’. Sono solo vecchie o nuove emergenze a dare opportunità di riprogrammare, magari finanziando vecchi strumenti (es. la ‘mobilità’ dei lavoratori). Capitalizzando su elementi di esperienza diretta, invertirei del tutto logica ed enfasi sulle cause. Le due cause principali di questo eterno ritardo sono (1) la completa assenza di ambizioni e (2) la totale sottovalutazione del processo di programmazione. L’Italia parte sempre con uno o due anni di ritardo almeno, non fa vere valutazioni ex ante, se non in modo ‘formale’ (per adempimenti dell’ultimo minuto); propone così rapportini con analisi di contesto molto standard che non comprendono i processi e non introducono alcun senso di sfida all’esistente. Da questa drammatica assenza di determinazione e intelligenza applicata nascono molti indicatori, ispirati dal non troppo malcelato scopo di ‘riempire buchi’ nei documenti di programmazione. Con questa mentalità si può funzionare solo così, attendendo l’occasione di volta in volta per dirottare risorse su qualche emergenza o, come qui suggerisce l’articolo, su qualche nuova politica del governo. Non sarà però facile dirottare risorse che avrebbero dovuto andare alla ‘scuola’ verso centri per l’impiego. Non è vero INVALSI?

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