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Ma solo lo spread dell’Italia è nel mirino dei mercati

In un interessante articolo due giornalisti di Reuters (Abhinav Ramnarayan e Ritvik Carvalho) osservano che negli ultimi mesi i dati sugli spread tra i titoli pubblici a 10 anni dei paesi periferici e il bund tedesco mostrano un importante novità. Sembra cioè che stia in un certo senso scomparendo il gruppo dei paesi periferici dell’area euro (Portogallo, Spagna e Italia) il cui spread verso la Germania era sempre destinato ad aumentare collettivamente nei momenti di instabilità finanziaria. Come mostra il grafico, dal mese di aprile in poi lo spread dell’Italia è aumentato di molto in due occasioni mentre quello di Spagna e Portogallo rimaneva inchiodato ai valori precedenti.
Se la tendenza fosse confermata nelle prossime settimane ciò porrebbe un grave problema alla Banca centrale europea. Se infatti l’Italia è un paese diverso dagli altri, viene a cadere l’argomentazione principale alla base del “whatever it takes” di Mario Draghi e cioè che il Quantitative easing serviva a riattivare il meccanismo di circolazione del credito in tutta l’area euro – meccanismo che si era inceppato nel 2010-12 a causa della crisi dei debiti sovrano. Qui a fronteggiare il rischio di una crisi di fiducia nel suo debito in crisi non sono i paesi periferici dell’eurozona. È solo l’Italia.

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Il Punto

  1. Massimo GIANNINI

    E’ ovvio che visti i quantitativi di debito italiano in circolazione questo sia sia più liquido ma allo stesso tempo più volatile e sia più influenzato dalla riduzione di QE della Banca centrale. Lo spread è più influenzato dai discorsi, sempre a mercati aperti, di Bruxelles e commissari e dalla riduzione de QE che non dalla manovra in sé del governo.

    • Aram Megighian

      Non sono un esperto di economia, ma lo sono sulle funzioni cognitive e quindi sul decision-making che è un processo importante, anche in economia (Neuroeconomia).
      Quindi sostanzialmente la decisione consiste nel credere o meno, cioè nei vantaggi che ottieni nel prendere la decisione.
      Sono quindi in parte daccordo con Lei sulle parole (influiscono nel processo decisionale). Ma non creda che il tutto sia un processo a compartimenti stagni. Più la conoscenza oggettiva (fatti, numeri) interviene più essa viene considerata nella valutazione finale d’insieme. QE si doveva ridurre da tempo ed era stato detto. E’ chiaro quindi che il suo impatto sullo spread italiano (più liquido come Lei dice con competenza) avrebbe avuto un effetto maggiore. Ma le parole non vengono solo da Bruxelles. E chi valuta (processo decisionale) non si basa solo sulle parole. Ma sulle analisi dei numeri. E le analisi dei dati presentati dal Governo, come mi sembra di aver compreso in un precedente articolo del Prof Daveri, pubblicato in questa rivista, indicano dei numeri che, fattualmente, rendono molto difficile agli esperti accettare determinate argomentazioni in senso vantaggioso nelle loro decisioni. A me a volte sembra di vedere in queste argomentazioni come due medici. Entrambi leggono i numeri dello stesso esame che inevitabilmente portano ad una probabilissima diagnosi (la diagnosi è un processo probabilistico) e lo sanno. Il primo lo dice al paziente, l’altro invece gli dice che va tutto bene.

  2. Claudio

    Siamo noi il problema dell’Europa o è l’Europa il problema per l’Italia?
    Se l’Italia per sue particolari caratteristiche non è gradita, ci si può sempre garbatamente e consensulmente separare

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