Il presidente Mattarella ha richiamato il dovere costituzionale del pareggio di bilancio. In realtà la Costituzione dice qualcosa di diverso, che peraltro renderebbe incostituzionali tutti i bilanci dal 2014 ad oggi. Meglio il confronto su numeri e fatti, non su vuote formule legali.
La costituzione non richiede il pareggio di bilancio…
Il bilancio dello stato è la differenza tra le spese annuali e le entrate annuali dello stato: quando le spese eccedono le entrate, si ha un disavanzo. Il presidente Sergio Mattarella ha recentemente richiamato l’articolo 97 della Costituzione, che sembrerebbe proibire disavanzi di bilancio: “Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci”. Questo comma dell’articolo 97 è in vigore solo dal 2014, per recepire il famoso Fiscal compact, così come questo comma del più importante articolo 81: “Lo stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio…” (l’articolo 97 per sicurezza estende il concetto a tutte le pubbliche amministrazioni, cioè a regioni, previdenza sociale etc.). Dunque sarebbe incostituzionale il bilancio che il governo si appresta a proporre, perché prevede un disavanzo del 2,4 percento del Pil. Ma allora sono incostituzionali tutti i bilanci approvati dal 2014 in poi, tutti in disavanzo e, tranne che (forse) per l’anno in corso, maggiore del 2,4 percento.
…bensì il pareggio del bilancio “strutturale”
Senonché, l’articolo 81 continua così: “… tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico…” Dunque la Costituzione non lascia adito a dubbi: non il bilancio dello stato, ma il bilancio dello stato aggiustato per il ciclo economico, o bilancio “strutturale”, deve essere in pareggio.
Ma cosa è il bilancio strutturale? Questo è un concetto che, nella mia esperienza, è praticamente impossibile fare comprendere a un politico, ma che riveste un ruolo fondamentale sia da un punto di vista sostanziale sia nell’impalcatura istituzionale europea.
Le spese e le entrate dello stato dipendono dalle decisioni del governo, ma in parte anche dal ciclo economico. In una recessione, il disavanzo tende ad aumentare senza alcuna “colpa” del governo, perché le entrate scendono automaticamente anche se lo stato non cambia le aliquote; e le spese aumentano automaticamente, per esempio perché aumentano le spese per i disoccupati e i meno abbienti. L’opposto in una fase espansiva: il disavanzo si riduce senza alcune “merito” del governo. In altre parole, un disavanzo del 3 per cento del Pil in una fase di espansione è più “grave” dello stesso disavanzo in una fase di recessione, perché quando l’economia torna al suo livello “normale”, il primo si trasforma in un disavanzo diciamo del 6 per cento; il secondo in un bilancio in pareggio.
Il bilancio strutturale “depura” appunto il disavanzo osservato degli effetti del ciclo economico: misura il disavanzo che si avrebbe se l’economia fosse in una fase “normale”: né recessione né espansione. Nell’esempio precedente, il bilancio strutturale è del 6 per cento nel primo caso e dello 0 per cento nel secondo.
Il bilancio strutturale è una stima soggettiva
Ovviamente il calcolo del disavanzo strutturale è un esercizio soggettivo: dipende da come si stima la “fase normale” del ciclo economico e da come si stimano le spese e le entrate che si avrebbero se il Pil fosse al suo livello “normale” invece che al livello effettivamente osservato. Questi elementi di soggettività sono un primo motivo per cui l’articolo 81 così come è formulato è praticamente inapplicabile, e fonte unicamente di diatribe infinite (e, incidentalmente, non era necessario un dottorato in fisica nucleare per capirlo, o per cercare di farlo capire al legislatore). Ma per il momento astraiamo da questo piccolo inconveniente, perché ai nostri scopi fa fede il calcolo del bilancio strutturale della Commissione europea.
Tutti i bilanci strutturali recenti sono stati in disavanzo
Prendiamo quindi le stime della Commissione. Nell’ottobre 2015, dopo la presentazione del progetto di bilancio per il 2016, la Commissione stimava un disavanzo strutturale per il 2016 dell’1,5 per cento; l’anno dopo, l’1,9 per cento per il 2017; l’anno dopo, il 2 per cento per il 2018. Anche le stime fatte a consuntivo, cioè per l’anno precedente, e quelle per l’anno in corso, hanno sempre oscillato tra l’1 e il 2 per cento. Prendendo alla lettera l’articolo 81, che proibisce disavanzi strutturali, sono tutti bilanci incostituzionali. Anche qui, non si ha notizia di interventi della Presidenza della Repubblica o della Consulta, e nemmeno di politici o commentatori.
