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Spesa pubblica: la revisione è possibile*

Tante prove di spending review, ma una vera analisi e revisione della spesa non è stata ancora realizzata. Eppure, è un processo da riavviare per aumentare l’efficienza del settore pubblico. Qui alcune proposte per non ripetere gli errori del passato.

Prove di spending review

Molteplici sono state le esperienze di spending review, ma in Italia una vera analisi e revisione della spesa non è stata ancora realizzata. Eppure, serve riavviare quanto prima il processo per aumentare l’efficienza del settore pubblico. Se n’è accorta anche la maggioranza di governo che nella risoluzione alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza impegna l’esecutivo a creare una cabina di regia presidenza del Consiglio-ministero dell’Economia per realizzare una nuova analisi.

La spending review è definita come il processo che ha come obiettivo il conseguimento di risparmi attraverso l’analisi della spesa storica. Per un paese come l’Italia, dove la spesa pro capite è minore di quella media dell’Eurozona (anche se in linea con il livello di reddito pro capite) si tratta principalmente di recuperare efficienza e, per questa via, individuare risparmi e riallocazioni di spesa.

Figura 1

Perché non hanno avuto successo

Nessuna delle spending review sinora sperimentate in Italia è riuscita a modificare significativamente le modalità di formazione della spesa pubblica.

Diverse sono le ragioni degli insuccessi. Quasi sempre è stata evidente la mancanza di obiettivi predefiniti condivisi con i vertici politici dei ministeri e con le amministrazioni. Ciò ha limitato l’efficacia delle analisi e contribuito a rendere diffidente e poco collaborativa l’amministrazione. A ciò ha contribuito anche l’essersi affidati prevalentemente a esperti esterni, senza coinvolgere pienamente i funzionari responsabili della spesa, gli unici ad avere una conoscenza capillare dei processi decisionali e delle norme sottostanti.

In alcuni casi, è mancato un adeguato supporto politico. Le proposte di risparmio del commissario Carlo Cottarelli, ad esempio, non erano allineate con le priorità politiche del governo; la Commissione tecnica per la finanza pubblica aveva il forte sostegno del ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, ma meno dei colleghi di governo.

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È poi mancato un sistema di incentivi per spingere singoli funzionari e amministrazioni a generare risparmi: la spending review veniva vissuta come taglio ai budget e quindi riceveva poca collaborazione. È mancata anche trasparenza nei confronti di cittadini e imprese, che avrebbero potuto offrire un supporto al processo se avessero compreso i benefici in termini di efficienza nei servizi erogati. Infine, il tempo è stato sempre troppo poco per organizzare una spending review che andasse oltre obiettivi di breve periodo.

Tabella 1

Per avviare un nuovo processo

Le esperienze passate possono indicarci una strada per il futuro. Anzitutto va prevista una spending review di legislatura, con orizzonte quinquennale e aggiornamento dopo tre anni per superare l’approccio una tantum.

Il coordinamento dovrebbe essere affidato alla presidenza del Consiglio con un sottosegretario dedicato per dare una forte indicazione politica e creare il collegamento costante con il Consiglio dei ministri, che valida gli obiettivi macro. Fissati gli obiettivi, una unità operativa dovrebbe descrivere in dettaglio la metodologia in un apposito manuale, sul modello della Gherson’s review inglese, in modo da consentire l’applicazione di pratiche uniformi. All’unità operativa dovrebbero riportare team specializzati guidati da funzionari interni all’amministrazione e composti da esperti esterni e tecnici della Ragioneria generale dello Stato che, seguendo il manuale e la struttura del bilancio per programmi e non per unità amministrative, verrebbero incaricati di proporre indicazioni di risparmio e miglioramento della qualità dei servizi.

L’individuazione di obiettivi quantificabili e verificabili per i programmi di spesa e la loro condivisione con cittadini e imprese è cruciale per incrementare trasparenza e responsabilità dei centri di spesa, rendendo al contempo concreto per la cittadinanza il senso dell’azione di governo. Gli obiettivi dovrebbero perciò essere espressi in termini di risultato finale (outcome) per rendere esplicita la finalità di servizio pubblico.

Il superamento delle resistenze delle amministrazioni coinvolte dovrebbe poi passare per incentivi di tipo monetario per i singoli funzionari che portano risultati e per le amministrazioni che possono reimpiegare parte delle risorse recuperate.

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L’adozione di simile modello di spending review andrebbe poi estesa agli enti territoriali, collegandolo a quello delle amministrazioni centrali. La competenza statale sul coordinamento della finanza pubblica consente di imporre la revisione anche alle amministrazioni decentrate (articolo 117 della Costituzione).

In ogni caso, occorrerà rivedere la normativa visto che oggi sono tre le forme di revisione della spesa in vigore: una è quella avviata nel 2016 (articolo 22-bis della legge di contabilità e finanza pubblica), un’altra è quella che si basa sui Nuclei di analisi e valutazione della spesa (articolo 39 della stessa legge) e la terza è quella che individua nel commissario per la spending review la figura chiave del processo (decreto legge 69 del 2013). Ciò crea confusione e il continuo innovare, senza esaminare i problemi posti dall’esperienza precedente, non ha dato stabilità al processo.

* Le opinioni espresse dagli autori in questo articolo sono personali e non coinvolgono l’istituzione di appartenenza

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  1. Savino

    Il cosiddetto “Governo del cambiamento” è semplicemente senza attributi, poichè, come tutti gli altri, ha paura di andare ad incidere sui centri di spesa e sui privilegi che nascono da una spesa corrente distorta. Troppo comodo andare ad attingere dal pozzo del deficit.

  2. Mi pare che siano sottovalutate le resistenze esterne al processo di revisione. La spesa mal gestita è fonte di prebende per funzionari che chiudono un occhio e fonte di guadagni extra per il sistema di imprese che gravitano intorno. Non si prescinde da ciò senza una regolamentazione chiara sul lobbying.

  3. Anna Soci

    Finalmente! Si sente che gli autori hanno un cotè operativo. Complimenti.

  4. Aldo

    “dovrebbe poi passare per incentivi di tipo monetario per i singoli funzionari che portano risultati e per le amministrazioni che possono reimpiegare parte delle risorse recuperate”
    Ecco con questo discorso mi trovo non daccordo ci sono casi di dirigenti sanitari che fanno finti studi per avere incentivi un esempio un risparmio sulla somministrazione di farmaci che viene ridotta con meno farmaci, poi non si calcolano le conseguenze del rialzo dei costi su pazienti andando in peggiorando intanto la busta paga del dirigente risulta pingue

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