Una costituzione più realista del re
In realtà, nel recepire il Fiscal compact nella Costituzione il legislatore italiano è stato più realista del re, per motivi assolutamente incomprensibili. Contrariamente a quanto si crede il Fiscal compact non impone il pareggio di bilancio, nemmeno del bilancio strutturale. Esso dice solo che vi deve essere un aggiustamento adeguato verso il pareggio di bilancio strutturale, senza eccedere comunque un disavanzo strutturale dello 0,5 per cento del Pil. Inoltre, dal 2016 la velocità di aggiustamento richiesta dipende dalle condizioni economiche e dal livello del debito, generando un numero incredibile di combinazioni possibili. Infine si possono avere sconti per situazioni particolari, come quando il governo fa investimenti o riforme importanti. Tenendo conto di tutte queste complicatissime regole ed eccezioni, alla fine la Commissione richiede una certa variazione del bilancio strutturale; ebbene, in questi anni l’Italia non ha mai rispettato queste richieste. Anche in questo caso, non si ha notizia di esternazioni della Presidenza della Repubblica o della Consulta.
In ogni caso, non è affatto chiaro che la Costituzione abbia recepito tutte queste regole europee. Letto nella sua interezza, il secondo comma dell’articolo 81 recita: “ll ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”. Come scrive il sito della Camera, ai sensi dell’articolo 5 della legge costituzionale, gli eventi eccezionali possono consistere in gravi recessioni economiche, crisi finanziarie e gravi calamità naturali. Niente di questo è stato invocato in questi anni.
Cosa vuol dire “debito pubblico sostenibile”?
Il presidente Mattarella ha anche richiamato la necessità di assicurare la sostenibilità del debito pubblico, come previsto dall’articolo 97. Idea condivisibile: chi vorrebbe un debito pubblico “insostenibile”? Purtroppo se esiste una nozione di definizione soggettiva e di applicazione controversa, persino in istituzioni che vi hanno dedicato decenni e il lavoro di decine di persone come il Fondo monetario internazionale, questa è la nozione di sostenibilità del debito. Pochi mesi prima che la Grecia intraprendesse un percorso che la portò a chiedere aiuti per quasi 300 miliardi complessivi, economisti, politici e istituzioni perfettamente rispettabili (inclusa la Commissione europea) sostenevano che il suo debito fosse perfettamente “sostenibile”. L’idea di mettere nella Costituzione un vincolo che nessuno sa né può definire o attuare esattamente è particolarmente perversa: serve solo per dare lavoro alle facoltà di legge per anni a venire.
Un confronto su numeri e fatti, non su vuote formule legali
Tutto questo non significa che questa sia una buona manovra. Personalmente ritengo che sia pessima, per motivi esposti da tanti commentatori (incluso chi scrive) qui e altrove. Ma le manovre vanno giudicate e argomentate sulla sostanza. Argomenti formalistici quali “va contro le regole europee” non vogliono dire niente, perché ebbene sì, le regole europee possono essere sbagliate o troppo complicate, e in ogni caso sono in gran parte una finzione: per troppo tempo abbiamo assistito a un gioco delle parti in cui il governo annunciava, come sant’Agostino, di volere seguire le regole europee, ma solo dall’anno successivo. E invocare le regole europee porta solo acqua al mulino del governo attuale, che ha fatto della lotta alle regole europee un suo cavallo di battaglia. Altri argomenti formalistici come “va contro la Costituzione” si applicherebbero, a maggior ragione, a tutti i bilanci passati. Invocarli ora serve soltanto a rinforzare la visione di tanti sostenitori di questo governo, che le “élites” cospirino contro di loro.
La lezione è importante: basta formalismi, basta legalese, basta giochi delle parti, basta richiami di comodo ad articoli della Costituzione che purtroppo hanno soltanto confuso il dibattito. Confrontiamoci su numeri e fatti, non su vuote formule legali che ognuno può interpretare come vuole.
Tabella 1, Disavanzo strutturale di bilancio
Fonte: Commissione Europea, “Statistical Annex of European Economy”.
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